San Giovanni Battista, il Precursore di Gesù

Omelia di padre Piero Gheddo, del PIME, nella Solennità del 24 giugno

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di padre Piero Gheddo

ROMA, domenica, 24 giugno 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo l’omelia tenuta da padre Piero Gheddo, del PIME, alle Missionarie dell’Immacolata nella Solennità della Nascita di San Giovanni Battista.

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Festa solenne, l’unico santo, con la Madre di Gesù, di cui è festeggiata la nascita (24 giugno) e la morte, la decollazione (29 agosto). La sua testa è conservata nella Moschea madre di Damasco. Oggi si festeggia la nascita, a sei mesi della nascita di Gesù. E’ uno dei santi più popolari in Oriente come in Occidente, quello del quale Gesù ha fatto l’elogio maggiore: “In verità vi dico: fra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista” (Matt, 11, 11). Tre riflessioni:

1)  E’ il più grande di tutti perché la sua missione era di annunziare prossima la venuta del Redentore, del Messia atteso da secoli dal popolo ebraico. La sua missione era semplicemente di annunziare il Messia e di annunziarlo nel deserto, nelle mortificazioni, nel quadro di una vita fuori dai palazzi dei grandi, fra la gente più povera e peccatrice, quasi a sparigliare le carte di coloro che attendevano un Messia glorioso, potente, capo di un esercito invincibile, che avrebbe fatto rinascere le glorie passate di Israele, popolo eletto.

No, Giovanni predica nel deserto, promette un Messia umile e nascosto, tuona contro le passioni e le infedeltà del popolo d’Israele. Insomma, dava fastidio a tutti: da un lato dava segni indubbi di essere mandato da Dio, la gente lo riteneva un santo; dall’altro predicava un Messia diverso da quello atteso e le autorità anche religiose del popolo ebraico non gli credono, come non hanno creduto a tanti altri profeti mandati da Dio in passato e come non crederanno allo stesso Gesù.

Anche noi siamo annunziatori di Cristo in un mondo che non lo vuole, perché dà fastidio. Anche la nostra missione di cristiani e di persone consacrate è questa: annunziare Cristo, unico Salvatore dell’uomo, che è già in mezzo a noi. Anche per noi la missione è sacrificio, rinunzia, deserto, mortificazione, umile servizio al popolo, nascondimento. E’ l’unico scopo della nostra vita, non possiamo fallirlo.

2)  Il grande Giovanni non entra nel numero dei discepoli e degli Apostoli di Cristo. Annunzia Cristo e poi scompare. Gesù ha detto che non c’è un santo così grande come Giovanni il Battista, ma poi aggiunge: “Il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di lui”. Perché questa specie di contraddizione?

Il giudaismo non poteva produrre un santo più grande, più nobile, più saggio del Battista; ma la Chiesa, l’Alleanza del Nuovo Testamento, ogni vita cristiana (anche la nostra) sono di un ordine superiore perchè vengono dal sacrificio di Cristo sulla Croce. Ecco la grandezza della vita cristiana e più ancora della nostra di consacrati.

Giovanni è stato incarcerato e poi ucciso, proprio mentre Gesù inizia il suo ministero e gira i villaggi facendo miracoli e predicando che il Regno di Dio è vicino.

Possiamo immaginare quanto è stato penoso per Giovanni essere in carcere mentre i suoi discepoli venivano a dirgli di Gesù che predicava, compiva miracoli. Nelle sue catene doveva limitarsi a immaginare il Cristo e ascoltare da lontano gli echi delle meraviglie da Lui compiute. Ma lui aveva la sua missione e quando Gesù compare in scena, ha accettato di scomparire. Dice: “In mezzo a voi c’è uno che voi non conoscete… Bisogna che egli cresca e io diminuisca”.

Mons. Aristide Pirovano diceva ai missionari partenti: “Voi portate Cristo ai popoli, non portate voi stessi! Quanto più siete vicini a Cristo e rappresentate Cristo nella vostra vita, tanto più la vostra missione sarà benedetta ed efficace”.

Giovanni ha accettato i limiti della sua missione: annunziare Cristo, non partecipare alla gloria di Cristo quando era accolto nei villaggi e faceva miracoli e tutti lo acclamavano Re e Messia. Allora Giovanni non c’è più.

Ciascuno di noi ha la sua vita, la sua missione, il suo tempo di vivere e il tempo di accettare la decadenza e la morte. La missione non è nostra, ma di Cristo, noi siamo “servi inutili”. Essere attaccati al compito, al posto, al nido che ci siamo creati non è secondo il volere di Dio. Siamo a servizio della missione, non la missione al  nostro servizio. Dobbiamo chiedere al Signore la grazia di rimanere staccati da tutto, dai soldi, dal posto, da quel che facciamo. Liberi per amare di più il Signore, perché tutto è strumento per giungere a Dio, non scopo e fine della nostra vita. Lo scopo, il fine è il Paradiso, la vita eterna con Dio! Il beato Clemente Vismara, con la solita ironia scriveva: “La morte non mi spaventa, anzi quando Dio vorrà sarò contento di morire, perché andrò in Paradiso, dove c’è tutta gente per bene e che ti vuol bene”.

3)  Giovanni  Battista è stato il primo e grande missionario di Gesù, ha dato testimonianza del Messia con la sua vita fino alla morte: preghiera, mortificazione, deserto (cioè il distacco dalle cose umane).

Anche noi siamo testimoni di Cristo con la nostra vita, prima che con le parole e con gli scritti. Anche noi oggi viviamo la situazione di Giovanni Battista. La crisi che stiamo attraversando fa sentire a molti, più di prima, la necessità di un Salvatore.

Il cristiano, come cristiano, non va mai in pensione, meno ancora il missionario! In qualsiasi situazione noi siamo, di età, di salute, di lavoro, siamo sempre in piena attività come missionari. Possiamo sempre almeno pregare e offrire le nostre sofferenze per il nostro prossimo in difficoltà. 

Pensiamo a quante sofferenze oggi tra la gente più vicina a ciascuno di noi. Lo sfascio delle famiglie, mogli abbandonate, mariti lasciati dalla moglie, giovani sbandati, anziani soli, disoccupati… Per tutte queste situazioni che Dio mette sulla nostra strada, noi siamo Giovanni Battista che annunzia la presenza di Cristo anche in quelle vite! Guai se noi dicessimo: questo non mi riguarda, non è colpa mia, non posso farci nulla. Come missionari non andiamo mai in pensione.

Il servo di Dio Felice Tantardini, quando a 85 anni non ci vedeva quasi più e il vescovo gli proibisce di fare ancora il fabbro per la missione, lui obbediva e passava tutto il giorno in chiesa. L’unica missione che gli era possibile era quella e lui la compiva ancora con lo stesso entusiasmo. E quando lo mandano in Italia per curarsi perché quasi non camminava più, il vescovo mons. Gobbato scrive al superiore regionale del Pime a Milano: “Con le gambe o senza gambe, rimandatemi indietro fratel Felice. Qui è indispensabile”.

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ZENIT Staff

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