Storia di una ladra di libri

La pellicola, in bilico fra la favola e una riflessione fatalista sui nostri destini, racconta la storia di una bambina che viene educata ai valori dell’amicizia e della solidarietà nel duro contesto del nazismo

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Germania, 1938. Liesel Meminger,una bambina di 10 anni, viene condotta in un piccolo paese tedesco per venire adottata da una coppia di coniugi anziani, Hans e Rosa. Liesel è rimasta sola perché sua mamma è stata arrestata con l’accusa di essere comunista. L’inizio di questa nuova vita è difficile per Liesel: è praticamente analfabeta, i compagni di classe la deridono perché sanno che sua madre è comunista; solo il piccolo Rudy si offre da subito di diventare suo amico. Il padre adottivo la aiuta a leggere il libro che Liesel porta sempre con se: si tratta di “Il manuale del becchino”, trovato per terra durante i funerali del suo fratellino. Dopo quel primo libro, Liesel sviluppa una grande passione per la lettura e non esita a sottrarre dei romanzi dalla libreria della casa del borgomastro di città, nella quale si era recata per consegnare un servizio di biancheria pulita…

Se non fosse per le bandiere naziste che sporgono dagli edifici pubblici, le stradine della cittadina dove vive la piccola Liesel, soprattutto quando sono imbiancate di neve, sembrano ricavate da una cartolina natalizia. I vicini di casa sono persone di grande bonomia come il padre dell’amico Rudy e di altri quattro figli, costretto a partire per la guerra o di grande generosità, come la moglie del borgomastro che, in ricordo del figlio morto in guerra, decide di mettere a disposizione di Liesel la sua libreria. Perfino l’ufficiale tedesco incaricato di perquisire la casa di Hans e Rosa manifesta toni amichevoli e invita Hans a iscriversi al partito nazista per poter finalmente trovare un lavoro che lo faccia uscire dalla povertà.

Il tono favolistico sottende tutto lo sviluppo della storia, ricavato dall’omonimo bestseller dello scrittore australiano Markus Zusak e anche se non mancano riferimenti precisi alla violenza nazista (la notte dei cristalli, i falò dei libri messi all’indice, la deportazione degli ebrei), le emozioni vengono sempre attutite, quasi a proteggere lo sguardo della piccola protagonista.

Il film sembra quindi inserirsi nell’attuale filone di rivisitazione del periodo nazista dove ci si è allontanati dagli stereotipi che ci provenivano da tanti film americani (i tedeschi tanto cattivi, gli alleati tanto generosi) per una analisi più realistica e più umana di come viveva la popolazione sotto la dittatura nazista.:la recente trasmissione su Rai3 del serial TV tedesco Generation warne è una conferma.

In realtà il film è stato soggetto a critiche, in quanto proprio su questo punto si è discostato dalla storia raccontata nel libro: nella versione originale Hans e Rosa hanno un altro figlio che aderisce in modo fanatico all’ideologia nazista, riproducendo, in modo più realistico, quel misto di consenso e di dissenso che ebbe il regime.

In realtà al regista Brian Percival (Downton Abbey) e allo sceneggiatore Michael Petroni (Le Cronache di Narnia – Il viaggio del veliero) interessa soprattutto rendere manifesto il messaggio principale che è presente anche nel romanzo: mostrare come l’amore per la letteratura e la passione per lo scrivere costituiscano un ottimo strumento per trascendere una realtà opprimente e aprire l’immaginazione a spazi degni della propria dignità e coerenti con la nostra insopprimibile aspirazione alla felicità.

Il racconto si sviluppa come un cammino di crescita intellettuale di Liesel, dal primo libro (un manuale per becchini) letto stentatamente con l’aiuto del padre adottivo, a L’uomo invisibile di Wells, fino a quando inizia a scrivere lei stessa, incoraggiata da Max, l’ebreo rifugiato nella cantina della loro casa. Una crescita che trae alimento da un piccolo mondo di affetti: i genitori adottivi, Max, la moglie del borgomastro ma soprattutto il coetaneo Rudy che forse sta diventando più di un amico.

Il film è stato accusato di aver costruito una favola intorno a un nazismo edulcorato e a un resoconto dell’olocausto di circostanza. Personalmente non condivido tale posizione: lo spettatore target è quello della prima adolescenza a cui si cerca di trasmettere l’amore per la lettura e la scrittura; una cruda rappresentazione dell’epoca nazista avrebbe distolto la pellicola dal suo obiettivo primario.

Una osservazione merita invece la presenza, a intervalli, di una voce di sottofondo che non si qualifica ma che viene ben presto riconosciuta come la personificazione della morte e che con le sue sentenze in merito al fatto che in ogni caso dobbiamo tutti morire, dà alla pellicola un tono di distaccato fatalismo. Ciò crea un problema di disarmonia: il tono fatalista si somma all’approccio favolistico del film che a sua volta si appoggia sulla cruda realtà del periodo nazista. Tanti “toni” diversi non fanno una buona orchestrazione. Siamo lontani da La vita è bella (1997) di Benigni, che fu un capolavoro di equilibrio fra tragedia e poesia.

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Titolo Originale: The Book Thief
Paese: USA, Germania
Anno: 2013
Regia: Brian Percival
Sceneggiatura: Michael Petroni tratta dal romanzo omonimo di Markus Zusak
Produzione: FOX 2000 PICTURES, STUDIO BABELSBERG
Durata: 131
Interpreti: Geoffrey Rush, Emily Watson, Sophie Nélisse, Ben Schnetzer, Nico Liersch

Per ogni approfondimento: http://www.familycinematv.it

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Franco Olearo

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