"Sulle strade del silenzio" di Giorgio Boatti

Viaggio per monasteri d’Italia e spaesati dintorni

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di Antonio D’Angiò

ROMA, sabato, 12 maggio 2012 (ZENIT.org).- “Giorgio Boatti, giornalista e scrittore, è autore di libri e inchieste sulla storia recente del nostro paese.” Così nell’incipit della terza di copertina dell’edizione Laterza. I suoi libri hanno titolazioni corpose, come anche questo “Sulle strade del silenzio” dal sottotitolo “Viaggio per monasteri d’Italia e spaesati d’intorni”, e incrociano spesso luoghi e percorsi simbolici della nostra penisola (in passato, la Strage di Piazza Fontana del 1969 o il Terremoto di Messina del 1908).

Questo viaggio, peraltro iniziato casualmente su prezioso consiglio di amici dello scrittore, prende il via non da una storia pubblica da raccontare, ma da un passaggio privato che l’autore lascia sobriamente solo percepire, partendo da Finalpia, in Liguria, per una “Fuga di Natale” e da lì, per tutta la penisola dei monasteri benedettini, ma non solo.

Nella carta geografica che precede l’inizio della narrazione, con una Italia senza confini regionali e nazionali ed in cui gli unici elementi che risaltano, per contrasto, sono le acque del mare, dei laghi e dei fiumi, sono segnati i luoghi di questo viaggio tra Spiritualità (come ci presenta il quotidiano “La Stampa” la riflessione dello scrittore Ferdinando Camon) e Turismo Religioso (come il Sole24ore colloca l’articolo di Claudio Visentin), scendendo e risalendo lungo la penisola geografica e diremmo, anche in un percorso interiore.

Nell’ordine, Finalpia (Liguria), Viboldone e Chiaravalle (Lombardia), Morfasso (Emilia), Bose (in Piemonte), Praglia (Veneto), Isola di Barbana (Friuli), Camaldoli, Monte Oliveto Maggiore e Sant’Antimo (in Toscana), Montecassino, Subiaco e Vitorchiano (nel Lazio), Serra San Bruno e Sant’Ilarione di Caulonia (Calabria), San Giovanni Rotondo e Noci (in Puglia) e infine Goleto (Campania).

Si ritrovano, in questi spazi di silenzio, molti degli aspetti della simbologia dei monasteri: la bellezza dei luoghi, spesso di non facile accesso o in contrasto con i “non luoghi” periferici; le biblioteche (e anche case editrici) ricche di libri preziosi; i refettori del pranzo, con la semplicità dei cibi consumati, nel silenzio, ascoltando le letture; i lunghi tempi della vita dei monaci (e dei brevi soggiorni degli ospiti) scanditi dalle campane e dalle preghiere; le essenziali celle, spesso in lunghi omologhi corridoi; le coltivazioni dei campi tutt’intorno.

Boatti fa anche percepire come, alcuni dei luoghi più rinomati al grande pubblico, siano essi quelli più popolari o quelli più vicini all’intellettualità, perdano un poco della riservatezza che l’iconografia vuole abbiano i monasteri, e che l’autore sembra preferire.

Essendo il libro strutturato in capitoli (quasi uno per abbazia), la lettura può seguire anche ritmi diversi dalla consueta sequenzialità, approcciando all’inizio il racconto di quei monasteri che, per frequentazione o per vicinanza geografica siano già noti, per consentire un tendere più graduale ad un testo che pagina dopo pagina consegna un senso di smarrimento, rispetto a scelte di vita così distanti dalla comune quotidianità perché per tante ore dedicate all’ora.

In quel “ora et labora” che spesso si intercala nelle pagine, serve certo al lettore per riorientarsi dallo smarrimento ed a Boatti per raccontare tante storie che incrociano il labora, declinandole in molteplici aspetti, e consentendo anche di poterne fare uso in questi mesi (anni) in cui le garanzie si riducono, a prescindere dai ruoli occupati sino a pochi giorni prima.

Si incontrano Vincenzo Maranghi, successore di Cuccia in Mediobanca che spesso, negli ultimi tempi della propria vita, si ritira in preghiera nell’Abbazia di Viboldone; i due ragazzi che trascorrono alcuni mesi nella falegnameria dell’eremo di Sant’Ilarione di Caulonia; il frate esperto di coltivazione dell’ulivo nei terreni intorno all’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore; i partecipanti nell’Abbazia di Praglia ai corsi dell’Abbey Programme, “metodo di formazione esperienziale nel quale imprenditori e professionisti, creativi e quadri aziendali si immergono per alcuni giorni nei dettami della Regola benedettina, traendone spunto per uno sguardo diverso del proprio ruolo”.

Esperienze che tracciano attimi di luce sulla vita dell’alta finanza, del lavoro artigiano, di quello contadino, della gestione d’impresa.

Su tanti temi, nella curata sezione bibliografica, Boatti fornisce al lettore uno spaccato di quanta letteratura e di quante personalità meno note al grande pubblico popolano la cultura italiana (e non solo) indicando, in particolare sul tema della cultura lavorativa, alcuni libri dove la Regola benedettina viene applicata alla gestione manageriale (quello di Paolo Bianchi edito da Xenia e quello di Nokter Wolf delle Edizioni Dehoniane).

E, forse proprio per questo, nel concludere la narrazione, l’autore non poteva non dedicare l’ultima riflessione al lavoro: “Lavorare, far bene quanto ci spetta sarà come sfiorare con le dita i contorni del tempo che passa e poterli ridefinire, così da farli nostri. Arriveranno nuovi giorni e nuove stagioni con le loro sfide – grate o ingrate che siano. Cerchiamo di scorgerle, di affrontarle. Di non scostarle via con indifferenza”.

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ZENIT Staff

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