Su vita e famiglia cattolici e ortodossi "possono parlare a una sola voce"

L’importanza dell’ecumenismo spiegata da padre Anthony Sevryuk, parroco della chiesa ortodossa russa di Santa Caterina d’Alessandria

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C’è una stradina in salita, nascosta tra gli alberi e una fitta schiera di palazzi, che conduce in un luogo che sembra un anfratto di Mosca nel cuore di Roma. È la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, chiesa ortodossa russa. La sua architettura è tipicamente bizantina, con una cupola turchese che si accosta elegantemente all’oro della cima sferica e al bianco della facciata. La si raggiunge dopo aver percorso una lunga rampa di scale che lambisce due cappelle più piccole. Giunti al suo ingresso, volgendo lo sguardo alle proprie spalle si intuisce quanto vicina sia la cupola di San Pietro. “Molti turisti russi si accorgono dell’esistenza di quest’edificio sacro a loro famigliare – racconta padre Anthony Sevryuk, archimandrita di Santa Caterina d’Alessandria – proprio mentre ammirano Roma dalla cupola di San Pietro”.

È molto giovane padre Anthony, come giovane è la chiesa di cui è archimandrita. Quest’anno si celebrerà il quinto anniversario della sua consacrazione. Prima di allora, gli immigrati russi in Italia frequentavano solo la chiesa di San Nicola Taumaturgo di via Palestro, costruita all’interno di palazzo Cernysciov, donato alla parrocchia negli anni ’30.

Negli anni ’90, poi, a seguito della caduta del Muro di Berlino “un gran numero di fedeli ortodossi del Patriarcato di Mosca – che comprende anche Paesi come l’Ucraina, la Moldova, il Kazakistan, specifica padre Anthony – immigrò in Italia”. Si rese dunque necessario costruire una struttura più grande. “Ogni domenica – prosegue padre Anthony – iniziarono ad essere presenti circa 300 fedeli alla liturgia, e la piccola cappella di via Palestro non poteva accoglierli tutti”.

L’ambasciata russa riacquisì così un proposito, quello di costruire una grande chiesa russa ortodossa a Roma, che esiste in realtà sin dal 1898, quando fu costituito un comitato per raccogliere fondi a questo scopo. Ma poi arrivò il 1917 – un anno cruciale della storia russa. “I tragici eventi della rivoluzione – racconta padre Anthony – bloccarono quell’aspirazione”. E il desiderio si realizzò così nel 1999, grazie a un’inopinata scoperta. “Si scoprì che questo pezzo di terreno appartiene a Villa Abamelek, al territorio diplomatico della residenza dell’ambasciatore russo”, racconta padre Anthony. Appena due anni dopo, nel 2001, fu posta la prima pietra, mentre nel 2009 venne finalmente consacrata. “Fu deciso di dedicarla alla martire Santa Caterina d’Alessandria, che in Russia è molto venerata – racconta l’archimandrita -. Sotto di questa c’è poi una cripta dedicata a Sant’Elena e a suo figlio, l’imperatore Costantino, che per noi ortodossi è santo”.

All’interno di questa cripta, di Sant’Elena è custodita una reliquia, dono dell’allora presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, il cardinale Walter Kasper. L’ecumenismo è un tema che padre Anthony ritiene interessante. “Per noi cristiani ortodossi – ammette – è un onore essere a Roma, una città sacra per tantissimi pellegrini provenienti dal Patriarcato di Mosca”. Al di là del profondo valore simbolico, confida che “coltiviamo buonissimi rapporti con la Chiesa cattolica: molti parroci ci offrono la possibilità di pregare presso le loro chiese, quando in esse vi siano reliquie di santi”. A tal proposito mi racconta che è ormai tradizione che ogni 24 maggio, giorno in cui gli ortodossi ricordano i Santi Cirillo e Metodio, i due fratelli che hanno portato il Cristianesimo ai popoli slavi, “celebriamo la liturgia nella Basilica di San Clemente, dove sono le reliquie di San Cirillo”.

Vivere in Occidente, offre tuttavia a padre Anthony anche di percepire “i segni” di quel “disarmo spirituale” di cui ha parlato Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, in occasione del Natale ortodosso. “In alcuni Paesi dell’Unione europea esistono leggi che noi, come cristiani, non possiamo approvare – osserva padre Anthony -. Mi riferisco soprattutto alle leggi che minano l’etica familiare”. Precisa poi che “in Italia la situazione è meno grave che altrove in Europa. Poco tempo fa abbiamo avuto ospite nella nostra parrocchia il rappresentante del Patriarcato di Mosca a Strasburgo, il quale ci ha raccontato cose preoccupanti”. Il ruolo dell’ecumenismo diventa allora determinante. “Penso – afferma padre Anthony – che le nostre due Chiese possono parlare ad una sola voce su questi problemi, poiché abbiamo una visione comune sui temi della famiglia, del matrimonio, della difesa della vita”. La riaffermazione dei valori cristiani nel mondo contemporaneo, rileva padre Anthony, passa inoltre per la “difesa dei cristiani in Medio Oriente, dove oggi i monasteri vengono distrutti e i vescovi rapiti”.

Situazione opposta a quella che si vive in Russia, dove chiese e monasteri vengono edificati in gran numero. Chiedo a padre Anthony di parlarmi della “rinascita spirituale” che sta attraversando il suo Paese. “Dopo la fine dell’ideologia comunista – è il suo pensiero -, molte persone sono tornate in Chiesa cercando la verità, cercando Cristo”. Vede nel 1988 l’anno zero di questa rinascita, quando “la Chiesa russa ha celebrato il millennio dal battesimo della Rus’, avvenuto a Kiev”. A partire da quell’anno zero hanno iniziato ad essere riaperti nuovi seminari e a crearsi nuove parrocchie. Mi spiega padre Anthony che quel periodo “lo chiamiamo il secondo battesimo della Rus’, che prosegue ancora oggi perché aumenta il numero di battezzati e di chi chiede di poter approfondire la propria fede”.

“È una cosa – continua – che percepisco anch’io, dall’Italia; ogni domenica organizziamo infatti catechesi per bambini ed adulti per rispondere alle tante richieste”. Il lavoro che padre Anthony Sevryuk svolge a Roma è tanto e impegnativo. Non solo opere pastorali, ma anche servizi amministrativi. È qui dal 2011, prima è stato segretario dell’attuale Patriarca di Mosca, Kirill. “L’esperienza che ho maturato al suo fianco sarà per me un bagaglio che mi servirà per tutta la vita – spiega -. Posso dire che senza l’esempio di dedizione e amore per la Chiesa del nostro Patriarca non sarei riuscito a svolgere questo lavoro”.

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Federico Cenci

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