Inculturazione della fede e religione tradizionale in Africa

di Chiara Santomiero

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ROMA, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).- “La paura e l’incertezza caratterizzano la vita di fede in molte popolazioni africane”: è quanto afferma la Relatio post disceptationem della II Assemblea per l’Africa del Sinodo dei Vescovi a proposito del “settore socio-religioso” che analizza i rapporti tra fede e vita nei credenti.

Paura ed incertezza, si afferma, determinano diffidenza, autodifesa, aggressività così come il ricorrere a pratiche di magia ed occultismo o a tentare il sincretismo tra cristianesimo e religione tradizionale.

Il tema del complesso rapporto tra inculturazione della fede e religione tradizionale è stato ripreso nella conferenza stampa tenutasi oggi a chiusura della prima fase di lavoro del Sinodo.

“Veniamo da lontano, siamo lontani e stiamo andando lontano: questa è la situazione della Chiesa in Africa”, ha affermato il Cardinale Njue, Arcivescovo di Nairobi e Presidente della Conferenza episcopale del Kenya, rispondendo ad alcune sollecitazioni dei giornalisti.

“Se vogliamo essere cristiani – ha proseguito Njue – non possiamo scegliere i valori secondo i quali camminare”. Inculturazione della fede significa “discernere quali valori della tradizione culturale africana siano compatibili con il cristianesimo”.

Riguardo al matrimonio, “noi incoraggiamo gli sposi – ha affermato il Cardinale Théodore-Adrien Sarr, Arcivescovo di Dakar in Senegal e Vicepresidente del Simposio di Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam) – a celebrare il matrimonio religioso, ma chiediamo di tener conto delle loro prassi tradizionali, come la cerimonia a casa del padre della sposa, e verifichiamo che siano state compiute prima che vengano in chiesa”.

Allo stesso modo “chiediamo loro di celebrare il matrimonio civile con l’impegno di scegliere, all’atto del matrimonio, la monogamia e non la poligamia. In Senegal, infatti, dove il codice civile le ammette entrambe, se si sceglie un’opzione non si può più cambiare”.

Un altro aspetto affrontato è quello del persistere delle pratiche esoteriche.

“La relazione con il mistero – ha affermato mons. Manuel Antonio Mendes dos Santos, Vescovo di Sao Tomé e Principe – fa parte della cultura africana. L’ateismo, ad esempio, in questa prospettiva, non è comprensibile per un africano”.

Da questo senso del mistero occorre distinguere “l’esoterismo, spesso solo un mezzo per dare risposte a persone fragili che hanno problemi materiali o psicologici”. Se “va compresa la fragilità esistenziale occorre però opporsi al tentativo di sfruttarla”. Tutto ciò, ha concluso Mendes dos Santos, ci interroga come credenti: “In che modo presentare Cristo come l’uomo nuovo la cui forza non è determinata dalla magia?”.

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ZENIT Staff

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