Respingere i profughi è peccato

Papa Francesco traccia una discriminante per i fedeli e per la Chiesa

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Il Papa, con una frase icastica, degna del suo Maestro Sant’Ignazio di Loyola, ha detto che respingere i migranti è peccato.

A prima vista, questa affermazione appare ovvia e scontata: i nostri marinai che si dedicano a raccogliere i disperati alla deriva sui barconi nel Mediterraneo, il personale che li soccorre a terra, i medici che li curano e tutti coloro che in vario modo rendono meno dolorosa la loro odissea sulle strade che li portano ai fragili “ubi consistam” di tutti i profughi, sono il Buon Samaritano del nuovo millennio.

Viceversa, chi chiude loro la porta, additandoli genericamente come gente che toglie il lavoro agli Italiani, che viene tra noi per delinquere o addirittura per contagiare, ricorda la figura evangelica del ricco Epulone o persino, nella Milano del 2015, l’immagine manzoniana della caccia all’untore, nella pestilenza del 1630.

Tuttavia, la frase del Papa, che sintetizza tutti i gesti compiuti fin dal viaggio a Lampedusa, è destinata a causare ulteriori polemiche.

La migliore risposta la forniscono tutti quei cattolici che lavorano come volontari per aiutare gli immigrati: constatiamo con orgoglio che ancora una volta i nostri correligionari, anche se non sono certamente i soli a compiere la scelta giusta, sono altrettanto sicuramente tra i primi e tra i migliori.

Il valore storico di ciò che ha detto il Papa prende le mosse dalla denuncia di un epifenomeno: la discriminante su cui oggi si divide l’intera società italiana ed europea.

Questa divisione contrappone chi, prendendo atto della realtà storica dell’attuale migrazione di massa, si accinge al compito insidioso e difficile di costruire una società multiculturale e chi, viceversa, compiendo una rimozione psicologica prima e ideologica poi, rifiuta di affrontare il problema.

Cessata l’epoca dei totalitarismi, la polarizzazione in atto annuncia lo sviluppo dell’ideologia identitarista.

C’è chi inventa una identità collettiva distinta dagli Italiani, cosi come c’è chi propugna una Chiesa Cattolica dedita ad erigere barriere tra sé e gli infedeli, gli altri Cristiani ed i “progressisti” o “modernisti”.

Il Papa che ha anche aperto agli homeless le porte del Vaticano, ha risposto con l’esempio alla provocazione di chi lo invitava ad accogliere i migranti nelle mura leonine.

È una decisione epocale, che si può paragonare, per le sue conseguenze, a quella adottata dopo la Seconda Guerra Mondiale da Pio XII, quando – di fronte alla divisione dell’Europa – si pronunciò contro il comunismo.

Oggi non c’è nessuna cortina di ferro, ma c’è una divisione che attraversa le coscienze.

E c’è anche un conflitto destinato a protrarsi a lungo nel tempo, coinvolgendo lo stesso destino delle democrazie, perché anche le più solide e radicate tra esse non possono reggere agli effetti di una ondata di xenofobia e di intolleranza che le spinge a rinnegare sé stesse.

Molto deprecano il Papa per la sua scelta, ma la storia dirà che è stata quella giusta, ispirata nel Conclave dallo Spirito Santo, che ha fatto eleggere il primo successore di San Pietro arrivato – come il Pescatore di Galilea – dall’oltremare.

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Alfonso Maria Bruno

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