Informazione e comunicazione politica nell’era della Rete

Il ruolo dei social network per ritrovare un contatto diretto tra la politica e gli elettori e per costruire un nuovo modello di “democrazia partecipata”

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Informazione e comunicazione politica nell’era della Rete. L’argomento ci invita ad una preventiva, breve riflessione sul significato di “informazione” e “comunicazione”, termini usati spesso come sinonimi ma che rappresentano due concetti distinti della stessa realtà.
Esistono varie definizioni, ma ci è sembrato opportuno riportare quella che ci è sembrata più chiara, forse più semplice: l’informazione (da chiunque fornita e a chiunque diretta) è una trasmissione neutrale che ha lo scopo di accrescere le conoscenze del pubblico a cui si rivolge, mentre la comunicazione è la modalità attraverso la quale si diffondono informazioni affinché le stesse siano portatrici di un messaggio.
Se dunque lo scopo dell’informazione è servire il pubblico nel modo più obiettivo possibile, lo scopo della comunicazione è quello di trasmettere messaggi capaci di orientare il modo di pensare delle persone.
L’era digitale, caratterizzata da una valanga di informazioni in cui è sempre più difficile riconoscere ciò che vale la pena di leggere, ha prodotto un evidente aumento dell’informazione – perché i social media danno diritto di parola a chiunque – ma ciò non significa che abbia reso i cittadini più informati, perché la vera informazione dovrebbe esprimere un concetto di qualità prima che di quantità.
Le informazioni in Rete, dove chiunque può scrivere ciò che vuole, risultano non sempre attendibili perché non sottoposte ad alcun controllo, contrariamente a quanto avviene per i mezzi di informazione tradizionali (giornali e telegiornali hanno comitati di redazione ed organi di controllo che verificano l’attendibilità delle informazioni).
Qualche tempo fa il filosofo Umberto Eco, intervenendo a un convegno sullo sviluppo dell’informazione attraverso la Rete, espresse un giudizio fortemente critico: “sarebbe necessario istituire dei centri di garanzia per gli utenti telematici perché, nella massa di informazioni che viaggiano su Internet, si trovano troppe notizie false, vera e propria spazzatura”.
Certo è un’espressione forte, forse eccessiva, ma esiste il rischio che gli utenti della Rete, travolti da una massa enorme di informazioni di cui non sono in grado di verificare la bontà, tendano a prendere per buono ciò che viene comunicato prestandosi inconsapevolmente ad essere manipolati e a trasformare la Rete in un mezzo di manipolazione dell’opinione pubblica.
Negli ultimi anni è cambiato il modo di informarsi degli italiani, che scelgono Internet e condividono sui social network una massa gigantesca di notizie e di articoli, ed il crescente sviluppo della Rete ha profondamente modificato le modalità comunicative rivoluzionando la comunicazione – in particolare quella politica – che è forse la pratica comunicativa più complessa, perché pone in relazione tre soggetti: il sistema politico, i mass media e i cittadini.
Anche se in Italia siamo in una fase di transizione, che vede ancora una centralità del mezzo televisivo, dobbiamo prendere atto che la comunicazione in Rete cresce giorno per giorno e, quando questa transizione sarà ultimata, registreremo il passaggio dall’attuale fase di “teledemocrazia” – che inevitabilmente consente una ridotta partecipazione – alla nuova fase della “cyberdemocrazia”, che potrà rappresentare un possibile sbocco alle esigenze di inclusione e partecipazione che i cittadini manifestano in maniera sempre più esplicita.
Se correttamente utilizzati, gli strumenti del web possono contribuire in maniera decisiva alla creazione di un dialogo effettivo con i cittadini, e in tempi in cui la politica appare sempre più distante e autoreferenziale, la Rete e i social network possono davvero rappresentare un cambiamento epocale.
