San Domenico e l'omonima celeste Immagine di Soriano Calabro (Prima parte)

Intervista con Martino Michele Battaglia, dottore di ricerca in Scienze psicologiche e antropologiche presso l’Università degli Studi di Messina

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In occasione della festa del Titolare e alla 484° Calata del Quadro di San Domenico di Guzmán in Soriano Calabro (in provincia di Vibo Valentia) abbiamo intervistato il dott. Martino Michele Battaglia che ha dedicato diversi saggi alla storia del convento Domenicano e alla figura di San Domenico, in particolare sulla rivista Illuminazioni dell’Università degli Studi di Messina (UNIME) diretta dal prof. Luigi Rossi.

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C’è un meraviglioso intreccio di fede, storia e cultura, tra San Domenico e la Calabria. Cosa rappresenta per lei e per Soriano Calabro la festa di San Domenico?

La festa di San Domenico rappresenta un vero e proprio evento nell’ambito del mondo cattolico. In Soriano Calabro, alle pendici delle serre vibonesi, in provincia di Vibo Valentia, il Santo di Caleruega viene festeggiato liturgicamente l’8 agosto come memoria nella Chiesa universale e, con una solenne commemorazione, il 14 e il 15 settembre con la celebre «Calata del Quadro».  Storici e religiosi, filosofi e antropologi similmente ai viaggiatori del Grand Tour in Calabria come: Francois Lenormant, George Gissing, Alexander Dumas, Henry Swiniburne, che hanno lasciato molte testimonianze sulla bellezza dei luoghi, le tradizioni religiose, e popolari, da sempre si chiedono qual è il fascino esercitato dalla figura del Gran Guzmano, uomo di Dio, che da Soriano Calabro continua ad operare prodigi attraverso la sua Celeste Immagine.

Domenico di Guzmán, apostolo della fede, è un santo da riscoprire, proprio nella lotta contro le angherie di una globalizzazione selvaggia che impoverisce sempre più i popoli indigenti. Un ottimo esempio da seguire, per vincere il caos della giungla postmoderna di cui l’uomo è ormai vittima inerme.

Padre Humbert Vicaire O. P., grande storico della vita di S. Domenico fa emergere l’uomo vivo, compassionevole ed esigente, operoso e contemplativo, schietto e diplomatico. Il Santo autentico con i suoi drammi e suoi limiti, che nella sua fisionomia adamantina rispecchia la rigorosa coerenza, la capacità intuitiva e la genialità di chi ama la povertà praticando innanzitutto la prima beatitudine evangelica: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Matteo 5-3).

Domenico cercò di far luce su tutta la società civile e religiosa in fermento e in piena evoluzione all’inizio del XIII secolo. Tuttavia è noto come ancora oggi, da Soriano, egli illumina il cammino di chi è stanco della “civiltà dei consumi”, come definisce Zygmunt Bauman la nostra società “liquida”, e avverte la necessità di ritornare alla genuinità della vita all’insegna della buona novella. L’attività di San Domenico basata sulla predicazione e sul buon esempio, rappresenta quindi, il modello tipico del cristiano impegnato nella società attuale.

Che rapporto c’è tra San Domenico e San Francesco d’Assisi?

Lo storico Will Durant riferisce che Domenico, più austero di Francesco, in un incontro avvenuto tra i due a Roma, «lo riverì come il più santo tra i santi e Francesco lo amò parimenti». Insieme, i due santi ridiedero slancio e nuova linfa vitale alla Chiesa cattolica.

Cosa significa Persecutor haereticorum (cacciatore di eretici), dopo tanti secoli, alla luce dell’attuale clima di dialogo e tolleranza che vige nella società occidentale?

L’opera di conversione degli eretici dimostra che Domenico ripudiava apertamente le persecuzioni fisiche del tempo ed era contrario alla caccia alle streghe, convinto del fatto che tutte le anime potevano essere salvate. Non accettava infatti il digiuno esasperato di quegli eretici, che si suicidavano lasciandosi morire di fame, come riporta lo storico Rosario Villari. Il Santo, pur digiunando spesso con loro, cercava di far capire che digiuno non significava affatto suicidio, perché la vita è un dono di Dio.

