Relativismo religioso e totalitarismo anti-cristiano

Per il “politicamente corretto” tanto di moda il monoteismo è arcaico e despota, mentre il politeismo sarebbe invece creativo e tollerante

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Il 16 gennaio 2014 la Pontificia Commissione Teologica Internazionale ha pubblicato un esteso e importante documento, elaborato tra il 2009 e il 2014: “Dio Trinità, unità degli uomini: il monoteismo cristiano con la violenza[i]. Tale documento consiste in uno studio del discorso cristiano su Dio, che si confronta con la tesi secondo cui ci sarebbe una relazione intrinseca tra monoteismo e violenza. Attualmente, vi si afferma, il monoteismo per accreditarsi quale detentore di una verità assoluta, è fonte di intolleranza e di violenza. Da parte sua il politeismo sarebbe intrinsecamente tollerante e fondamentale per la demorazia. Tale opinione pretende essere una difesa del relativismo religioso assoluto, ma finisce con il rivelarsi una vera e propria forma di totalitarismo anti-cristiano. Il documento risponde allora a due questioni: come la teologia cattolica può confrontarsi criticamente con l’opinione culturale e politica che stabilisce una relazione intrinseca tra monoteismo e violenza? E come la fede in un unico Dio può essere riconosciuta principio e fonte di amore fra gli uomini?

Il testo afferma che la fede cristiana riconosce nell’insorgenza della violenza in nome di Dio la massima corruzione della religione. Il cristianesimo giunge a tal convinzione partendo dalla rivelazione della propria intimità di Dio, che ci arriva attraverso Gesù cristo. Il capitolo primo chiarisce la nozione di monoteismo, presentata generalmente in maniera estremamente vaga. Pertanto si vuol ribadire che le guerre interreligiose come anche la guerra contro la religione siano totalmente insensate.

Stando così le cose è necessario riconoscere Dio come “principio e fine” dell’esistenza di ogni persona e di tutta la comunità umana. A sua volta l’uomo è naturalmente in grado di riconoscere Dio come creatore del mondo e come suo interlocutore personale. In tal senso si ribadisce l’esistenza del homo religiosus, il quale è deducibile dall’esperienza religiosa degli uomini.

Partendo da ciò possiamo domandarci: c’è davvero un nesso necessario tra il monoteismo e la violenza? Una strana domanda se si vuole, proprio perché l’Occidente ha considerato per secoli il “monoteismo” quale forma di religione culturalmente più evoluta, essendo quel modo di pensare il divino il più congruente con gli stessi principi della ragione. Infatti l’unicità di Dio è accessibile alla filosofia – da Socrate, a Platone, ad Aristotele sino al Deismo moderno – ed è stata identificata con il principio della ragione naturale che precede le tradizioni storiche delle religioni.

E succede che la cultura contemporanea reagisce alle grandi ideologie del secolo XX, le quali hanno preteso essere scientifiche e dirette verso un progresso indefinito. In realtà si è verificato un predominio della ricerca della verità che ha giustificato concezioni filosofiche e politiche, le quali poi hanno portato l’umanità all’abisso delle due grandi guerre mondiali. In opposizione a ciò, oggi si tende a privilegiare la pluralità delle visioni sul bene e sul giusto, senza ricerche di verità. Tutto ciò ha come conseguenza quella di generare la tensione tra il riconoscimento del pluralismo e un principio relativista della cultura.

Conoscere e rispettare allora le differenze culturali “rappresenta un vantaggio per la valorizzazione delle singolarità e per un’apertura ad uno stile di accoglienza della convivenza umana”. Però in ciò si insinua un grave problema: il freddo e mero rispetto delle differenze senza una ricerca della verità genera l’impossibilità del dialogo. Ciò favorisce la conseguenza che le persone e i gruppi “siano indotti alla sfiducia – se non addirittura all’indifferenza, che domina infine l’impegno a ricercare ciò che è comune alla dignità umana” (n. 4).

