Papa Francesco

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"Sacerdote sia semplice, 'diocesano', misericordioso, per non diventare mediocre. O peggio"

Nell’udienza ai seminaristi del Pontificio Seminario Lombardo, il Papa stila un vademecum per essere “servi di Dio e padri per la gente”, secondo l’auspicio di San Carlo Borromeo

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Sì a santità, semplicità e “diocesanità”, nel senso di vicinanza col vescovo; no a doppiezza e ogni forma di “normalità”, intesa come lassismo e mondanità. Doveva essere un saluto, invece è un vero e proprio vademecum del ‘buono e santo sacerdote’ quello che Papa Francesco stila nel discorso ai seminaristi del Pontificio Seminario Lombardo, ricevuti in Vaticano nel 50° della fondazione da parte del Beato Paolo VI.

Con i giovani futuri preti, provenienti dall’Europa e dal mondo, il Papa tocca ogni punto utile: dalla formazione che non deve essere “a compartimenti stagni”, alla evangelizzazione che deve invece essere più “semplice” possibile; dal linguaggio, sempre teso ad annunciare Cristo, all’amicizia, tra ‘colleghi’ e con i vescovi delle diocesi di appartenenza.

Il tutto per essere pastori e “padri per la gente, soprattutto per i poveri”, dice il Pontefice citando le parole di San Carlo Borromeo. Proprio pensando al santo arcivescovo ambrosiano, ricorda ai seminaristi: “Voi siete eredi e testimoni di una grande storia di santità, che affonda le radici nei vostri patroni, i vescovi Ambrogio e Carlo, e in tempi più recenti ha visto, pure tra gli alunni, tre Beati e tre Servi di Dio”.

“È questa la meta a cui tendere!”, rimarca Bergoglio: sin dall’ingresso nel Seminario – eretto da Montini l’11 novembre 1965, al “culmine” del Concilio Vaticano II – e, successivamente, negli “anni romani” che, dice il Papa, “non sono solo di studio, ma di vera e propria formazione sacerdotale” per “dare seguito a quell’impulso dello Spirito, per essere futuro della Chiesa”.

Per farlo occorre dunque “un lavoro approfondito”, ma soprattutto “una conversione interiore, che quotidianamente radichi il ministero nella prima chiamata di Gesù e lo ravvivi nel rapporto personale con Lui”. Modello di questo è l’apostolo Paolo, di cui oggi si celebra la conversione, ma anche San Carlo Borromeo e il padre de Certeau che “ha presentato la sua vita come un costante ‘movimento di conversione’, proteso a riflettere l’immagine del Pastore”, sottolinea Francesco.

Mette in guardia quindi da una tentazione che può apparire lungo questo cammino: quella della “normalità”, “di un Pastore a cui basta una vita ‘normale’” e che perciò “comincia ad accontentarsi di qualche attenzione da ricevere, giudica il ministero in base ai suoi successi e si adagia nella ricerca di ciò che gli piace, diventando tiepido e senza vero interesse per gli altri”.

“Normalità” per un pastore è invece ben altro. È “la santità”, “il dono della vita”, afferma Papa Bergoglio, “se un sacerdote sceglie di essere solo una persona normale, sarà un sacerdote mediocre, o peggio”. San Carlo parlava infatti di “Pastori che fossero servi di Dio e padri per la gente, soprattutto per i poveri” e che annunciassero “parole di vita”. Un servizio, quest’ultimo, che può compiere “solo chi fa della propria vita un dialogo costante con la Parola di Dio, o, meglio, con Dio che ci parla”.

Pertanto in questi anni – prosegue il Papa – “vi è affidata la missione di allenarvi in questo dialogo di vita: la conoscenza delle varie discipline che studiate non è fine a sé stessa, ma va concretizzata nel colloquio della preghiera e nell’incontro reale con le persone”. “Non giova formarsi a compartimenti stagni’”, ma servono “preghiera, cultura e pastorale” quali “pietre portanti di un unico edificio” che “devono stare sempre saldamente unite per sostenersi a vicenda, ben cementate tra loro”.

Solo così i sacerdoti di oggi e domani possono essere “uomini spirituali e pastori misericordiosi”, capaci “di diffondere la gioia del Vangelo nella semplicità della vita”. “Semplicità” è la parola chiave, evidenzia il Pontefice; semplicità nell’evangelizzazione, nella vita, scevra da “ogni forma di doppiezza e mondanità”, e nel linguaggio per non essere “predicatori di complesse dottrine, ma annunciatori di Cristo, morto e risorto per noi”.

Accanto a questo, serve un altro requisito che la “diocesanità”, che – spiega Francesco – “ha la sua pietra angolare nella relazione frequente con il vescovo, nel dialogo e nel discernimento con lui”. “Un sacerdote che non ha un rapporto assiduo con il suo vescovo lentamente si isola dal corpo diocesano e la sua fecondità diminuisce, proprio perché non esercita il dialogo con il Padre della Diocesi”.

L’augurio del Santo Padre è quindi di “coltivare la bellezza dell’amicizia e l’arte di stabilire relazioni, per creare una fraternità sacerdotale più forte delle diversità particolari”. “Così – assicura – renderete sempre accogliente e arricchente questa casa!”. In conclusione, una promessa: “D’ora in poi – dice il Papa – quando verrò alla Basilica di Santa Maria Maggiore, penserò a questo incontro e mi ricorderò di voi davanti alla Vergine Madre. Ma anche voi, mi raccomando, fate lo stesso per me!”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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