San Vitaliano: un 'eroe' cristiano, pastore e contemplativo

Omelia di mons. Bertolone al termine della processione in onore al santo patrono di Catanzaro

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Riprendiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata ieri da monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, al termine della processione con il busto argenteo di san Vitaliano, santo patrono di Catanzaro, per le strade della città.

***

1.     Carissimi presbiteri e persone di vita consacrata, carissimi fedeli laici, signor Prefetto, signor Sindaco e voi tutti, amici e fedeli della Chiesa di Catanzaro-Squillace, benvenuti!

Siamo tutti qui, dopo il pellegrinaggio per le vie della nostra città, per perpetuare pubblicamente la devozione plurisecolare per il nostro santo Vitaliano, patrono di Catanzaro e dell’Arcidiocesi. Un santo, Vitaliano, il cui culto abbiamo in comune con molte zone dell’Italia Meridionale e, in particolare con la diocesi di Capua – la seconda Roma, come la chiamavano gli antichi – di cui egli fu Pastore dal 693 al 718, nella zona della Capua antica (oggi Santa Maria Capua Vetere); ma anche il santo che ci accomuna con la diocesi di Napoli, il cui Calendario marmoreo – risalente all’VIII secolo ed ora conservato nei pressi del Duomo – registra anche il culto al nostro Vescovo sulle sue lastre marmoree.

2.     Sì, mi piace anzitutto sottolineare questa comunanza tra Chiese e popoli del Meridione, favorita dal nostro Patrono. È un segno molto bello di fraternità e di amore tra i popoli della medesima area mediterranea, tutti figli ed esponenti dell’unica Chiesa di Cristo, accomunati da un “eroe” cristiano che fu Pastore e Contemplativo. Soprattutto, ci sentiamo affratellati intorno ad un Vescovo, Vitaliano, il quale ha custodito fedelmente il gregge a lui affidato, ha mantenuto ferma la sua fede cristiana, ha sopportato pazientemente le calunnie infondate sulla sua persona, ha superato assalti e violenze, ha additato il valore della contemplazione e dell’orazione, oltre che dell’azione.

Lungo la via Appia, nel basso Lazio, nel territorio della diocesi di Nola, nell’intero Sud, risuona, perciò giustamente il nome di san Vitaliano, particolarmente in chiese a lui dedicate. Più sorelle e fratelli, anche fuori dai confini della nostra città e diocesi, invocano Dio, mediante l’intercessione del nostro Patrono, di cui la città di Catanzaro, anzi l’intera Diocesi di Catanzaro-Squillace, a partire dal Medioevo alto, va giustamente fiera.

3.     Credo sia giusto porre l’accento sulla fraternità fra Chiese favorita da un Vescovo, cioè da colui che, tra i credenti, è appunto il segno visibile del Cristo-capo del corpo, che è la Chiesa. Ed ancor più ritengo opportuno dover levare alto questo grido nei giorni in cui sulle spiagge della nostra diocesi, non lontano da qui, a Borgia, sono arrivati decine di profughi in cerca di speranza, quasi tutti bambini e adolescenti. Siate fratelli: siamo fratelli. Ecco perché guardiamo particolarmente a san Vitaliano come Vescovo. Il Vescovo nella comunità, è, per il Battesimo e gli altri sacramenti, il punto di unione, di confluenza, di comunione e di apostolato, intorno a cui tutti gli altri ministri ordinati si muovono in un’azione coordinata, a vantaggio di ogni membro del corpo, la Chiesa, innestato sul Capo, che è Gesù Cristo. In questo senso, un Vescovo è come il capo coro per suonare armonicamente la partitura che Dio ha affidato alla sua Chiesa oggi, ognuno con i suoi doni, o carismi, che il Signore stesso, con la potenza dello Spirito santo, continua a suscitare in mezzo al popolo e spargere sul corpo della sua sposa, che è questa Chiesa diocesana, per renderla tutta pura, tutta bella, tutta ben congegnata e costruita, tutta santa.

4.     Se amiamo e veneriamo Vitaliano, sorelle e fratelli carissimi, dobbiamo, dunque, anche amare intensamente il Vescovo, colui che, tra noi, è posto come segno, ovvero come colui che il Signore stesso ha collocato nella successione apostolica, a vantaggio di Catanzaro-Squillace, le cui parole e la cui voce questo gregge, che è la Chiesa particolare, deve sempre più imparare a riconoscere e, soprattutto, ad amare. Si domandava, nel 1964, Paolo VI, il papa che indisse il primo Anno della fede nell’immediato dopo-Concilio: «Chi è un Vescovo? Chi è, innanzi tutto, di fronte a Dio, chi è in se stesso, prima ancora che noi pensiamo alla sua funzione in seno alla Chiesa?». Ed egli stesso rispose, sottolineando il servizio che ogni vescovo è chiamato ad esercitare a vantaggio della gente: «L’Episcopato non è un onore che sta a sé; è il carattere d’un particolare ministero, cioè è una dignità che accompagna e sostiene un servizio a vantaggio altrui; sappiamo bene che non è una elevazione fine a se stessa, ma per il bene della Chiesa; l’Episcopato, dirà S. Agostino «nomen est operis, non honoris»; e Vescovo non è chi «praeesse dilexerit, sed prodesse», cioè non lo è chi ama l’onore più dell’onere, chi desidera precedere più che giovare (De civ. Dei, 19, 19; P.L. 41, 647); e S. Gregorio Magno, con S. Benedetto (Reg. 64, 8), ripeterà: «Oportet magis prodesse, quam praeesse» (Reg. Past. 11, 6)».