Se in parte è vero, come molti affermano, che i social network hanno dato vita ad un mondo dove tutti tendono a partecipare limitandosi ad esprimere la propria posizione senza determinare alcun cambiamento, è ancora più vero che gli stessi social network hanno favorito una maggiore attenzione e ricreato una partecipazione, non solo politica, diventando spesso megafono del malcontento verso l’operato dei governi.
Il “Movimento 5 Stelle”, che per primo ha colto le opportunità offerte dalla Rete sviluppando efficaci tecniche di comunicazione volte alla creazione del consenso politico, ha individuato nei forti messaggi di rottura – “tutti a casa”, “né di destra né di sinistra”, “fuori la casta” – la calamita attrattiva per porsi come riferimento anti sistema ed unica opposizione rilevante nel Paese.
L’abilità dell’operazione comunicativa è stata quella di creare un distacco tra i “politici italiani”, visti come una sorta di patologia, e la “gente italiana”, con una visione semplicistica e populista che nega la realtà dei fatti, perché una classe politica democraticamente eletta non è altro che la diretta manifestazione della cultura generale del paese: in un’Italia culturalmente trascurata, che ha perso gran parte del senso civico, aspettarsi una classe politica composta da uomini civili e acculturati appare abbastanza difficile.
Oggi il primo partito in Italia è rappresentato da quelli che non votano (anche se il fenomeno dell’astensionismo non ha raggiunto i livelli elevati di altri paesi), per cui l’avvento di Internet e dei social network è stato accolto con entusiasmo da tutti coloro che hanno visto nella Rete un modo per ritrovare un contatto diretto tra la politica ed i cittadini elettori, al fine di costruire un nuovo modello di “democrazia partecipata”.
Certo, un modello di democrazia partecipata richiederebbe qualcosa in più del “mi piace” – “non mi piace”, e dovrebbe garantire quella pari dignità, quell’uguaglianza oggi negate da un sistema politico chiuso, ma anche dall’invasione di notizie in Rete che fa crescere l’impossibilità di arrivare ad una reale conoscenza dei fatti.
L’inaridirsi degli spazi di partecipazione effettiva (non si è uguali perché viene permesso a tutti di mettere una croce su una scheda indicando un candidato scelto dal partito: siamo al “mi piace” – “non mi piace” di Facebook) determina una sorta di “democrazia del leader”: la “democrazia senza elezioni”, che minaccia anche il nostro Paese.
Ma tornando alla comunicazione politica, che si avvicina sempre più alla comunicazione pubblicitaria dove il cittadino elettore assomiglia ad un consumatore ed il comunicatore politico ad un venditore di se stesso, è necessario evidenziare che, se la posta in gioco è quella di trasmettere informazioni per consolidare il consenso o per acquisirlo in vista di un confronto elettorale, spetta al cittadino elettore il compito di capire se le informazioni politiche trasmesse sono veritiere o meno.
Oggi la comunicazione politica non può fare a meno di confrontarsi con la Rete per veicolare i propri contenuti, e l’avvento dei social network impone alla politica di ripensare la natura stessa della comunicazione e della relazione tra eletto ed elettore: il passaggio dal messaggio politico televisivo a senso unico, definito come una sorta di “narrazione emotiva”, a quello della Rete, che impone una “narrazione relazionale”, deciderà la partita.
Poiché è fuor di dubbio che, nei prossimi anni, la Rete e i social network incideranno sempre più sui processi di creazione del consenso e sulle relazioni tra politica e gruppi di interesse, si renderà ancor più necessario che i fruitori di Internet sviluppino una maggiore attenzione nei confronti delle informazioni reperite in Rete, analizzando le fonti da cui provengono e non dando tutto per scontato solo perché “trovato online”.
Il web non è più solo il mondo dei giovani e meno giovani che costantemente ricorrono alla Rete per condividere esperienze, raccontarsi, stringere amicizie, ma è il nuovo mondo. È per tutti e di tutti.
 

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Simone Gargano

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