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Santa Maria Maggiore. Il Papa: "La misericordia non ci fa il photoshop, ma rinnova il cuore!"

Nella seconda meditazione del Giubileo dei sacerdoti, Francesco esorta i preti, nei momenti di ‘turbolenza’ spirituale, a guardare Maria e piangere. Perché “un prete capace di questo è un buon figlio, e quindi un buon padre”

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Entra con un mazzo di fiori, Papa Francesco, nella Basilica di Santa Maria Maggiore dove tiene la seconda meditazione degli esercizi per sacerdoti e seminaristi in occasione del loro Giubileo. L’omaggio floreale è per la Salus Populi Romani, l’effige della Vergine che, dopo oggi, Francesco ha visitato ben 35 volte. Proprio a Maria il Pontefice dedica ampia parte della sua riflessione che prende le mosse dal concetto chiave della prima meditazione pronunciata poco prima a San Giovanni in Laterano: “Il ricettacolo della Misericordia è il nostro peccato”. Spesso, però – osserva il Papa – “accade che il nostro peccato è come un colabrodo, come una brocca bucata dalla quale scorre via la grazia in poco tempo”.

Dio non si stanca di perdonare, non è un pelagiano

Da qui la necessità che il Signore esplicita a Pietro di “perdonare settanta volte sette”. “Dio – ribadisce Francesco – non si stanca di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono. Anche quando vede che la sua grazia sembra non riuscire a mettere forti radici nella terra del nostro cuore, quando vede che la strada è dura, piena di erbacce e sassosa, Egli non si stanca di perdonare, semplicemente perché Dio non è pelagiano. Egli torna nuovamente a seminare la sua misericordia e il suo perdono”.

Cuori ri-creati

E il Signore “non solo non si stanca di perdonarci, ma rinnova anche l’otre nel quale riceviamo il suo perdono”, sottolinea Francesco. “Utilizza un otre nuovo per il vino nuovo della sua misericordia, perché non sia come un vestito rattoppato o un otre vecchio”. “Il cuore che ha ricevuto misericordia non è un cuore rattoppato ma un cuore nuovo, ri-creato” afferma Bergoglio, e “questa seconda creazione è ancora più meravigliosa della prima” perché “è un cuore che sa di essere ricreato grazie alla fusione della sua miseria con il perdono di Dio”.

“Nell’esercizio di questa misericordia che ripara il male altrui, nessuno è migliore, per aiutare a curarlo, di colui che mantiene viva l’esperienza di essere stato oggetto di misericordia circa il medesimo male”, spiega il Santo Padre. Lo sanno bene “coloro che lavorano per combattere le dipendenze, coloro che si sono riscattati”: sono quelli “che meglio comprendono, aiutano e sanno chiedere agli altri”.

I grandi Santi? Tutti ex grandi peccatori

“Il miglior confessore è di solito quello che si confessa meglio”, dice il Papa. Non a caso “quasi tutti i grandi santi sono stati grandi peccatori o, come santa Teresina, erano consapevoli che era pura grazia preveniente il fatto di non esserlo stati”. Pensiamo a Paolo, la cui “durezza di giudizio lo spingeva ad essere un persecutore”. Proprio “nel duro e inflessibile ricettacolo del suo giudizio modellato dalla Legge” egli riceve quella misericordia che lo trasforma nell’apostolo “più comprensivo” dei lontani.

Pensiamo pure a Pietro che “è stato sanato nella ferita più profonda che si può avere, quella di rinnegare l’amico”. Proprio quel fatto lo trasformò “in una pietra solida sopra la quale si può sempre edificare, perché è pietra debole che è stata sanata, non una pietra che nella sua forza fa inciampare il più debole”.

Ancora, pensiamo a Giovanni “guarito nella sua superbia di volere riparare al male col fuoco”, o Agostino “guarito nella sua nostalgia di essere arrivato tardi all’appuntamento. Questo lo faceva soffrire tanto: «Tardi ti ho amato»; e troverà quel modo creativo di riempire d’amore il tempo perduto, scrivendo le sue Confessioni”. Poi Francesco il cui “ricettacolo definitivo è stato il dover custodire in misericordioso silenzio l’Ordine che aveva fondato”, dovendo vedere “che i suoi fratelli si dividono prendendo come bandiera la stessa povertà”.

“Il demonio ci fa litigare tra di noi nel difendere le cose più sante, però con spirito cattivo”, commenta Bergoglio. E passa in rassegna altre figure di peccatori risanati dalla misericordia di Dio: Ignazio “guarito nella sua vanità” o il parroco di campagna presentato nel Diario di Bernanos che negli ultimi istanti della sua improvvisa malattia, si riconcilia con sé stesso e afferma: «Amare sé stessi umilmente, come una qualsiasi delle membra sofferenti di Gesù Cristo». 

Nella riflessione del Vescovo di Roma emerge pure la figura di un suo connazionale, el Cura Brochero, il Beato argentino che presto sarà canonizzato, che “si lasciò lavorare il cuore dalla misericordia di Dio”. “Il suo ricettacolo finì per essere il suo stesso corpo lebbroso”. E infine il cardinale Van Thuan, il quale imparò in carcere “a distinguere tra ‘le cose di Dio’, alle quali si era dedicato nella sua vita quando era in libertà come sacerdote e vescovo, e Dio stesso, al quale si dedicava mentre era incarcerato”.

Maria, “recipiente di misericordia semplice e perfetto”

Salendo la scala dei santi, nella ricerca dei recipienti della misericordia, il Papa arriva alla Madonna, “recipiente semplice e perfetto, con il quale ricevere e distribuire la misericordia”. “Il suo ‘sì’ libero alla grazia è l’immagine opposta rispetto al peccato che condusse il figlio prodigo verso il nulla”, evidenzia il Pontefice. Il suo Magnificat è quello “di un cuore integro, non bucato, che guarda la storia e ogni persona con la sua materna misericordia”.

