"Soegija", un film tratto dal diario di mons. Albertus Soegijapranata

A realizzare la pellicola sull’indipendenza indonesiana è stato il regista musulmano Garin Nugroho

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ROMA, sabato, 10 marzo 2012 (ZENIT.org).- Una figura fondamentale dell’indipendenza indonesiana che ha saputo fondere valori cristiani e sentimenti nazionalisti: monsignor Albertus Soegijapranata, primo vescovo autoctono ed eroe nazionale. A raccontarcelo nel film «Soegija» – diminutivo affettuoso con cui era chiamato – è uno dei registi indonesiani più affermati, Garin Nugroho. Non un cattolico, ma un musulmano convinto che il cinema dell’arcipelago abbia bisogno di una maggiore pluralità religiosa. «E’ impossibile – dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre – che 60 anni dopo l’Indipendenza non esista ancora un film che dia voce ad un punto di vista non islamico». L’Indonesia è ancora un Paese troppo radicale che «deve maturare la propria religiosità». Ecco perché, spiega Nugroho, «ho voluto occuparmi di una figura determinante per la nascita del concetto di multiculturalità indonesiano».

Non c’è da stupirsi dunque se «Soegija», che uscirà nelle sale soltanto il 7 giugno, ha già incontrato i favori dell’arcivescovo di Giacarta, monsignor Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo. I cattolici indonesiani sono appena l’11,8% a fronte del 79% di musulmani, e la Chiesa ha più volte denunciato la crescente islamizzazione e l’incapacità governativa di difendere le minoranze. «Il cinema – ha detto monsignor Suharyo – è un ottimo mezzo per trasmettere agli indonesiani l’immensa eredità cristiana di monsignor Soegija».

La pellicola è ispirata dal diario di Soegijapranata e racconta il lasso di tempo che intercorre tra la sua nomina a vicario apostolico di Semarang, nel 1940, e la fine della guerra con gli olandesi nel 1949. Un decennio burrascoso e decisivo per la storia dell’arcipelago che il regista descrive attraverso personaggi indonesiani, giapponesi e olandesi, con la figura del presule a fungere da trait d’union.

Il film si apre nel cortile della Chiesa di Gedangan a Semarang. Soegijapranata ha appena ricevuto l’ordinazione a vicario apostolico, firmata da quel monsignor Montini che poi diverrà Paolo VI. Tre mesi prima, la resa olandese all’esercito hitleriano aveva messo la parola fine a 300 anni di occupazione coloniale. Ma lo stato d’assedio durerà poco e nel giugno 1941 il Giappone inizia la conquista dell’Asia sudorientale. Gli indonesiani accolgono l’arrivo nipponico come una liberazione ma il presule, cosciente di quanto accaduto alla Chiesa giapponese, non si fa illusioni. Ben presto i «liberatori» si macchieranno di arresti arbitrari e torture, imporranno i lavori forzati e causeranno milioni di morti per fame attraverso la confisca dei beni alimentari.

Il 14 agosto del 1945 il Giappone si arrende agli Stati Uniti e due giorni dopo il presidente Sukarno dichiara l’Indipendenza dell’Indonesia. Ma il travaglio dell’arcipelago non finisce qui e gli olandesi si fanno nuovamente avanti, spalleggiati dagli inglesi. Ha inizio la Rivoluzione Nazionale indonesiana. In seguito ad un’attenta riflessione, Soegijapranata decide di appoggiare i rivoluzionari. Indimenticabili le parole del presule pronunciate alla radio nel 1947: «Noi cattolici di Indonesia ci schieriamo con la Repubblica affinché sia realizzata una vera e totale indipendenza». Il desiderio si avvera il 27 dicembre, con il riconoscimento olandese della Repubblica degli Stati Uniti di Indonesia.

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ZENIT Staff

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