Christ Pantocrator

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Re della verità e dell’Amore

Lectio Divina sulle letture per la Domenica XXXIV del Tempo Ordinario — Solennità di Cristo Re (Anno B) – 22 novembre 2015

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la Domenica XXXIV del Tempo Ordinario — Solennità di Cristo Re1 (Anno B) – 22 novembre 2015.

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Rito Romano

Dn 7,13-14; Sal 92/93; Ap 1,5-8; Gv 18,33b-37

Rito Ambrosiano

Is 19,18-24; Sal 86; Ef 3,8-13; Mc 1,1-8
I figli del Regno

1) Un Re incoronato di spine cioè un testimone (martire) della verità dell’amore.

In quest’ultima domenica dell’anno liturgico, siamo invitati a celebrare Cristo Re di un “regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace” (Prefazio della Messa di Cristo Re). A Pilato, che gli chiede se fosse re, Gesù risponde che la regalità rivendicata non è politica, ma è di tutt’altro genere. Si tratta di una regalità della verità e dell’amore, che è esercitata come testimonianza alla verità e non come imposizione di un dominio. Infatti, nel Vangelo di oggi Gesù conclude: “Io sono re: per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18, 37). Credo sia corretto affermare che nella sua risposta a Pilato Cristo non solo parla di che cosa è la verità, ma risponde alla domanda: “Chi è la verità?”.

La regalità di Cristo esprime Lui che è la Verità dell’amore, di cui è testimone cioè martire2.

Nel suo breve e serrato dialogo con Pilato, Gesù afferma pure un’altra cosa importante: “Chiunque è dalla parte della verità, ascolta la mia voce”. Per comprendere la regalità di Gesù e per divenire suoi sudditi nel suo Regno, che è un regno dell’altro mondo ma non un regno di morti, occorre aver scelto la verità. Un Regno dell’altro mondo, perché vi “domina” la forza dell’amore. E’ un Re che non condanna a morte i suoi fragili sudditi ma dona la sua vita perché abbiano la vitaVi sono persone che sono “dalla parte della verità” e persone che invece sono “dalla parte della menzogna”. Non è semplicemente questione di bugie ma di un atteggiamento di fondo, di una scelta di valori. Nel racconto del processo queste due possibilità contrapposte sono incarnate dai due personaggi che si fronteggiano: Gesù e Pilato.

Da una parte Gesù, che è la Verità, si consegna pienamente nelle mani del Padre senza esitare a dare la vita. Dall’altra Pilato che invece rappresenta un potere politico che serve la verità ma non oltre un certo prezzo.: un potere che ritiene di avere valori più importanti da salvare. Per tre volte Pilato riconosce l’innocenza di Gesù e la dichiara pubblicamente, e per tre volte cerca di salvarlo. Tuttavia lo condanna alla croce.

Questo Procuratore del regno umano manda a morte un innocente, rinnega la giustizia e la verità per salvare se stesso.

Il Cristo, invece, è un re che non uccide nessuno, anzi muore per tutti. Non versa il sangue di nessuno, Lui versa il suo sangue per tutti. Non sacrifica nessuno, sacrifica se stesso per i suoi servi che lui chiama amici. Il Redentore manifesta la verità di Dio che è Padre e il Padre è colui che dà la vita e la libertà ai figli, non colui che toglie la vita e la libertà ai figli.

Cristo Re “usa” il potere secondo verità, secondo giustizia, cioè secondo la verità dell’amore. Un potere che è esercitato dal Salvatore prendendo la Croce come trono e delle spine come corona. Lo stesso potere di amore umile che nell’ultima Cena aveva spinto Gesù a esercitare la sua regalità lavando i piedi degli apostoli. Gesù è un capo, un Re che si mette davvero a servizio dei suoi sudditi. Un re che sa dare il pane invece di prenderlo, che sa dar la vita invece di toglierla, che sa liberare dalla legge invece di imporla.

2) Un suddito particolare: il buon ladrone.

Uno, che colse la verità di Gesù, fu il buon ladrone, che appeso alla croce accanto a quella di Cristo, chiese: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc23,42), e come risposta il Re in croce gli disse: “Oggi sarai con me in paradiso” (Lc23,43). Per questo ladro la via della croce divenne, infallibilmente, la via del paradiso (cfr. Id), la via della verità e della vita, la via del regno.

