Stupore e vicinanza con Dio per superare la cultura della morte

Monsignor Leuzzi incoraggia i docenti di Ginecologia e Ostetricia

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ROMA, lunedì, 2 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Domenica 1° febbraio, a Roma, nella Parrocchia di S. Maria in Traspontina, monsignor Lorenzo Leuzzi ha spiegato che la scelta per la civiltà dell’amore o per la cultura della morte dipenderà “dall’immagine di uomo sulla quale l’umanità desidera costruire il suo futuro”.

Nell’omelia svolta al termine di una settimana intensa di riflessione e di preghiera promossa dalle Cappellanie delle Facoltà di Medicina e Chirurgia delle Università di Roma e in particolare dai docenti di Ginecologia e Ostetricia, il Direttore dell’Ufficio per la Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma ha sottolineato la necessità di tornare allo stupore ed alla vicinanza con Dio.

“Il futuro – ha precisato il prelato – non dipenderà dalle prospettive socio-economiche”, perché “la crisi economica è, innanzitutto, crisi antropologica”.

“Il Signore non si lascia impressionare dalle nostre contraddizioni, dalla nostra ipocrisia”, ha commentato monsignor Leuzzi ed ha aggiunto: “Lasciamo tacere tutte le parole che inondano la nostra esistenza, che impediscono di ascoltare l’unica Parola di cui l’uomo ha veramente bisogno”.

“E’ la Parola dell’amore – ha infatti spiegato –, che ci riconosce per quello che siamo, che ricompone in unità la nostra vita, liberandoci da ogni forma di oppressione”.

Secondo il responsabile della pastorale universitaria, “c’è troppo silenzio intorno al Signore! C’è troppo rumore per sentire la Sua voce, ma soprattutto c’è troppa disinformazione che crea sfiducia e pregiudizio”.

“E la celebrazione della Giornata della vita sarebbe priva di significato storico se non fosse animata dal nostro personale incontro con il Signore”, ha osservato.

“L’uomo – ha affermato monsignor Leuzzi – non è destinato ad annullarsi nella storia. L’uomo può costruire la sua storia, può essere protagonista della sua esistenza. In altri termini: può ripartire”.

Per il prelato, la civiltà dell’amore che siamo chiamati a costruire è “la civiltà in cui l’uomo è accolto e riconosciuto per quello che è e non per quello che fa; in cui la sua dignità non dipende da nessuna autorità, ma gli appartiene in quanto uomo”.

Riferendosi ai ricercatori ed agli uomini della scienza medica, ha rilevato che “c’è ancora molto da stupirsi di fronte alla grandezza della vita umana, perché solo essa è fonte di libertà e non di costrizione, di amore e non di dominio”.

“La scienza – ha sottolineato monsignor Leuzzi – deve tornare ad essere la via dello stupore e non della ovvietà. Quando la vita umana nei laboratori e nelle cliniche è un oggetto ovvio perché tutto è già deciso, scompare lo stupore e con esso muore la speranza”, per questo “tanti giovani sono privi di speranza perché nessuno indica a loro la via dello stupore”.

“Ai discepoli di Cristo – ha sostenuto il responsabile dalla pastorale universitaria – tocca il grande compito di annunciare che l’uomo è immagine di Dio, protagonista di una esperienza storica da vivere nel tempo e che supera il tempo”.

Monsignor Leuzzi ha concluso l’omelia con un invocazione: “Che il Signore ci conceda di vivere ogni giorno nella gioia dello stupore di essere alla Sua presenza per suscitare nel mondo lo stupore del mistero di Dio e di quella creatura che ama per se stessa”.

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ZENIT Staff

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