Spagna: selezione di embrioni in un ospedale con partecipazione della Chiesa

Nell’Hospital San Pablo di Barcellona pratiche contrarie all’etica cristiana

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BARCELLONA, venerdì, 29 luglio 2011 (ZENIT.org).- Dopo che il Vaticano ha espresso la sua preoccupazione per la situazione in relazione all’aborto di alcuni ospedali della Catalogna legati alla Chiesa, certe voci hanno avvertito di altre pratiche contrarie alla vita nel suo stato embrionale in questi centri.

Il sacerdote di Barcellona che ha denunciato la situazione presso la Santa Sede nel maggio scorso, Custodio Ballester, ha affermato che nell’Hospital San Pablo di Barcellona “si praticano anche la sperimentazione genetica e la selezione di embrioni umani”.

Nella serie di servizi offerti dall’ospedale – nel cui patronato ci sono in parti uguali l’Arcivescovado, il Comune di Barcellona e la Generalitat della Catalogna –, è incluso effettivamente quello di “Sterilità e riproduzione assistita”.

Casi pubblici

Esperti dell’Hospital San Pablo e della Fondazione Puigvert hanno esposto pubblicamente a Barcellona nel marzo scorso il procedimento che hanno seguito per ottenere la nascita di una bambina senza una mutazione genetica che la predisponeva a soffrire di cancro al seno.

I gramndi mezzi di comunicazione spagnoli si sono fatti eco della notizia vista la novità del fatto che il sistema pubblico avesse finanziato le spese, con l’autorizzazione della Generalitat e della Commissione Nazionale di Riproduzione Umana Assistita.

La bambina è nata sana nel dicembre scorso. Vari embrioni candidati non sono stati scelti per svilupparsi e nascere, mentre un altro è stato impiantato nell’utero accanto a quello scelto per non ereditare la malattia.

Il direttore del Programma di Riproduzione Assistita e responsabile di Ginecologia dell’Hospital San Pablo, Joaquim Calaf, ha spiegato all’epoca che l’altro embrione senza carico genetico selezionato era stato sottoposto a tecniche di congelamento per decisione della coppia.

Ha anche detto che gli altri portatori del gene sarebbero stati eliminati o consegnati alla ricerca. Dopo aver sottoposto la donna a un trattamento ormonale di stimolazione ovarica, le sono stati estratti gli ovuli e sono stati fecondati con il seme di suo marito in vitro.

E’ stata poi realizzata la tecnica di diagnosi pre-impianto per selezionare gli embrioni liberi dai geni ereditari che predispongono a soffrire della malattia.

Un altro dei programmi esposto pubblicamente dagli specialisti dell’Hospital San Pablo e dalla Fondazione Puigvert, nel giugno 2009 in un congresso a Barcellona, è stato quello dell’“ovodonazione altruista”.

Questo programma cercava di rispondere “alla necessità di un gruppo importante delle nostre pazienti che hanno bisogno di ricevere ovociti donati per realizzare il proprio desiderio di maternità”, hanno indicato.

Per questo, è stato selezionato un primo gruppo di pazienti che avevano problemi di sterilità ed è stata chiesta “la collaborazione di quelle pazienti del nostro programma di FIV” che rispettassero alcuni requisiti.

Tra il maggio 2007 e il dicembre 2008, 16 pazienti hanno accettato di donare in modo altruistico alcuni ovociti a condizione che almeno 10 ovociti maturi fossero per loro.

“Hanno beneficiato 17 ricettrici, con una media di 4,5 ± 0.8 ovociti per ricettrice – hanno spiegato gli esperti –. In tutti i cicli tranno in uno sono stati ottenuti embrioni atti al trasferimento”.

“Sono state ottenute 8 gestazioni evolutive al di là della 10ma settimana di gestazione (47%) e una gestazione biochimica – hanno aggiunto –. Il tasso di gestazione delle donatrici è stato del 62,5%, con crioconservazione di embrioni eccedenti in 9 dei cicli”.

Morale cattolica

Circa il trattamento dell’infertilità, l’Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede su alcune questioni di bioetica intitolata “Dignitas personae” (1995) indica la necessità che le nuove tecniche mediche rispettino, tra le altre cose, il diritto alla vita di ogni essere umano fin dal suo concepimento.

L’Istruzione “Donum Vitae” ha evidenziato già nel 1987 che la fecondazione in vitro comporta molto spesso l’eliminazione volontaria di embrioni.

Quel documento segnala che “l’inseminazione artificiale omologa all’interno del matrimonio non può essere ammessa, salvo il caso in cui il mezzo tecnico risulti non sostitutivo dell’atto coniugale, ma si configuri come una facilitazione e un aiuto affinché esso raggiunga il suo scopo naturale”.

Alla necessità di rispettare la vita umana fin dal concepimento, ribadita nei documenti vaticani e negli interventi pubblici del Papa, introduce sfumature l’Istituto Borja di Bioetica, consulente dell’Hospital San Juan de Dios di Esplugues de Llobregat e la cui sede si trova nella sua stessa area.

In una monografia sull’embrione umano della sua rivista “Bioètica & Debat” pubblicata nel 2009, l’Istituto Borja ritiene difficile considerare individuo l’embrione prima del suo impianto.

Il testo indica che “prima dell’impianto in nessun caso di può parlare di aborto perché la gestazione non è ancora iniziata”.

Con questa stessa premessa, ad esempio, il cappellano dell’Ospedale materno-infantile San Juan de Dios di Esplugues giustifica che la pillola del giorno dopo non è abortiva.

L’Istituto Borja di Bioetica, dell’Università Ramon Llull e presieduto da un sacerdote gesuita, è stato ammonito pubblicamente dai Vescovi della Catalogna nel 2005 per la pubblicazione della sua Dichiarazione verso una possibile depenalizzazione dell’eutanasia.

La linea rossa

Secondo il coordinatore del segretariato interdiocesano di pastorale della salute della Conferenza Episcopale di Tarragona, Alfons Gea, “la selezione di embrioni è contro la vita e questo non può tollerare”.

“Che cosa si fa con gli altri embrioni che non arriveranno a nascere? Semplicemente li uccidono o li manipolano, e sono embrioni che sono fecondati”, ha denunciato.

Per Gea, la Chiesa può incidere positivamente negli ospedali con l’umanizzazione della salute, le cure palliative, la fine della vita…, ma c’è una linea rossa che non si deve oltrepassare e si riferisce al rispetto della vita umana.

“Questa manipolazione non si può ammettere, si trova in quello che significa passare la linea rossa – ha aggiunto –, e se l’ospedale non vuole smettere di compiere queste pratiche la Chiesa deve porsi l’unica alternativa di abbandonare la sua responsabilità direttiva”.

Nella lettera di risposta alle denunce di Ballester, il Pontificio Consiglio per gli Agenti Sanitari afferma di essere “consapevole della sfida che si presenta soprattutto per gli ospedali cattolici, perché sono chiamati a tutelare e difendere la vita umana in una cultura della morte”.

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ZENIT Staff

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