Se l'unica obiezione tutelata rischia di essere quella animalista

Obiezione di coscienza 2 | Un lodevole richiamo amministrativo, ma…

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di Mauro Paladini*

ROMA, domenica, 14 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Con nota del 3 settembre 2012 il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha provveduto a rammentare a tutte le Istituzioni Universitarie il contenuto della Legge 12 ottobre 1993, n. 413, contenente norme sull’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale. In conformità, infatti, all’art. 3, comma 5, della citata legge – che prevede che tutte le strutture pubbliche e private legittimate a svolgere sperimentazione animale hanno l’obbligo di rendere noto a tutti i lavoratori e gli studenti il loro diritto ad esercitare l’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale – docenti e studenti delle università italiane dovrebbero aver ricevuto nei giorni scorsi, anche a mezzo posta elettronica, un modulo da compilare e consegnare ai competenti uffici, nel quale dichiarare, ove lo vogliano, la loro obiezione di coscienza ad ogni atto connesso con la sperimentazione animale.

Si tratta di un lodevole richiamo amministrativo all’attuazione di una delle poche leggi che, in Italia, disciplinano il fenomeno dell’obiezione di coscienza, fenomeno consistente – secondo la definizione di autorevole dottrina – nel “rifiuto individuale, pubblicamente espresso, di tenere il comportamento, imposto da un obbligo giuridico di fare, che la coscienza ritiene ingiusto in forza di una norma etica, religiosa, filosofica, sentita più vincolante della norma giuridica” (F. Mantovani, Obiezione di coscienza tra presente e futuro, in Iustitia, 2011, 141). Le altre normative aventi ad oggetto tale delicato incrocio tra diritto e morale sono quelle che consentono l’obiezione di coscienza agli operatori sanitari ed ausiliari per le pratiche di interruzione della gravidanza (art. 9, legge n. 194/78) e per le procedure di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (art. 16, legge n. 40/2004). Le norme che regolavano l’obiezione di coscienza al servizio militare sono state superate, invece, dall’introduzione del servizio militare professionale. Da ricordare, peraltro, che il diritto all’obiezione di coscienza è riconosciuto nel Trattato di Lisbona (art. 10), che rinvia alle leggi nazionali per disciplinarne l’esercizio.

E’ apprezzabile e condivisibile lo spirito animalista, sottostante a quella disciplina legislativa, la cui attuazione è oggetto di puntuale segnalazione anche nei riguardi di docenti e studenti che, per difetto di qualsivoglia affinità di materia, non saranno mai chiamati ad attività di laboratorio che possano implicare sperimentazione su essere viventi animali. Tuttavia, la nota del Miur induce a riflettere su quante analoghe attività – pur in mancanza di altrettanto specifica indicazione legislativa – vengano compiute dalla amministrazioni competenti per assicurare il libero esercizio dell’obiezione di coscienza negli altri settori nei quali parimenti essa è prevista dalla legge.

E’ opportuno rammentare, invero, che l’art. 9, legge n. 194/1978 stabilisce che “Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte …agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione” e tale dichiarazione, nel caso di personale dipendente dell’ospedale o della casa di cura, deve essere comunicata “entro un mese … dal conseguimento dell’abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione di tali prestazioni”. Il rispetto del termine è previsto a pena di decadenza, posto che “l’obiezione può sempre …venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione”.

Anche la legge n. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita – non diversamente dalla legge sull’interruzione volontaria della gravidanza – è avara di previsioni in ordine ad obblighi legali di diffusione informativa della facoltà di esercizio dell’obiezione di coscienza e, conseguentemente, non constano attività amministrative funzionali a promuovere e raccogliere le eventuali dichiarazioni di adesione.

La sola preoccupazione del legislatore è, ancora una volta, quella di assicurare che la dichiarazione di obiezione di coscienza sia resa tempestivamente e che, anche se tardiva, i suoi effetti siano dilazionati di un mese dopo la sua presentazione (art. 16).

D’altro canto, la sensazione che intorno all’obiezione di coscienza incentrata sulla vita umana aleggi un velo di diffidenza (piuttosto che di riconoscimento e protezione) emerge anche da alcune linee di pensiero, di cui ha avuto modo di occuparsi recentemente la giurisprudenza. Si pensi, ad esempio, che – con deliberazione 15 marzo 2010 n. 735 – la Giunta Regionale della Puglia, in tema di “potenziamento del percorso di nascita” (!), ha previsto che fosse garantita, all’interno dei Consultori la presenza di un medico ginecologo “non obiettore” e di due ostetriche “non obiettrici”. L’obiettivo del provvedimento consisteva nell’evidente intento di impedire che l’attività di consulenza e assistenza all’interno dei Consultori, ove compiuta da personale obiettore, potesse “disincentivare” il ricorso a pratiche abortive. La palese greve discriminazione è stata espunta dalla sentenza del Tar Puglia n. 3477/2010, che ha riconosciuto che la qualità di obiettori non rende inaffidabili medici e ostetriche rispetto allo svolgimento di un’attività di assistenza psicologica, consultiva e istruttoria all’interno di una struttura ove – com’è noto – non si svolgono pratiche interruttive della gravidanza.

In definitiva, si avverte sempre di più l’esigenza di un ripensamento organico delle ipotesi di obiezione di coscienza, almeno nel senso di garantire analoghi livelli di informazione, consapevolezza e libertà di esercizio a tutti i soggetti potenzialmente coinvolti nel dilemma tra obblighi normativi e imperativi morali. In ciascuna delle ipotesi previste dalla legge – e anche in quelle non ancora previste, ma già presenti nel contesto sociale e nel dibattito politico – è presente il conflitto tra contrapposti diritti e interessi (privati o pubblici): il sentimento e il rispetto verso gli animali, l’interesse alla ricerca scientifica, la salvaguardia della salute della donna, la tutela della vita umana. Proviamo ad auspicare che anche per l’obiezione di coscienza per la difesa della vita dei nascituri e degli embrioni l’impegno delle pubbliche amministrazioni non sia inferiore a quello profuso a tutela delle cavie e degli animali.

* Professore Associato di Diritto Privato,
Facoltà di Giurisprudenza,
Università degli Studi di Brescia

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ZENIT Staff

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