Concilio Vaticano II e Nuova Evangelizzazione

Intervista al Prof. Miguel De Salis, dell’Università della Santa Croce

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di Paul De Maeyer

ROMA, giovedì, 3 maggio 2012 (ZENIT.org).- Approfondire gli insegnamenti del Concilio Vaticano II nella prospettiva dell’“ermeneutica della riforma” auspicata da Benedetto XVI, per metterli al servizio della Nuova Evangelizzazione in vista dell’Anno della Fede del prossimo ottobre. È ciò che si propone di fare il congresso internazionale sul tema Concilio Vaticano II: il valore permanente di una riforma per la nuova evangelizzazione, organizzato dalla Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce e in programma fino a domani.

L’iniziativa, che gode del patrocinio del Card. Arcivescovo di Monaco di Baviera, Reinhard Marx, vede riuniti esperti e ricercatori provenienti da diverse università del mondo, che offriranno una lettura del Concilio Vaticano II secondo quella “ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa” alla quale fece riferimento il Papa nel noto discorso di Natale del 2005 alla Curia Romana.

ZENIT ha intervistato per l’occasione il rev. prof. Miguel de Salis, associato di Ecclesiologia ed ecumenismo all’Università della Santa Croce e membro del comitato organizzativo del congresso.

Che cosa ha di specifico questa vostra iniziativa?

Oltre all’ermeneutica della riforma, direi che ci sono tre caratteristiche specifiche in questo convegno: verranno analizzati tutti i documenti approvati, si ascolterà il parere di esperti di diverse nazionalità e il tutto avrà un orientamento riflessivo piuttosto che celebrativo.

Pensando al titolo che avete scelto, esiste davvero una riforma che abbia un valore permanente? 

Nessuna riforma nella Chiesa ha un valore permanente, se con ciò vogliamo dire qualcosa di equiparabile al Vangelo o alla presenza di Cristo e dello Spirito Santo nella Chiesa. In un altro senso, però, nel Concilio si è cercato di rendere più comprensibile all’uomo moderno tutto ciò che Dio ha rivelato. Ciò appartiene alla natura missionaria della Chiesa, e non soltanto nel Vaticano II ma sin dal giorno di Pentecoste. Ovviamente, questo indirizzo pastorale e missionario a volte si è seguito meglio, altre meno, ma poiché costante nel tempo, possiamo dire che si tratta di qualcosa di permanente.

Oggisi dibatte molto sul senso “pastorale” del ConcilioCome interpretare questa caratteristica?

Come indirizzo evangelizzatore, come annuncio del Vangelo all’uomo contemporaneo in modo tale che lo possa comprendere. Spesso si è portati a pensare che la pastoralità proposta dal beato Giovanni XXIII sia una specie di marketing della Salvezza: “prima costava di più, adesso costa la metà”. In realtà, la pastoralità guarda piuttosto a rendere la fede più comprensibile, ma di certo non meno esigente.

Quando si sente parlare del Vaticano II, vengono subito alla mente le liti tra “progressisti” e “tradizionalisti”. È ipotizzabile una sorta di riappacificazione tra questi due poli?

Spesso si classifica con le categorie di tradizionalista e progressista una realtà che difficilmente può spiegarsi in questo modo. Invece, è vero che esistono da alcuni anni diversi tipi di racconto del Concilio, incentrati su categorie o temi diversi, a volte non immuni da ideologia. Si tratta di un fenomeno che capita sempre: la storia viene raccontata in maniera diversa a seconda di chi parla. Questo fenomeno generale, letto all’interno della storia ecclesiastica, ha fatto si che gli storici cercassero di fuggire dal racconto apologetico e autogiustificativo della Chiesa, incamminandosi su vie vicine all’autolesionismo, che poi si sono rivelate tanto ideologiche come le loro contrarie. Serve oggi una migliore competenza teologica negli storici, perché non è possibile fare storia della Chiesa come si fa la storia di una nazione.

Che cosa sta capitando inoltre alla teologia del Concilio Vaticano II?

Il Concilio è stato studiato fino ad oggi dai suoi contemporanei, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che ciò comporta. Vantaggi: la più facile accessibilità al contesto di allora senza dover fare troppe descrizioni. Svantaggi: la troppa vicinanza temporale, il rischio delle letture ideologiche, la dimenticanza di altre dimensioni…

Al Concilio è capitato un po’ ciò che oggi capita alla nostra società europea, che tende ad analizzare i problemi personali e quelli dei rapporti sociali da un punto di vista terapeutico – vale a dire, come trattamento di disfunzioni della salute e non come eventuali mancanze di virtù. Allo stesso modo, molta teologia del Concilio che si avvicina allo stesso, tende a studiarlo da un punto di vista meramente storico, senza tener conto della fede e del punto di vista teologico.

E come si può prospettare una ermeneutica delle riforma in questo clima?

Probabilmente, coloro che vogliono insistere nel dialogo con il mondo possono pensare di più nella riconciliazione della Chiesa con il suo passato e la sua memoria, cercando di approfondirne l’identità e rendersi più credibili nel legittimo desiderio di dialogo con il mondo e la cultura, perché senza identità non è possibile il dialogo.

D’altra parte, coloro che guardano come problematico il rinnovamento iniziato dal Concilio possono cercare di mostrare a tutti il loro desiderio di dire la fede all’uomo di oggi senza racchiudersi in una ripetizione senza vita. Mi auguro che queste due sfide possano offrire una risposta allo smarrimento di fine d’epoca che l’umanità sta vivendo.

Il Papa ha indetto un Anno della fede nel 50º del Vaticano II e ha voluto dare un impulso alla diffusione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Perché sono collegati questi eventi?

Penso che il Papa considera il Catechismo – e il Compendio – in grande sintonia con la dottrina conciliare e con la sua ricezione. L’avvio del Catechismo ebbe luogo durante il Sinodo straordinario dei vescovi dedicato proprio al bilancio della ricezione del Concilio. Ovviamente, si tratta di un testo diverso dal corpus conciliare, e questo è normale, visto che è stato elaborato con la tipologia di un Catechismo maggiore. La diversità degli stili non va letta come opposizione tra loro, appartiene piuttosto alla cattolicità della Chiesa, che sa parlare a diversi livelli. Come il Concilio, il Catechismo offre una base comune in un mondo frammentato, con una differenza: quando il Concilio si è celebrato, i Padri conciliari, pur nella loro diversità, avevano una base teologica abbastanza omogenea che oggi non esiste più. In questo senso, il Catechismo è uno sforzo riuscito di insegnamento nella fede, ma occorre accoglierlo in tale contesto di fede, come un bene comune e un dono da condividere.

In che modo il Concilio Vaticano II può essere dausilio alla Nuova Evangelizzazione perché è così importante?

Il Concilio ha voluto dire la fede all’uomo di oggi o, se vogliamo, di
allora, ma ancora oggi non tutti lo conoscono bene. Una rivisitazione dei suoi testi e della sua storia dottrinale sembra d’aiuto per capire che cosa si è cercato di fare in quei tre anni di lavori, che cosa non si è riuscito a fare, e che cosa non si è voluto fare; e il perché di tali decisioni e difficoltà. Inoltre, un esame dell’applicazione e ricezione delle decisioni può favorire una percezione meno ingenua delle difficoltà che troviamo nel convertirci all’annuncio del Vangelo che ci è rivolto. Ciò favorirà senz’altro una Nuova Evangelizzazione perché aiuterà a trovare proposte concrete e realiste.

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ZENIT Staff

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