Regole di vita

Lectio divina per la XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) — 27 settembre 2015

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B), 27 settembre 2015.

Come di consueto l’autore offre anche una lettura patristica.

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LECTIO DIVINA

Rito Romano

Nm 11,25-29; Sal 18; Giac 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48

Rito Ambrosiano

Dt 6,1-9; Sal 118; Rm 13,8-14a; Lc 10,25-37
V Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore.

1) In cammino con la Vita che dà la vita e regole di vita.

Il brano del Vangelo di Marco che è proposto in questa 26ª Domenica del tempo ordinario, ci narra due episodi.

Nel primo, Giovanni fa notare a Cristo che c’è qualcuno che scaccia i demoni in Suo nome senza essere del gruppo dei Suoi discepoli. Gesù giustamente fa osservare che ogni opera di bene, da qualsiasi parte venga, è sempre ben accetta, perché la sorgente della bontà e dell’amore è Dio stesso. Chi opera il bene è comunque e sempre dalla parte di Cristo e di Dio. La risposta di Gesù a Giovanni riguardo all’esorcista estraneo al gruppo dei discepoli si ispira a grande tolleranza ed è identico all’atteggiamento assunto da Mosè nei confronti di Eldad e Medad durante l’esodo (Nm 11,24-30 – Prima lettura della messa di oggi).

Nel secondo episodio Gesù esorta i discepoli a non scandalizzare i “piccoli” cioè i fratelli immaturi nella fede allontanandoli dal Vangelo con una condotta scorretta e un comportamento non conforme al Vangelo. Per fare questa ammonizione, il Messia usa espressioni dure: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geenna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue” (Mc 9, 45.47-48). Con queste parole Gesù invita i discepoli a un atteggiamento ispirato all’umiltà, alla comprensione e al sacrificio per evitare lo scandalo, che oscura la luce del Vangelo.

Potremmo formulare l’invito di Cristo con le parole che, nell’“L’annuncio a Maria” di Paul Claudel, la protagonista ormai cieca, Violaine, fa a quanti godono del dono della vista: “Ma voi che ci vedete, cosa ne avete fatto della luce?”

Se sapremo convertire anche e prima di tutto il nostro cuore, allora chi vive accanto a noi, anche se non è credente, capirà che Gesù non è un’incomprensibile e inaccettabile formula teologica nella nostra mente, ma la vita di Dio nel nostro cuore e luce ai nostri passi. E anche se non cambierà la sua religione, cambierà il suo cuore, diventando più aperto, tollerante, libero.

Gesù chiede ai discepoli, e quindi a noi, di avere il suo pensiero che non respinge nessuno e lo stesso suo sguardo che riconosce anche i più piccoli segni della fede, come il dono di un semplice bicchiere d’acqua che, se dato a un “piccolo”, “condizionerà” il giudizio finale quando il Figlio dell’uomo giudicherà tutti i popoli della terra.

L’apertura totale, senza alcuna transenna di spazio e di tempo, è mostrata proprio da Gesù con la sua incarnazione e morte in croce, accomunato a tutta l’umanità. In ogni uomo e donna della terra è possibile una relazione misteriosa e profonda con Gesù Cristo. Anche la comunità cristiana è chiamata ad allargare i propri confini fino a considerare tutti in qualche modo come suoi figli, anche quelli che non hanno una conoscenza-esperienza piena di Gesù.

Se la “piccolezza” è la fisionomia profonda della vita del credente, anche una mano, un piede e un occhio, possono farle del male e ostacolare – nel senso di fare scandalo, inciampo – la presenza del Signore in noi. Piccolo è un bicchiere d’acqua e i piccoli sanno apprezzarlo, non mancando di ringraziare, soprattutto quando è ricevuto in nome di Gesù.

2) Il nome di Gesù.

