Santità, conversione, correzione

RIO DE JANEIRO, martedì, 20 settembre 2011 (ZENIT.org).- La santità è “l’obiettivo fondamentale di ogni cristiano”, ha ricordato monsignor Orani João Tempesta, Arcivescovo di Rio de Janeiro (Brasile).

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In un articolo, il presule ha riconosciuto che la Chiesa “è santa e peccatrice: santa in quanto istituita da Cristo e perché ha tutti i mezzi per la salvezza di tutti, peccatrice nei suoi membri, che ancora camminano nella penombra e non si sono convertiti”.

Il concetto di Chiesa “santa ma composta da membri peccatori” significa anche che “l’intera comunità ecclesiale tende alla perfezione e aspira costantemente alla santità”, ha indicato l’Arcivescovo, segnalando che per raggiungerla “esistono i mezzi della grazia, e in particolare i sacramenti”.

In virtù della vocazione comune di tutti i battezzati alla santità, ha proseguito, “tutti sono chiamati al pentimento e alla rinuncia al peccato”, obiettivi da conseguire “con la preghiera, le risorse spirituali che abbiamo e di cui disponiamo, il dono della grazia presente nei sacramenti, in particolare nella Penitenza e nell’Eucaristia, ma anche con la capacità di stabilire comunione e solidarietà tra noi”.

I santi, infatti, non lo diventano da soli, “ma all’interno della struttura della comunione della comunità ecclesiale”.

“Chi rigetta la correzione fraterna non riconosce l’amore di Dio”, ha avvertito il presule.

Ad ogni modo, “la correzione fraterna non deve essere confusa con il pretesto di dominio”, ma va “esercitata con sensibilità e con vero spirito di dialogo e di fraternità”.

“Se un fratello sta sbagliando perché il suo comportamento suscita la preoccupazione di tutti, è necessario che migliori il suo modo di agire, e l’intervento della Chiesa, quando necessario, può essere decisivo”.

Quando, malgrado la correzione, la persona non l’accetta e persiste nell’errore, “è chiaro che ha fatto la sua scelta di continuare a stare nel peccato”. “Dobbiamo allora considerarlo una persona che deve ancora essere iniziata nella fede: un pagano”.

Se però “un fratello sbaglia, se persiste nell’errore, ma in nome di una falsa amicizia o della paura lo lasciamo continuare in questo, finiremo per essere corresponsabili per il suo errore, perché non lo aiutiamo con la correzione fraterna”.

Nel Vangelo, “Gesù ci invita a imparare ad avere un dialogo costruttivo tra noi, attraverso la trasparenza. Ciò si fa soprattutto manifestando all’altro il male che ha commesso e indicando un cammino di guarigione”.

“Qual è la chiave per iniziare?”, chiede monsignor Tempesta.

“L’amore, la capacità di perdonare, il che impedisce che l’altro si ponga sulla difensiva e mi rende consapevole del fatto che io in primo luogo ho bisogno di essere perdonato da Dio e dai fratelli”.

Per questo, l’Arcivescovo ha esortato a chiedere a Dio “di imparare a non essere omissivi, ma responsabili della vita dei nostri fratelli, e a fare tutto per amore, cercando sempre la via della santità”.

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ZENIT Staff

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