La carità ha contraddistinto San Domenico fin da giovane. Quali episodi ricorda al riguardo?

Si narra che ancora giovane, durante un periodo di carestia a Palencia, Domenico vendette i suoi preziosi libri, le suppellettili e tutti i suoi averi per dar da mangiare ai poveri. Ancora, nel 1206, incontrando i legati papali a Montpellier, l’abate Arnaldo Amaury, Pietro di Castelnau e maestro Raul, li esortò ad abbandonare il lusso, rimproverandoli con la severa eloquenza di un profeta ebraico, inducendoli all’austerità e all’umiltà apostolica.

Ci parli del mistico e affascinante rapporto con la Calabria del Santo di Caleruega.

Come gli apostoli, San Domenico desiderava visitare quanto più contrade possibili per annunziare a tutti il Regno di Dio. Tra i suoi desideri vi era certamente anche quello di visitare la Calabria, come riporta lo storico Antonino Barilaro O. P., per poter «conquistare al suo grandioso ideale gli innumerevoli monaci di quella Tebaide dell’Occidente». Prima della missione in Linguadoca del Santo Patriarca, fioriva in Calabria l’abate Gioacchino, di spirito profetico dotato, come scrive l’Alighieri (Paradiso, XII). L’abate calabrese preannunciò l’istituzione di un Ordo Predicatorum che secondo eminenti studiosi si riferisce proprio all’Ordine Domenicano.

Tra i primi seguaci di San Domenico vi era un certo fra Giovanni di Calabria, presente in San Sisto Vecchio a Roma, nel momento in cui il Santo resuscitò il giovane Napoleone Orsini. San Domenico fu, pertanto, in contatto diretto con i monaci calabresi e li ebbe come cooperatori nella missione svolta tra il 1220 e il 1221. Non è inverosimile, allora, che il Santo spagnolo avesse concepito il sogno di venire in Calabria per visitare quegli eremi e quelle laure, dove prosperavano lavoro e preghiera. Sognava di fondare una fucina di apostoli proprio nella nostra amata terra di Calabria. Purtroppo, le immani fatiche del 1220-1221 per evangelizzare l’Italia settentrionale stremarono le sue energie al punto che il 6 agosto del 1221, in Bologna, consegnò lo spirito a Dio, proprio nel giorno in cui la Chiesa celebra la Trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor. Nello spirito portava con sé in cielo il bel sogno della Calabria. Scrive Antonino Barilaro O.P.: «era il primo Santo che conservava, anche nella visione beatifica, una certa nostalgia della terra, di quella terra». Non a caso, quindi, il dono della Sacra Immagine di San Domenico di Guzmán al convento di Soriano diede vita a un fermento di fede popolare, che portò alla realizzazione di un complesso monumentale tra i più grandi d’Europa. Domenico Taccone-Gallucci riporta al riguardo la seguente scrittura dello storico calabrese Elia Amato: «Magnificentia Sanctuarii Suriani, Religiosorum sanctitate conspicuorum exempla, Sacrae Imaginis adoranda ac tremenda maiestas, exterorum animos consolatione simul ac stupore perfundunt», alla quale aggiunge: «Ed invero la fama del tutto straordinaria per sua diffusione in ogni parte del mondo fin dai primi anni della prodigiosa apparizione del Santo Simulacro, non ad altra cagione dee attribuirsi se non che a quella speciale economia della Provvidenza divina, la quale nel secolo della predominante ed insuperbita Eresia volle che appo i popoli si fosse svegliato un maggior culto verso Colui che fu il Martello di essa».

[La seconda parte segue domani, domenica 14 settembre]

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Anna Rotundo

Anna Rotundo (Catanzaro) è laureata in scienza religiose: insegna religione nelle scuole secondarie, è componente del comitato di redazione del giornale diocesano Comunità Nuova" e di diverse altre riviste. Si occupa, tra l'altro, di cultura, diritti umani e diritti delle donne."

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