5.     Ecco il Vescovo, ecco Vitaliano, ecco ogni Vescovo: soprattutto uno che deve giovare al popolo di Dio, prima che essere posto “prima”; il Vescovo, un’etichetta che dichiara, in primo luogo, le opere della fede da compiere, piuttosto che l’onore da ricevere. Invocando san Vitaliano vescovo, oggi il vostro Vescovo intende, perciò, dichiarare la sua dedizione ed il suo amore totale per voi, uno ad uno; ma, in particolare, intende dichiarare un amore di particolare predilezione per gli ultimi, gli emarginati, i poveri, gli ammalati nel corpo, nella psiche e nell’anima, i disperati che non riescono a trovare soluzioni plausibili per il loro futuro immediato e prossimo. Siano essi italiani o malesi, egiziani, siriani o di qualunque altra razza, etnia o nazionalità: Cristo non ha mai alzato bandiere diverse da quelle dell’amore e della carità.

In un’Italia il cui sistema di valori sembra essere preda di una deriva che lo fa andare per fatti propri, il verbo amare può diventare una forza di mobilitazione che renda i cittadini di nuovo attivi e non più passive. In un Paese come il nostro, in cui la partecipazione politica langue, abbiamo milioni di persone impegnate nel volontariato: c’è una grande disponibilità verso le persone più vulnerabili, che se venisse drenata come si fa con il corso di un fiume sarebbe in grado di dare nuova linfa alla politica stessa, immettendo in essa quella dose di gratuità e di dono necessarie per ripartire.

Coraggio, sorelle e fratelli, non tutto è perduto, anche quando tutto sembra nero: il Signore provvederà per il suo popolo e sarà trarre pane anche dalle pietre! Invochiamo l’intercessione del nostro patrono affinché ottenga dallo Spirito santo le forze e, soprattutto, le soluzioni, anche tecniche ed economiche, per risuscitare la speranza in mezzo alla nostra gente!

6.     Nello stadio della nostra città, il 6 ottobre 1984, il beato Giovanni Paolo II, chiedendo l’intercessione di san Vitaliano, parlò significativamente della Dedicazione della Cattedrale, che è anche il luogo della cattedra del Vescovo. Allora egli ricordò che, prim’ancora del tempio di pietra – in cui inabita lo Spirito Santo ed in cui si raduna la comunità credente – il primo concreto tempio di Dio è l’essere umano vivente, soprattutto in quanto essere spirituale ed inabitato dalla grazia di Dio. Allora il Vescovo di Roma ci parlò della bellezza e della dignità dell’essere umano, particolarmente se in grazia, cioè senza peccato e riconciliato con Dio e con i fratelli. Oggi il vostro Vescovo, dalla stessa cattedrale in cui sono conservate le reliquie del santo Patrono, intende ribadire che il peso e la consistenza (la gloria!) di Dio tra noi si vede anzitutto dalle persone umane, d
al loro volto, dalle loro opere. Sono infatti le persone viventi che rendono presente il Vivente, che è Cristo; sono le persone vive ed operose che rendono gloria a Dio e rendono visibile il Signore tra noi. Ma soltanto se hanno abbandonato ogni via delle tenebre e del peccato, ogni azione di sopruso e di violenza, ogni contiguità con qualsiasi forma e decisione che, anche lontanamente, fosse connivente con l’illegalità e la criminalità.

7.     L’invito che ci viene dal vescovo Vitaliano, carissimi fratelli e sorelle, è, insomma, alla conversione: siate, siamo, degni simboli terreni della gloria di Dio! Convertitevi, convertiamoci in questo Anno della Fede, e crediamo fermamente al Vangelo, che è una Persona, Gesù Cristo, prim’ancora che un Libro scritto! Dobbiamo riscoprire la capacità di rispondere non solo a noi stessi, ma anche al debito di gratitudine che abbiamo verso gli altri: dobbiamo restituire i prestiti che nella vita ci sono stati fatti dagli altri, attraverso virtù come la coerenza e la responsabilità, che è risposta a un appello.

La parola «gloria» è un termine che la Sacra Scritturaci fa continuamente pronunciare, e non solo riferita a Dio, ma all’essere umano. Ma non all’uomo per se stesso, bensì all’uomo su cui splende la luce di Dio: «Si è dispiegata su di noi la luce della tua faccia, o Signore!, hai riempito di gaudio il mio cuore» (Sal 4, 7), diremo col Salmista. Ma soprattutto, sorelle e fratelli carissimi, lo diremo con una vita cristiana, una vita di fede, che vuole rompere con ogni struttura di peccato e perseguire soltanto il bene delle comunità e della persona. Amen!

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ZENIT Staff

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