Main tabernacle behind the altar

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“T” come Tabernacolo

L’Eucaristia, vero memoriale del mistero pasquale di Cristo, è capace di tenere desta in noi la memoria del suo amore.

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La parola tabernacolo nella tradizione ebraica e cristiana significa il luogo della casa di Dio presso gli uomini. Comunemente, nelle lingue moderne, con tabernacolo si intende una struttura a forma di scatola presente in tutte le chiese nella quale sono conservate le particole consacrate nel corso della celebrazione eucaristica. Il termine tabernacolo deriva dalla parola latina taberna, derita da tabula, tavola di legno usata per le capanne. Avrebbe allora il senso di dimora provvisoria. La parola latina venne utilizzata nella Vulgata per tradurre la parola ebraica mishkhan, che significa dimora.  Il tabernacolo nell’Ebraismo era un santuario trasportabile, eretto nel deserto, che accompagnava gli israeliti nel loro vagare dopo l’esodo. In epoche successive venne sostituito dal Tempio. Nel Cattolicesimo il tabernacolo indica il luogo dove si conserva l’Eucaristia. Fin dal Medioevo, e in particolare durante la Controriforma il tabernacolo divenne il posto più importante della chiesa, intesa come edificio. Fu questo un modo per sottolineare la presenza reale di Cristo anche dopo la Messa.  Secondo la tradizione accanto al Tabernacolo viene acceso un lume, come simbolo della presenza eucaristica.

L’Eucaristia è l’espressione principale della presenza di Cristo in mezzo a noi “tutti i giorni sino alla fine del mondo”, come dice il Vangelo di Matteo. Una presenza umile perché è affidata ai segni semplici e quotidiani del pane e del vino, cibo e bevanda ordinari. In questa quotidianità degli alimenti, l’Eucaristia introduce non solo la promessa, ma il “pegno” della gloria futura. La grandezza del mistero eucaristico sta nell’azione di Dio nel mondo, ora manifestata in grandi eventi di salvezza, ora celata sotto umili segni, che solo l’occhio della fede può percepire.

Il sacrificio eucaristico è memoriale della morte e risurrezione affidato da Cristo alla Chiesa sua amata sposa. Col comando “Fate questo in memoria di me”Gesù assicura la presenza della gloria pasquale attraverso tutte le celebrazioni eucaristiche che scandiranno il fluire della storia umana. “Attraverso la santa Eucaristia l’evento della Pasqua di Cristo si espande in tutta la Chiesa (…). Con la comunione al corpo e al sangue di Cristo, i fedeli crescono nella misteriosa divinizzazione che, grazie allo Spirito Santo, li fa abitare nel Figlio come figli del Padre” (San Giovanni Paolo II).

È indubbio che la celebrazione più alta della gloria divina si ha oggi nella liturgia. Poiché la morte di Cristo in croce e la sua risurrezione costituiscono il contenuto della vita quotidiana della Chiesa e il pegno della sua Pasqua eterna, la liturgia ha come primo compito quello di ricondurci instancabilmente sul cammino pasquale aperto da Cristo, in cui si accetta di morire per entrare nella vita.

Come ci ricorda san Paolo, dobbiamo anche glorificare Dio nel nostro corpo, cioè nell’intera esistenza, perché il nostro corpo è tempio dello Spirito che è in noi.

Tra i molteplici aspetti dell’Eucaristia spicca quello di “memoriale”, che sta in rapporto con un tema biblico di primaria importanza. Nella Bibbia il ricordo di Dio e il ricordo dell’uomo s’intrecciano e costituiscono una componente fondamentale della vita del popolo di Dio. Non si tratta, però, della pura commemorazione di un passato ormai estinto, bensì di un “memoriale”. Questo, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, “non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto per gli uomini. La celebrazione liturgica di questi eventi, li rende in certo modo presenti e attuali”.  Il memoriale richiama un legame di alleanza che non viene mai meno: il Signore si ricorda di noi e ci benedice. La fede biblica implica quindi il ricordo efficace delle opere meravigliose di salvezza.

L’intreccio tra il ricordo di Dio e quello dell’uomo è al centro anche dell’Eucaristia che è il “memoriale” per eccellenza della Pasqua cristiana. L’“anamnesi”, cioè l’atto di ricordare, è infatti il cuore della celebrazione: il sacrificio di Cristo, evento unico, compiuto “una volta per tutte”, che diffonde la sua presenza salvifica nel tempo e nello spazio della storia umana. Ciò è espresso nell’imperativo finale che Luca e Paolo riportano nella narrazione dell’Ultima Cena: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me… Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me” (1Cor 11,24-25; cfr Lc 22,19). Il passato del “corpo dato per noi” sulla croce si presenta vivo nell’oggi e, come dichiara Paolo, si apre al futuro della redenzione finale: “Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga”. L’Eucaristia è, dunque, memoriale della morte di Cristo, ma è anche presenza del suo sacrificio e anticipazione della sua venuta gloriosa. È il sacramento della continua vicinanza salvatrice del Signore risorto nella storia. Si comprende pertanto l’esortazione di Paolo a Timoteo: “Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti”. Questo ricordo vive e opera in modo speciale nell’Eucaristia.

“Ricordare” è pertanto “riportare al cuore” nella memoria e nell’affetto, ma è anche celebrare una presenza. L’Eucaristia, vero memoriale del mistero pasquale di Cristo, è capace di tenere desta in noi la memoria del suo amore. Essa è, perciò, il segreto della vigilanza della Chiesa: le sarebbe troppo facile, altrimenti, senza la divina efficacia di questo richiamo continuo e dolcissimo, senza la forza penetrante di questo sguardo del suo Sposo fissato su di lei, cadere nell’oblio, nell’insensibilità, nell’infedeltà. Nell’Eucaristia il cristiano alimenta la speranza dell’incontro definitivo con il suo Signore.

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Paolo Gulisano

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