Questo nome: “Gesù” ricorre ben tre volte in soli quattro versetti del vangelo di oggi. Il fatto è che chi opera nel suo nome può fare cose grandi, a iniziare dagli apostoli che sono di Gesù Cristo. Ma chi è di Cristo? I discepoli che lo seguono, ma non in senso esclusivo. Quando i cristiani hanno creduto di avere il monopolio di Gesù, hanno corso il rischio di essere intolleranti. Il bene, sotto ogni forma, è diritto e dovere di ogni uomo. Gesù e lo Spirito sono presenti ovunque si fa il bene. Nella pagina precedente, i discepoli si dividevano tra loro in nome del proprio io. Qui si dividono dagli altri nel nome del proprio noi. Solo il “Nome” di Gesù è radice di unità tra tutti. Lo scandalo è tutto ciò che impedisce a qualcuno di seguire Dio per giungere alla salvezza. Piuttosto che far perdere la fede anche a uno solo, sarebbe meglio morire.

Il che non significa certo mettere in secondo piano o addirittura vanificare l’impegno dell’annuncio e della chiamata a convertirsi al Vangelo, come qualcuno potrebbe pensare. Non va dimenticato che la testimonianza e l’annuncio sono parte integrante dell’autentica fede cristiana, che non può tacere l’immensa gioia di aver incontrato il Signore; e, se io non nascondo il fatto di essere cristiano convinto e praticante, ogni gesto di amicizia, di aiuto, di scambio che compio è annuncio, così come ogni parola e gesto di Gesù lo era, prima ancora che Egli dichiarasse: “Io sono il Figlio di Dio”. Dal Nuovo Testamento emerge chiaramente il “dovere” dell’annuncio: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc16,15); “Non è per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!” (1 Cor 9,16); “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi … con dolcezza e rispetto e con una retta coscienza” (1 Pt 3,15-16).

Il primo appello di Gesù è alla “conversione del cuore” e chiede ai Suoi discepoli di non mettere l’altro in schemi preconcetti, ma di accoglierlo e di ascoltarlo. Ascoltare la sinfonia del gemito di un bambino, di un povero, di un malato per portare loro la tenerezza di Dio. Ascoltare le parole del mondo e ridargli la Parola, perché tutto ciò che riguarda l’umana avventura riguarda ciascuno di noi: “Sono un uomo e nulla di ciò che è umano mi è estraneo” (Terenzio).

La risposta di Gesù, l’uomo senza barriere, è di quelle che possono segnare una svolta della storia: gli uomini sono tutti dei nostri, come noi siamo di tutti. Prima di tutto l’uomo. “Quando un uomo muore, non domandarti per chi suona la campana: essa suona sempre un poco anche per te” (John Donne). Tutti sono dei nostri. Tutti siamo ‘uno’ in Cristo Gesù.

Ma l’annuncio di Gesù è ancora più coraggioso: ci porta a non sentirci estranei. Ci chiede di amare il prossimo e a vivere la vita come condivisione: ci porta a vivere molte vite, storie d’altri come fossero le nostre. Ci dà cento fratelli e sorelle, cento cuori su cui riposare, cento labbra da dissetare, cento bocche che non sanno a Chi gridare, di cui siamo la voce.

E’ vero, come ho detto poco sopra, che il Vangelo di oggi termina con parole dure: “Se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio ti scandalizzano, tagliali, buttali via”. Vangelo delle ferite, scandalose e luminose come le stigmate di Gesù. In effetti, le parole di Cristo non sono l’invito a un’inutile auto­mutilazione, sono invece un linguaggio figurato, incisivo, per trasmettere la se
rietà con cui si deve pensare alle cose essenziali. Anche perdere ciò che ci è prezioso, come la mano e l’occhio, non è paragonabile al danno che deriva dall’aver sbagliato la vita. Il Signore ci invita a temere di più una vita fallita che non le ferite dolorose della vita.

