Speranza, ottimismo e gioia nel Beato Clemente

Una riflessione sulla biografia del Beato Clemente Vismara

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di padre Piero Gheddo

ROMA, venerdì, 25 novembre 2011 (ZENIT.org).- L’amico Massimo mi scrive: “Leggo la bella biografia di padre Clemente: mi sono commosso parecchie volte, le vicende di questo Beato raccontate nei suoi scritti toccano il cuore. Però le chiedo: cosa insegna a me, padre di famiglia e impegnato a fondo nel mio lavoro, la vita di padre Vismara? Mi ha dato alcune ore di serenità, di avventura, di poesia; ho imparato da lui l’amore agli altri, la dedizione e il sacrificio, lo spirito di preghiera. Ma la mia vita è così diversa e lontana dalla sua…”.

Caro amico, il Beato Clemente Vismara (beatificato il 26 giugno scorso in Piazza Duomo a Milano) insegna a noi tutti almeno una cosa: dobbiamo vivere la nostra vita, qualunque essa sia, non guardandola con occhi umani, ma con gli occhi di Dio. Allora troviamo forza, serenità, gioia, coraggio, ottimismo. Vismara viveva di fede e questo trasfigurava la realtà nella quale ha passato 65 anni. Per lui tutto era poetico e gioioso, mentre in realtà era banale e a volte disumana. Il popolo tribale poverissimo e “primitivo” per il quale ha dato tutta la vita avrebbe potuto renderlo pessimista, arido, triste. Invece Clemente potrebbe essere definito “il santo della gioia”, trasmetteva la gioia di vivere e la speranza di un futuro migliore.

Il suo ottimismo, che veniva dalla fede e dalla molta preghiera, gli ha dato il coraggio e la forza di trasformare il suo popolo. Quando sono andato a trovarlo nel febbraio 1983, aveva 86 anni ed era ancora parroco a Mong Ping, con un giovane coadiutore birmano del quale diceva solo bene. Gli ho chiesto se era contento dei suoi cristiani e mi risponde: “Contentissimo! Vorrei tanto che voi in Italia prendeste esempio da loro: dalla loro fedeltà alla preghiera, alla Chiesa e ai Comandamenti di Dio, all’amore del prossimo. Danno buon esempio anche a me… Io sono convinto che, quando tornerà la pace, su queste montagne e tra queste foreste vi sarà una primavera cristiana che stupirà il mondo. Spero di esserci ancora a quel tempo”.

Ecco l’ottimismo di Clemente Vismara, che non corrispondeva alla realtà dei fatti visti con gli occhi umani (come la vedevo io), ma certamente corrispondeva alla visione che Dio aveva di quel popolo. Clemente non era assolutamente un ingenuo, ma era un “santo” e anche attraverso la sua dedizione e il suo esempio, oggi abbiamo una Chiesa birmana, nata dagli “ultimi”, oggi veramente esemplare. Se Clemente fosse stato scoraggiato e pessimista, avrebbe combinato poco o nulla. Era entusiasta della sua vocazione e i risultati oggi si vedono.

Per questo, quando parlo sul tema missionario, dico sempre che il primo dono da fare ai missionari non sono i soldi, ma la preghiera. I soldi ci vogliono, ma vengono dopo: prima serve la preghiera. Per un motivo molto semplice: la vita missionaria è fondata sulla fede. Se il missionario vive di fede, la sua vita è bellissima; quando invece la fede si indebolisce, anche la vita missionaria diventa difficile, insulsa, insopportabile. Ma questo, caro amico, vale non solo per i missionari: vale per tutti i cristiani! Le nostre vite sono tutte difficili, diventano belle ed entusiasmanti solo se viste con gli occhi di Dio.

La biografia di Clemente, spogliata dei toni epici e avventurosi, mette bene in risalto che questo santo missionario viveva in una realtà miserabile: isolamento, mancanza di ogni comodità, villaggi di paglia e fango, guerriglia, briganti, orfani, vedove, lebbrosi, oppiomani, miseria, fame, ignoranza, malattie epidemiche… Non solo, ma le sue lettere (ne abbiamo raccolte ormai più di duemila!), sono in fondo ripetitive quanto mai. Parla sempre di orfani, sacchi di riso, capanne in cui piove dentro, cavalli, foreste, malattie, guerre, feste (“festoni” diceva lui, per indicare che erano feste grandi) di povera gente affamata, nelle quali si ammazzava un bue, due maiali e cinque capre e alla fine della festa “non si avanzava manco la coda”. Perchè fare festa là vuol dire soprattutto mangiare a crepapelle.

Perchè queste lettere divertono, piacciono a decenni di distanza? Perchè dicono cose interessanti? Nemmeno per sogno. Perchè ci vedi dietro un uomo realizzato, felice pur in una situazione miserabile.

Cosa insegna la vita di padre Clemente? Se noi fossimo capaci, come lui, di trasfigurare con la fede le nostre giornate, i nostri problemi e le nostre sventure, saremmo le persone più felici di questo mondo. Perchè, oggettivamente, viviamo in condizioni cento volte migliori delle sue. Ci manca la fede. O meglio, non ne abbiamo abbastanza. E’ un dono che dobbiamo chiedere a Dio, per intercessione del beato Clemente Vismara.

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ZENIT Staff

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