"Senza etica, niente sviluppo". Parola di Maradiaga

In un saggio recentemente pubblicato, l’arcivescovo di Tegucicalpa riflette sull’economia degli ultimi 50 anni e sulla crisi globale “frutto di un capitalismo senza regole”

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Si intitola “Senza etica, niente sviluppo” il saggio del cardinale Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucicalpa, pubblicato recentemente dalla Editrice Missionaria Italiana. Il testo raccoglie articoli del presidente di Caritas Internationalis e del Consiglio dei cardinale apparsi sulla rivista “Mondo e Missione” e una lectio doctoralis pronunciata dal porporato il 10 maggio 2013, in occasione dell’assegnazione di una laurea honoris causa da parte dell’Università di Parma.

L’Arcivescovo afferma che, negli ultimi 50 anni, l’economia è andata assumendo un ruolo sempre più rilevante nel campo delle scienze sociali, influenzando le decisioni politiche da cui dipendono lo sviluppo e la giustizia dei popoli.

Ma, come osserva la Caritas in Veritate, lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano nelle loro coscienze l’appello al bene comune.
In tal senso il cardinale Maradiaga osserva come la crisi globale scoppiata nel 2008, “frutto del mercato-casinò e del capitalismo senza regole”, rappresenta il volto “buio” della globalizzazione finanziaria.

Il presidente di Caritas Internationalis compie un’articolata disamina della situazione economica attuale, caratterizzata da una crisi finanziaria che affonda le sue radici in una smodata ricerca del profitto e in un distacco dalla produzione di beni e servizi concreti. In particolare, il porporato segnala come oggi sia “normale scommettere sui titoli e sull’andamento dei mercati al solo scopo di ottenere un profitto slegato dall’economia reale”. Ed evidenzia connotati negativi al punto di paragonarli a quelli dei regimi comunisti e il Terzo Reich: “Come il comunismo e il nazionalsocialismo, ogni sistema di organizzazione del mondo che sacrifichi la realtà dell’esistenza umana a un’ideologia cieca è da condannare”.

“La globalizzazione ha creato la percezione che le possibilità di consumo e di godimento siano illimitate”, afferma Maradiaga. Tanto più che oggi – denuncia – “è dimostrato che le morti per fame superano quelle causate dalle mitragliatrici e dai campi di concentramento vecchia maniera (nazisti o sovietici) o moderna (come i campi di ‘accoglienza’ per i migranti), o dai ghetti per le minoranze”.

L’Arcivescovo di Tegucigalpa si domanda poi come agire per costruire un futuro positivo con gli strumenti dell’economia globale. La risposta si articola su uno sviluppo che prevede la crescita di tre fattori: “Il mantenimento della vita, la stima e la libertà”, sia a livello individuale che sociale.

Tre valori che, secondo il cardinale salesiano, “si realizzano in tutte le dimensioni della vita umana, da ciò ne deriva che, a seconda del concetto che si ha dell’essere umano, sarà possibile mirare a un raggiungimento maggiore o minore del concetto di sviluppo”.

Più precisamente, è la via “etica” quella che il cardinale Maradiaga chiede all’economia finanziaria di percorrere. Attenzione, non si tratta dell’etica a valenza moralistica, bensì della salvaguardia dei propri stessi interessi: “L’etico non è esterno ai problemi di ordine economico”, afferma, “la dimensione etica, espulsa dal capitalismo, deve essere una dimensione costitutiva, intrinseca alla definizione integrale di qualsiasi problema umano”.

Ancor più nello specifico l’economia – ribadisce il presidente del C8, è chiamata a percorrere la “via etica” lasciandosi sempre interpellare da “un interrogativo fondamentale”: “Quale posto occupa l’uomo nelle forme attuali della globalizzazione?”.

Un interrogativo centrale che ogni uomo di economia dovrebbe farsi. “Che posto occupa l’essere umano nelle forme attuali della globalizzazione? Questa è la domanda fondamentale”, rimarca Maradiaga. Un esempio concreto di economia non etica? Elogia infine quegli imprenditori che non delocalizzano le loro imprese: “Certamente l’imprenditore sta facendo politica nel senso buono della parola quando aiuta la patria rimanendo nel paese per continuare a produrre impiego, a investire e a costruire nella concretezza del momento presente”.

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Carmine Tabarro

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