Un modo speciale di accogliere Cristo e le ferite del suo amore per noi è quello delle Vergini consacrate nel mondo. Essere vergine significa mantenere il carattere sponsale del proprio corpo intatto per il Signore. Una vergine non si spreca, non cerca vita negli altri esseri umani, nella carne e sangue, la cerca in Dio. Serve molta maturità ed anche molta fede per tagliare le affettività malate verso le persone, per aspettare con fedeltà e perseveranza il Signore che viene. Occorre avere un’esperienza concreta dello stare con il Signore, non basta una conoscenza teoretica. Se uno ha la fede debole, smette di pregare, vive la solitudine per se stesso, non vuole assumere le responsabilità della vita adulta, rischia seriamente. Può conservare la verginità fisica, però perdendo il senso diventerà un egoista o narcisista, cinico o amareggiato, acido o vampiro affettivo. Sant’Agostino dice che una verginità senza l’umiltà non serve.

Essere vergine nell’anima, nello spirito vuol dire essere liberi dagli idoli, non idolatrare se stessi o gli altri, ma essere solo per Dio.

La verginità consacrata non è un mezzo di preservazione di se stessi, un seppellire il proprio talento sotterra per restituirlo un giorno, integro ma senza interessi; è anzi un mezzo di donazione di se stesso, che accetta certe rinunce solo per poter dare tutto a Dio e di più al prossimo.

*

LETTURA PATRISTICA

Beda il Venerabile,
In Evang. Marc., 9, 38-43

Giovanni gli rivolse la parola: «Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava i demoni in nome tuo, ma non gliel’abbiamo permesso perché non è dei nostri»” (Mc 9,38).

Giovanni, che amava con straordinario fervore il Signore e perciò era degno di essere riamato, riteneva dovesse essere privato del beneficio chi non ricopriva un ufficio. Ma viene ammaestrato che nessuno dev’essere allontanato dal bene che in parte possiede, ma che piuttosto dev’essere invitato a ciò che non ancora possiede. Continua infatti:

Ma Gesù gli disse: «Non gliel’impedite. Non c’è nessuno infatti che operi miracoli nel mio nome e possa subito dopo parlar male di me. Chi infatti non è contro di voi, è con voi»” (Mc 9,39-40).

Lo stesso concetto ripete il dotto Apostolo: “Purché Cristo sia in ogni modo annunziato, per dispetto o con lealtà, io di questo godo e godrò!” (Ph 1,18). Ma anche se egli s’allieta per coloro che annunziano Cristo in modo non sincero e, poiché fanno di conseguenza talvolta miracoli per la salvezza degli altri, consiglia che non ne vengano impediti, tuttavia costoro per tali miracoli non possono sentirsi giustificati; anzi, in quel giorno in cui diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato in nome tuo, e non abbiamo scacciato i demoni nel tuo nome, e nel tuo nome non abbiamo compiuto molti miracoli?“, essi riceveranno questa risposta: “Non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me voi che operate l’iniquità” (Mt 7,22-23). Perciò, per quanto riguarda gli eretici e i cattivi cattolici, dobbiamo solennemente respingere non quelle credenze e quei sacramenti che essi hanno in comune con noi e non contro di noi, ma la scissione che si oppone alla pace e alla verità, per la quale essi sono contrari a noi e non seguono in unità con noi il Signore.

«Infatti, chiunque vi darà da bere un bicchier d’acqua in mio nome, perché siete di Cristo, in verità vi dico che non perderà la sua ricompensa» (Mc 9,41).

Leggiamo nel profeta David (Ps 140,4) che molti, a titolo di scusa dei loro peccati, pretendono che siano giusti gli stimoli che li spingono a peccare, così che, mentre volontariamente peccano, s’illudano di farlo per necessità. Il Signore, che scruta il cuore e i reni, sarà capace di vedere i pensieri di ciascuno. Aveva detto: “Chiunque riceverà uno di questi fanciulli in mio nome, riceve me” (Mt 18,5). Qualcuno avrebbe potuto obiettare polemizzando: «Me lo vieta la povertà, la mia miseria mi impedisce di riceverlo», ma il Signore annulla anche questa scusa col suo lievissimo comandamento per indurci almeno a porgere con tutto il cuore un bicchier d’acqua, magari fredda, come dice Matteo (Mt 10,42). Dice un bicchiere d’acqua fredda, non calda, affinché non si cerchi in questo caso una scusa adducendo la miseria e la mancanza di legna per scaldarla.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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