Strasburgo dice no alla contraccezione forzata

Per la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è contraria alla libertà e alla dignità umana

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STRASBURGO, mercoledì 9 novembre 2011 (ZENIT.org) – La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha pronunciato ieri la sua sentenza sulle sterilizzazioni coatte di donne Rom in Slovacchia (VC c. Slovacchia, n°18968/07).

Secondo quanto riferito dal Centro europeo per la Legge e Giustizia (ECLJ), il tribunale europeo ha riscontrato fra gli altri una violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione europea, che riguardano il divieto di trattamenti inumani e degradanti e il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Secondo la Corte, “la sterilizzazione costituisce una importante interferenza con lo status di salute riproduttiva di una persona. Dato che riguarda una delle funzioni essenziali del corpo degli esseri umani, grava su molteplici aspetti dell’integrità personale dell’individuo, incluso il benessere fisico e mentale di lui o di lei e la vita emotiva, spirituale e familiare”.

“La Corte rileva – prosegue il testo della sentenza – che la procedura di sterilizzazione ha interferito pesantemente con l’integrità fisica della ricorrente in quanto è stata privata in tal modo della sua funzione riproduttiva. Al momento della sua sterilizzazione della ricorrente aveva vent’anni, e quindi in una fase iniziale della sua vita riproduttiva”.

Come ricorda l’ECLJ, si tratta del primo di una serie di ricorsi presentati presso la Corte europea da diverse donne di origine etnica rom che sono state sterilizzate in ospedali pubblici dal 1999 in Slovacchia, cioè dopo la caduta del regime comunista.

Una donna, sterilizzata nel 2000 durante il parto del suo secondo figlio presso l’Ospedale Pubblico di Prešov, sosteneva di aver firmato il modulo di consenso senza capire di che cosa si trattava ed ignorando inoltre la natura e le conseguenze dell’intervento. Secondo la denuncia, l’appartenenza della donna all’etnia Rom sarebbe stata un fattore decisivo nella decisione di proporle una sterilizzazione.

Anche se l’ECLJ accoglie favorevolmente la sentenza, tuttavia non condivide il ragionamento seguito dalla Corte, perché presenta alcune pecche ed apre la porta a possibili derive.

Come spiega l’ONG, i giudici europei sbagliano quando considerano la sterilizzazione contraccettiva una procedura medica. “Vi è una differenza enorme tra la sterilizzazione come metodo contraccettivo e la sterilizzazione per scopi terapeutici”, sottolinea il Centro guidato da Grégor Puppinck. La sentenza suggerisce infatti che si può “danneggiare l’integrità fisica senza alcun scopo medico o terapeutico”.

Sbagliata è anche l’opinione della Corte secondo cui il previo consenso informato è sufficiente per rimuovere il carattere disumano o degradante di certe azioni. “È un errore valutare la legittimità di un’azione da un punto di vista soggettivo, cioè il semplice consenso della persona all’azione”, osserva l’ECLJ.

Inoltre, per l’ECLJ la sentenza di Strasburgo suggerisce erroneamente che la libertà umana prevale sulla dignità umana. Anche se la Corte considera il principio della dignità umana alla pari del principio della libertà umana, di fatto non è così. Infatti, per i giudici il mero consenso elimina il divieto assoluto di trattamenti inumani e degradanti sancito dall’articolo 3 della Convenzione europea.

Nella sua reazione, l’ECLJ ha espresso anche rammarico per il fatto che i giudici non hanno voluto esaminare separatamente il ricorso ai sensi dell’articolo 12 della Convenzione, il quale garantisce il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia. Come ricorda l’ONG, gli stessi giudici hanno riconosciuto che l’intervento ha interferito “pesantemente” con la capacità della giovane donna di procreare.

Per l’ONG, con la sua sentenza di ieri la Corte ha “perso” un’opportunità per condannare una volta per tutte espressamente le pratiche eugenetiche, che dopo la Seconda Guerra Mondiale sono subentrate nei programmi per il controllo delle nascite.

Comunque – conclude l’ECLJ – i giudici di Strasburgo possono ancora rimediare, quando prossimamente dovranno pronunciarsi su casi analoghi.

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ZENIT Staff

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