Spagna: per i Vescovi una legge “apre la porta” all'eutanasia

Lettera pastorale dei Vescovi aragonesi

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di Nieves San Martín

SARAGOZZA, lunedì, 9 maggio 2011 (ZENIT.org).- Mercoledì scorso è stata resa nota la lettera pastorale “Solo Dio è il Signore della Vita”, dell’episcopato delle Diocesi dell’Aragona (Spagna), pubblicata in occasione della promulgazione, da parte del Governo autonomo aragonese, della “legge sui diritti e le garanzie della dignità della persona nel processo di morire e nella morte”.

I presuli denunciano che la legge permetterebbe di fatto l’applicazione dell’eutanasia, oltre al fatto di “non considerare il diritto dei professionisti del settore sanitario all’obiezione di coscienza”.

Le Cortes dell’Aragona hanno approvato il 24 marzo scorso la norma, abbreviata dai media come “legge della morte degna”. L’Aragona è la seconda comunità autonoma, dopo l’Andalusia, ad approvare una norma in una materia che sarà oggetto di una legge statale del Governo centrale. Senza attendere questo provvedimento, i Governi autonomi hanno iniziato a legiferare, dando luogo a possibili differenze tra spagnoli quanto all’esercizio dei loro diritti nell’itinerario di fine vita.

Per i Vescovi aragonesi, le leggi sanitarie esistenti, gli orientamenti delle società mediche e scientifiche e l’impegno quotidiano dei professionisti sanitari a favore del malato sono sufficienti nella pratica quotidiana a risolvere i dubbi che possono sorgere.

Pur ritenendo positive la richiesta della legge di migliorare l’assistenza ai malati in fase terminale e alle loro famiglie, inclusa la fase del lutto, e quella di una migliore dotazione a livello di medicina palliativa, ospedaliera e domiciliare, sottolineano che questa legge “potrebbe proteggere azioni di eutanasia coperta, per abbandono terapeutico o sedazione finale inadeguata, e costringere i medici e il personale sanitario a compiere o a collaborare ad azioni contrarie ai principi etici fondamentali e al vero scopo della medicina”.

“Almeno, dà la sensazione di poter aprire la porta a ciò”, commentano.

“La vita umana è sempre un bene inviolabile e indisponibile”, sottolineano i presuli. “Il suo valore fondamentale è espresso e tutelato dal comandamento ‘Non uccidere’. Di fronte a questa norma morale non c’è alcuna eccezione”.

“Il valore intrinseco e la dignità personale di ogni essere umano non cambiano, qualunque siano le circostanze concrete della sua vita. Un uomo, anche gravemente malato o impedito nell’esercizio delle sue funzioni superiori, è e sarà sempre un uomo”, ribadiscono.

I Vescovi ricordano anche che “il fine della medicina, e quindi di ogni azione medica, è il bene del malato”, che include una vera relazione medico-paziente non meramente tecnica, ma “profondamente umana”.

D’altro canto, “la persona è, fin dal primo istante della sua esistenza, essenzialmente relazionale”.

“Qualità di vita” e “falsa pietà”

I pastori aragonesi avvertono anche del pericolo dell’uso dell’espressione “qualità di vita”. Il fatto che qualcuno sia diventato un “peso” per gli altri o per se stesso per il suo grave deterioramento fisico o mentale “non significa che la sua vita non valga la pena di essere vissuta, che sia una vita senza valore vitale”, dichiarano. La sua stessa esistenza sfida la medicina “a scoprire aiuti e terapie adeguate per il malato”.

Per questo, “abbandonarlo alla sua sorte o eliminarlo, facendosi scudo con una falsa pietà”, è “una gravissima ingiustizia dei forti sui più deboli”.

“Chi ha autorità legittima per decidere che qualcuno non ha il diritto di esistere?”, si chiedono.

“La prima e fondamentale condizione per poter vivere la morte con dignità è sapere che si sta alle porte della morte”, proseguono i Vescovi. “La seconda condizione è l’impegno a non lasciare solo il malato o la sua famiglia”.

I presuli si dicono contrari alla “cospirazione del silenzio”, il fatto di nascondere al malato la verità. “Ha il diritto di sapere la verità sulla sua situazione, a meno che vi rinunci coscientemente o ci sia un sospetto fondato che possa essere dannoso per lui”.

Obiezione di coscienza

I Vescovi segnalano anche che il professionista sanitario non è un mero anello di una catena o un ingranaggio nel centro medico, ma “un soggetto morale personalmente responsabile delle proprie azioni”.

Per questo, “la libertà di coscienza è un diritto umano fondamentale”, affermano indicando che “esistono il diritto e il dovere all’obizione di coscienza quando il professionista si vede costretto  a collaborare a un’azione intrinsecamente ingiusta”.

La legge in questione, denunciano, “non considera il diritto dei professionisti del settore sanitario all’obiezione di coscienza, il che rappresenta una grave carenza”.

I presuli offrono quindi un principio chiaro del magistero, “non abbreviare intenzionalmente la vita né ritardare indebitamente la morte”, e ricordano “il dovere morale di curarsi e di farsi curare”, sottolineando anche che “è eticamente rilevante distinguere tra malattia cronica e malattia in fase terminale”.

Nel primo caso, bisogna assistere il paziente e la sua famiglia perché possano vivere bene la malattia. Nel secondo, bisogna assistere il malato e la famiglia perché possano vivere eticamente la morte.

Quando il paziente si trova di fronte all’imminenza di una morte inevitabile, affermano, “è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare ad alcune cure che procurerebbero solo un prolungamento precario e penoso dell’esistenza, ma non interrompendo le cure normali dovute al malato in casi simili”.

“La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all’eutanasia, ma esprime l’accettazione della condizione umana davanti alla morte”.

A un paziente in stato vegetativo permanente, osservano, si devono fornire le cure ordinarie, come l’alimentazione e l’idratazione, anche se con mezzi artificiali (sonda).

“La mancanza di fondate speranze di recupero in questi malati non può giustificare eticamente l’abbandono terapeutico o l’interruzione delle cure normali al paziente”, che “equivarrebbe a un’azione di eutanasia per omissione”.

Sedazione

I Vescovi dedicano un ultimo punto del documento al trattamento del dolore e alla sedazione palliativa.

La sedazione, osservano, non è moralmente sbagliata in sé, ma “non ogni azione sedativa è sempre positiva”.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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