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“Solo negli altri si realizza se stessi”: l'eredità di Madre Teresa

Il biografo Lush Gjergji racconta i suoi 28 anni a contatto con la futura Santa

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Manca poco alla canonizzazione di Anjeze Gonxhe Bojaxhiu, nota al mondo come Madre Teresa di Calcutta, che verrà officiata da papa Francesco, domenica 4 settembre, in piazza San Pietro, tra le cerimonie più attese di questo Giubileo della Misericordia. Per saperne di più sul percorso spirituale e di vita della fondatrice delle Missionarie della Carità, nata da genitori albanesi a Skopje, in Macedonia, nel 1910, ai tempi dell’Impero Ottomanno, ZENIT ha incontrato il suo biografo Lush Gjergji, attuale vicario generale della Diocesi del Kosovo, di origine albanese come la religiosa. Scrittore e giornalista, autore di numerosi di pubblicazioni e libri sulla futura Santa, Gjergji ha seguito, da vicino, l’esemplare vita della “suora- coraggio”, dal 1969 fino al 1997, anno della sua morte.
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Padre Lush, può raccontarci chi era davvero Madre Teresa?
Anjeze Gonxhe era una ragazzina come tante, che sognava di fare l’insegnante, con una spiccata inclinazione per la musica e la danza, i cui sogni furono interrotti all’età di 12 anni dalla prima chiamata del Signore, che la reclamava come sua sposa. Fu allora che si imbatté in una vera e propria “lotta con Dio” come amava lei stessa definirla, durata sei anni fino al suo “armistizio” e l’obbedienza al richiamo. Fu infatti il 14 agosto 1928 che la futura Madre Teresa iniziò il noviziato nella Congregazione delle Suore Missionarie di Nostra Signora di Loreto. Di certo, l’educazione fortemente cattolica impartita dai suoi genitori, la tradizione albanese dell’ospitalità e la frequentazione assidua della Parrocchia del Sacro Cuore hanno influenzato le scelte della giovane Gonxhe (Germoglio), incoraggiandola a seguire le orme di Gesù.
Domenica 4 settembre sarà canonizzata da Papa Francesco. Come mai è stata proclamata Santa?
È la sua vita stessa, al servizio dei malati e diseredati, un esempio vivente della sua santità. Sin dai primi anni di vita in famiglia prestava servizio presso la Parrocchia del Sacro Cuore, per poi scegliere il noviziato presso l’ordine irlandese delle Suore missionarie di Loreto, con l’obiettivo di recarsi in India. Dapprima, frequentò l’Università di Calcutta, studiando Storia e Geografia e insegnandole a sua volta ai figli dei coloni. E così fece per vent’anni, dividendosi tra didattica e direzione di istituti scolastici. E infine arrivò “la chiamata nella chiamata”, come la definì la stessa Teresa: un altro richiamo di Gesù che la convinse a rinunciare agli agi del suo ordine religioso per scendere in strada, in mezzo ai più poveri tra i poveri. E così per 50 anni, dal 1946 al 1997, è stata al servizio degli emarginati e malati, nelle “slum” di Calcutta, baraccopoli prive di qualunque servizio igienico, dove ha fondato le sue case di accoglienza e l’ordine delle Missionarie della Carità, riconosciuto dalla Chiesa nel 1950.
In che modo Madre Teresa è riuscita a parlare al cuore di tutti – cristiani, induisti, musulmani – con la stessa efficacia?
Madre Teresa rappresenta un fenomeno raro e unico nella storia dell’umanità. Non è solo una Santa per i cristiani ma, in un certo senso, anche per gli atei, i miscredenti, gli induisti, i musulmani. È riuscita ad affrontare i mali economici, sociali e spirituali di un Paese come l’India, grazie allo sviluppo di una civiltà dell’amore, sfidando anche l’ordine sociale indiano delle caste, avvicinandosi ai paria e scegliendo come abito un sari celeste, il colore degli intoccabili, i più in basso secondo lo schema sociale indiano. Ella rappresenta l’attuazione in carne ed ossa del quinto vangelo.
Ci può raccontare qualche episodio inedito sulla vita della Santa?
Sì, certo, mi ricordo ancora quando, da parroco, mi prese la mano e mi disse: “Guarda attentamente la tua mano. Hai cinque dita, ogni mattina domandati cosa fare quest’oggi con queste dita per il Signore e alla sera, esaminando entrambi i palmi, chiediti cosa hai fatto di buono per Gesù e per l’umanità e cosa farai domani per entrambi”. Era un esempio vivente della bontà e carità divina: instancabile nella sua missione di soccorso.
Nel 1979, Madre Teresa fu insignita del premio Nobel per la Pace. Quale fu la reazione in Albania, sua terra d’origine?
Il regime marxista dittatoriale instaurato da Enver Hoxha dal 1941 al 1985, non consentiva di confessare la religione cattolica, né di festeggiare, appunto, il Nobel della sua concittadina. A Madre Teresa fu anche impedito di recarsi in visita a Tirana dalla sua famiglia fino al 1989, quando fu ristabilita la libertà religiosa e ottenne, per la prima volta, il passaporto albanese, solo dopo il crollo del regime comunista. La privazione familiare, unita al dispiacere per il proprio Paese, sottoposto a una rigida dittatura, ha accresciuto in lei il desiderio di essere utile agli altri, come ella stessa dichiarò al consesso del Nobel: “Le opere dell’amore sono opere della pace; l’amore per il prossimo è una grande medicina”. Oggi, invece, in Albania, è stata istituita la festa nazionale ogni 19 ottobre, per commemorare il Nobel dell’albanese più famosa nel mondo.
Cosa direbbe Madre Teresa ai giovani per reagire a questa ondata di attentati di matrice fondamentalista islamica?
Per Madre Teresa la risposta è l’amore: servire e donarsi a Dio vuol dire amare il prossimo senza alcuna distinzione. Con la sua vita esemplare è stata in grado di riunire le caste indiane, al di là delle differenze culturali, religiosi e di sesso. Il suo messaggio è: “Solo negli altri si realizza se stessi”.
In suo onore il governo del Kosovo ha allestito un concerto di musica classica. Quando avrà luogo?
Nella basilica di San Paolo Fuori le Mura, la sera di sabato 3 settembre, alla vigilia della canonizzazione si terrà il concerto Inno a Madre Teresa, prodotto da Dijana Toska. Un festeggiamento dedicato alla fragile suora missionaria che, a vent’anni dalla sua morte, ancora unisce i popoli e i credo, come dimostrano i componenti dell’orchestra, quasi tutti musulmani, offertisi volontari per suonare in suo onore, in accordo al suo spirito di pace e al suo messaggio universalistico. La cerimonia si svolgerà alla presenza del Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e di mons. Juliusz Janusz, delegato apostolici in Kosovo.
 

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Rita Ricci

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