Facciamo nostre l’apertura di cuore e la preghiera di questo delinquente che giustamente la tradizione cristiana chiama “buon ladrone”. Nonostante fosse in croce questo malfattore ha avuto un cuore e una intelligenza di un’apertura tale che ha saputo riconoscere in un Moribondo come lui un Re. Ha saputo cogliere la regalità di Cristo che si manifestava su un trono paradossale: la Croce, tanto da chiedere: “Ricordati di me nel tuo Regno” che intuiva essere una vita vera, lieta e duratura. La vicinanza a Cristo non basta, perché nel momento della passione anche altri gli erano vicini, ma l’hanno disprezzato e bestemmiato. Il “ladrone” dal cuore buono perché animato da un santo desiderio ha domandato la salvezza e così è stato il primo ad entrare con Cristo in Paradiso.

Ciascuno di noi preghi: “Gesù, ricordati di me, cordati dei miei fratelli in umanità ai quali voglio dare quotidianamente il pane vivo e vero del tuo Vangelo”. Se saremo perseveranti in questa preghiera : “Venga il tuo Regno” vedremo la promessa di Cristo diventare realtà. Se gli stiamo accanto saldamente lasciandoci attirare da Lui sulla croce, diventeremo come Lui testimoni (=martiri) della Verità.

Oltre a quello del buon ladrone c’è un altro modo di stare accanto a Cristo, Re in croce, ed è quello della Madonna, che fu così associata alla regalità di Cristo, per cui giustamente si canta nella sacra liturgia: “Santa Maria, regina del cielo e signora del mondo, affranta dal dolore, se ne stava in piedi presso la croce del Signore nostro Gesù Cristo” (Festa della Madonna Addolorata), così che Francesco Suarez scrisse: “Come Cristo per il titolo particolare della redenzione è nostro signore e nostro re, così anche la Vergine beata (è nostra signora) per il singolare concorso prestato alla nostra redenzione, somministrando la sua sostanza e offrendola volontariamente per noi, desiderando, chiedendo e procurando in modo singolare la nostra salvezza”(De mysteriis vitae Christi, disp. XXII, sect. II: ed. Vives, XIX, 327).

Naturalmente, anche le Vergini consacrate nel mondo sono chiamate a partecipare alla regalità di Cristo e della Madonna, dando anche loro testimonianza alla verità dell’Amore.

Alla verginità è anche giustamente attribuito il carattere di martirio (=testimonianza). Essa è infatti considerata una forma di martirio, essendo una vita totalmente data a Cristo Sposo e Re. Di conseguenza le è riconosciuta anche la dignità regale e viene coronata dallo sposo, re dell’universo. Per questo nel Rito di Consacrazione viene messo sul capo delle vergine il velo che viene così ad avere pure il significato di corona regale.

Perché, è vero che il primo significato del velo è quello di indicare che la consacrata nella verginità è esclusivamente sposa di Cristo, la quale si sottrae allo sguardo degli uomini per essere sempre sotto lo sguardo di Dio e a lui solo piacere per la purezza e l’intensità dell’amore. Ma è altrettanto vero che velo è segno di consacrazione a Cristo, quindi è segno di un’altissima nobiltà: di sposa di Cristo Re. Vi può essere più alta d
ignità per la donna? Penso proprio di no, ma il velo stesso la tiene nell’umiltà.

Velata, ma presente — così come la Vergine Maria — è la donna tutta dedita al Signore nella preghiera: La vergine non è un essere disincarnato e indifferente, lontano dalla gente comune, bensì una donna capace di amore di dono, oblativo, casto e universale, pienamente gratuito proprio perché vergine.

Questo è il mistico significato del velo sul capo delle donne consacrate, nascoste nel mondo per essere nel cuore del mondo e portare tutti gli uomini nel cuore di Cristo, unico sposo della Chiesa.

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NOTE

1  La festa di Cristo Re fu istituita da Pio XI l’11 dicembre 1925 con l’enciclica Quas primas. Si tratta, dunque, di una festa liturgica relativamente recente. Tuttavia l’idea della regalità attribuita a Cristo la si trova già nella Sacra Scrittura, nei Padri della Chiesa, nei teologi, ed anche nell’arte sacra e nel senso comune dei fedeli che concordemente affermano questa regalità. Alla domanda “In che cosa consiste questo potere regale di Cristo?” il Papa emerito Benedetto XVI disse: “Non è quello dei re e dei grandi di questo mondo; è il potere divino di dare la vita eterna, di liberare dal male, di sconfiggere il dominio della morte. È il potere dell’Amore, che sa ricavare il bene dal male, intenerire un cuore indurito, portare pace nel conflitto più aspro, accendere la speranza nel buio più fitto. Questo Regno della Grazia non si impone mai, e rispetta sempre la nostra libertà”. (Discorso all’Angelus, 22 novembre 2009)

2  Come ho ricordato varie volte in greco la parola martire vuol dire testimone e va poi tenuto presente che nel linguaggio di San Giovanni “verità” indica la verità di Dio, il suo amore per l’uomo, per ogni uomo.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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