Ciò significa che il relativismo e il cosiddetto “politeismo dei valori” non possano essere a fondamento della democrazia e del rispetto della dignità umana, poiché infatti genererebbero incomunicabilità, sfiducia, indifferenza alla verità e disprezzo rispetto a quanto unisce gli uomini: la stessa dignità della persona. Il relativismo è frutto della perdita di fiducia nella ragione umana e genera il sospetto in relazione ad altre persone, così come una perdita di motivazioni. Una società relativista è una società apatica, poiché tutte le scelte umane sono, in fondo, indifferenti. Ciò fa sì che le relazioni umane siano abbandonate “ad una gestione anonima e burocratica della convivenza civile” (ibid.). Di conseguenza si rileva da ciò una crescita dell’immagine pluralista della società e l’affermazione di un disegno totalitario del pensiero unico: sorge quel cosiddetto “discorso politicamente corretto”. Il relativismo si rivela dunque quella maschera che nasconde un subdolo assolutismo[ii].

Per il relativismo la verità è considerata una minaccia radicale per l’autonomia del soggetto e per l’apertura della libertà, poiché la pretesa di una verità oggettiva e universale, sebbene accessibile allo spirito umano, viene subito associata a una pretesa di possesso esclusiva da parte di un soggetto o gruppo. L’idea che la ricerca della verità sia necessaria per il bene comune è data per illusoria. Nell’attuale modo di vedere, la verità sarebbe inseparabilmente relazionata alla “volontà di potenza”, per questo la “verità”, principalmente religiosa, passa ad essere vista come radice di conflitto e di violenza.

Il collasso culturale dell’attualità è tanto grave da affermare che il monoteismo sia arcaico e despota, in quanto il politeismo sarebbe invece creativo e tollerante. Tale critica si concentra nella denuncia radicale del cristianesimo, proprio quella religione che appare protagonista della ricerca di un dialogo di pace, tanto con le grande tradizioni religiose, quanto con le culture laiche. Certamente il fatto dei cristiani d’essere apertamente associati per loro propria fede in un Dio Unico ad una “semente di violenza” ferisce milioni di autentici credenti, specialmente perché essi vivono totalmente appartati e lontani dalla diffusione e dall’utilizzo della violenza.

Al di là di ciò, in molte parti del mondo i cristiani sono perseguitati con intimidazioni e violenze d’ogni genere per sola causa della loro fede. Si stima che attualmente 200 milioni di cristiani siano perseguitati, qualcosa che accade grazie anche al silenzio complice di buona parte dei governi e mezzi di informazione, i quali si impegnano a diffondere una visione distorta del cristianesimo quale grande incentivo alla violenza[iii]. Evidentemente non si può negare il preoccupante fenomeno della “violenza religiosa”, cioè l’attuale “minaccia terrorista”; nondimeno si può ignorare come siano proprio i cristiani coloro che più soffrono violenze nel mondo.

Don Anderson Alves è sacerdote della diocesi di Petrópolis, Brasile.

*

NOTE

[i] Il documento è disponibile in: http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140117_monoteismo-cristiano_po.html

[ii] Cfr. A. Alves, Relativismo assoluto o assolutismo relativista? http://www.zenit.org/it/articles/relativismo-assoluto-o-assolutismo-relativista Anche il Papa Francesco ha parlato recentemente sul il totalitarismo del relativismo. Exortazione Apostolica Evangelii Gaudium, n. 231: «Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi sen
za bontà, gli intellettualismi senza saggezza».

[iii] Cfr. http://www.news.va/pt/news/milhares-de-cristaos-sao-perseguidos-no-mundo-mas; http://www.zenit.org/pt/articles/200-milhoes-de-cristaos-sao-perseguidos-no-mundo

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Anderson Alves

Sacerdote della diocesi di Petrópolis – Brasile. Dottore in Filosofia presso alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma.

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