Quella preghiera sotto lo sguardo della “Morenita”

A proposito di sguardi, Francesco ripercorre il suo recente viaggio in Messico e quei circa 20 minuti trascorsi davanti alla Vergine di Guadalupe. “Lasciandomi guardare da lei – racconta – le ho chiesto per voi, cari sacerdoti, che siate buoni preti. E nel discorso ai vescovi ho detto loro che avevo riflettuto a lungo sul mistero dello sguardo di Maria, sulla sua tenerezza e la sua dolcezza che ci infonde coraggio per lasciarci raggiungere dalla misericordia di Dio”.

Lo sguardo di Maria purifica da ogni ‘cataratta’ che non lascia vedere Cristo nelle anime

Il Papa indica allora alcuni “modi” che ha la Madonna di guardare, “specialmente i suoi sacerdoti, perché attraverso di noi vuole guardare la sua gente”. “Maria – spiega – ci guarda in modo tale che uno si sente accolto nel suo grembo. Ella ci insegna che l’unica forza capace di conquistare il cuore degli uomini è la tenerezza di Dio”.  Lo spazio che i suoi occhi aprono “non è quello di un tribunale o di un consultorio professionale”. Perciò “se qualche volta notate che si è indurito il vostro sguardo, che quando avvicinate la gente provate fastidio o non provate nulla – avverte il Papa – guardate di nuovo a lei, guardatela con gli occhi dei più piccoli della vostra gente, che mendicano un grembo, ed Ella vi purificherà lo sguardo da ogni ‘cataratta’ che non lascia vedere Cristo nelle anime, vi guarirà da ogni miopia che rende fastidiosi i bisogni della gente, e da ogni presbiopia che si perde i dettagli, la nota scritta ‘in piccolo’, dove si giocano le realtà importanti della vita della Chiesa e della famiglia”.

“La misericordia non ci fa il photoshop, ma rinnova il cuore”

Un altro “modo di guardare di Maria” è legato al tessuto: “Maria osserva ‘tessendo’, vedendo come può combinare a fin di bene tutte le cose che la vostra gente le porta”, annota il Papa. La misericordia – soggiunge – “non ci ‘dipinge’ dall’esterno una faccia da buoni, non ci fa il photoshop, ma con i medesimi fili delle nostre miserie e dei nostri peccati, intessuti con amore di Padre, ci tesse in modo tale che la nostra anima si rinnova recuperando la sua vera immagine, quella di Gesù”.  E c’è poi un terzo modo che è quello dell’attenzione: “Maria osserva con attenzione, si dedica tutta e si coinvolge interamente con chi ha di fronte, come una madre quando è tutta occhi per il suo figlioletto che le racconta qualcosa”. Come insegna la bella tradizione guadalupana, la “Morenita” custodisce gli sguardi di coloro che la contemplano.

“Occorre imparare che c’è qualcosa di irripetibile in ciascuno di coloro che ci guardano alla ricerca di Dio”, dice il Papa, “tocca a noi non renderci impermeabili a tali sguardi, perché un sacerdote che si rende impermeabile agli sguardi è chiuso in se stesso”. Inoltre, “solo una Chiesa capace di proteggere il volto degli uomini che bussano alla sua porta è capace di parlare loro di Dio”.

Ai vescovi: “State attenti ai vostri sacerdoti”… 

Una raccomandazione, in tal senso, a tutti i vescovi: “State attenti”, ammonisce Bergoglio, “è imparate a leggere gli sguardi dei vostri sacerdoti, per rallegrarvi con loro quando sentono la gioia di raccontare quanto hanno fatto e insegnato, e anche per non tirarsi indietro quando si sentono un po’ umiliati e non possano fare altro che piangere perché hanno rinnegato il Signore e anche per sostenerli, in comunione con Cristo, quando qualcuno, abbattuto, uscirà con Giuda ‘nella notte’”. “In queste situazioni, che non manchi mai la paternità di voi, Vescovi, con i sacerdoti”, rimarca il Pontefice, “promuovete la comunione tra di loro”.

…. e ai sacerdoti: “Nei momenti oscuri guardate alla Madre”

Una parola – a braccio – anche ai preti: “Quando voi sacerdoti – dice il Papa – avete momenti oscuri, brutti, quando non sapete come arrangiarvi nel più intimo del vostro cuore, vi dico guardate la Madre, andate e lasciatevi guardare da Lei. In silenzio, anche addormentandovi… In quei momenti brutti, forse con tanti sbagli che vi hanno portato lì, da questa sporcizia farà ricettacolo di misericordia”.

Piangere sotto il manto di Maria. Chi è capace di questo è un buon prete, perché un buon figlio, e quindi un buon padre”

Prima di concludere, Francesco richiama una bella immagine conservata nel suo studio regalatagli dal mosaicista Marko Rupnik della Vergine che fa scendere Gesù dalle sue mani disegnate come scalini. “Gesù da una parte ha la pienezza della legge, dall’altra si aggrappa al manto della Madonna. Anche Lui si aggrappa al manto della Madre. E i monaci della tradizione russa affermano che nelle turbolenze spirituali bisogna trovare rifugio sotto il manto della Madonna. Senza vergogna, senza grandi discorsi… Stare lì e lasciarsi coprire, guardare. E piangere”.

Perché, afferma il Santo Padre, “quando troviamo un prete che è capace di questo, andare dalla Madre e piangere, nonostante tanti peccati, io posso dire: è un buon prete, perché è un buon figlio, sarà un buon padre”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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