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Quest’Europa non tramonta certo con la Brexit

L’uscita della Gran Bretagna può suscitare nuove creatività, nuovi slanci e nuovi cammini

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Il 21 aprile 1954, alla Conferenza Parlamentare Europea di Parigi, Alcide De Gasperi teneva un memorabile discorso intitolato: «La nostra patria Europa». Il grande Statista affermava tra l’altro: «È la volontà politica unitaria che deve prevalere. È l’imperativo categorico che bisogna fare l’Europa per assicurare la nostra pace, il nostro progresso e la nostra giustizia sociale che deve anzitutto servirci da guida…
Tutta la nostra costruzione politico-sociale presuppone un regime di moralità internazionale. I popoli che si uniscono, spogliandosi delle scorie egoistiche della loro crescita, debbono elevarsi anche a un più fecondo senso di giustizia verso i deboli e i perseguitati. Lo sforzo di mediazione e di equità che è compito necessario dell’Autorità europea le darà un nimbo di dignità arbitrale che si irradierà al di là delle sue giuridiche attribuzioni e ravviverà le speranze di tutti i popoli liberi».
Sottolineando l’importanza della scelta morale da porre  alla base dell’impegno per “fare l’Europa”, De Gasperi ne evidenziava gli scopi ultimi: la pace, il progresso e la giustizia sociale dei popoli. Al tempo stesso, con lucido realismo e senso di misura, aggiungeva: «Per quanto riguarda le istituzioni bisogna ricercare l’unione soltanto nella misura in cui ciò è necessario, o meglio in cui è indispensabile». Lo Statista italiano faceva capire che l’anima del progetto europeo non andava imbrigliata in strutture pesanti o meccanismi usuranti. De Gasperi, da uomo di fede profonda qual era, concludeva dicendo: «Preghiamo perché il sogno dei Padri d’Europa raggiunga una sua dignitosa completezza».
A Robert Schuman, ministro degli Esteri francese, si deve invece un’importante Dichiarazione, rilasciata il 9 maggio 1950, nella quale tra l’altro si affermava: «La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.
Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche… L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra. L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto… La solidarietà di produzione, aperta a tutti i paesi che vorranno aderirvi e intesa a fornire a tutti i paesi in essa riuniti gli elementi di base della produzione industriale a condizioni uguali, getterà le fondamenta reali della loro unificazione economica. Questa produzione sarà offerta al mondo intero senza distinzione né esclusione per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace».
La Dichiarazione suggellava l’atto di nascita della comunità di nazioni che avrebbe poi portato all’Unione europea, mettendo in luce la fondamentale importanza del contributo dell’Europa unita alla pace, dopo le drammatiche ferite prodotte dalla guerra fratricida fra i popoli europei. Al tempo stesso, essa evidenziava come la costruzione concreta di questo progetto di pace avrebbe dovuto attuarsi attraverso un cammino di crescente solidarietà fra i Paesi produttori, in una sempre più ampia unificazione economica, tale da porsi come esempio e stimolo all’umanità intera.
Della “Dichiarazione Schuman” il più importante ispiratore era stato Jean Monnet, politico e consigliere economico francese, futuro primo presidente della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, che già il 5 agosto 1943 ad Algeri, da membro del Comitato Nazionale di Liberazione, si era espresso con queste parole: «Non ci sarà mai pace in Europa se gli Stati si ricostituiranno su una base di sovranità nazionale… [ciò] presuppone che gli Stati d’Europa formino una federazione o una entità europea che ne faccia una comune unità economica».
Da parte sua, Konrad Adenauer, Cancelliere della Germania occidentale nata dalle macerie della violenza prodotta dal nazionalsocialismo, in occasione della firma dei Trattati che istituivano la Comunità Economica Europea il 27 marzo 1957 a Roma, aveva affermato: «È con ardore e fiducia che vogliamo affrontare i nostri compiti.
Conosciamo quanto grave sia la nostra situazione che può trovare rimedio soltanto nell’unificazione dell’Europa; sappiamo altresì che i nostri piani non sono egoisti ma sono destinati a promuovere il benessere di tutto il mondo. La Comunità Europea persegue fini esclusivamente pacifici e non è diretta contro alcuno. Essa è aperta alla cooperazione di qualsiasi Stato che ne manifesti l’intenzione.
Tutti gli Stati europei sono liberi di aderirvi. Se uno Stato non si ritiene in grado di aderirvi integralmente, abbiamo previsto la possibilità di attuare con esso una stretta cooperazione secondo una formula diversa, in particolare mediante la creazione di una zona di libero scambio delle merci all’interno della Comunità, conforme alla tradizione dei nostri Stati. Il nostro scopo è di collaborare con tutti onde promuovere il progresso nella pace… Unendosi oggi, l’Europa non serve soltanto i suoi propri interessi e quelli degli Stati che sono in essa compresi, essa serve anche il mondo intero».
Questi pensieri dei Padri Fondatori dell’Europa unita hanno ispirato i passi e le realizzazioni di innumerevoli donne e uomini che, accomunati dal sogno della casa comune europea al servizio dell’umanità intera, hanno speso impegno, passione e sacrificio per costruire l’Unione. Ad animarli, prima ancora che il mero interesse economico, è stato un ideale per cui spendersi e pagare di persona.
Ad essi è dovuta la migliore Europa, di cui tutti i cittadini europei dovrebbero sentirsi fieri e per la quale dovrebbero impegnarsi: non l’Europa della sola economia, prigioniera delle banche e dei poteri forti, assillata dalle esigenze di una stabilità inseguita a volte perfino a scapito delle esigenze dello stato sociale e dello sviluppo, ma l’Europa dei popoli e delle coscienze, nutrita dalle tre grandi anime che hanno fatto e fanno l’unicità europea, la civiltà greco-latina, la tradizione ebraico-cristiana e la cultura germanica.
Quest’Europa – troppo spesso passata in secondo piano nell’agenda europea degli ultimi anni – non tramonta certo con la Brexit: essa resta e resterà viva più che mai e il fascino che può esercitare dovrà essere riscoperto per motivare nuove creatività, nuovi slanci e nuovi cammini, non solo in chi l’Europa l’ha voluta e la vuole, ma anche in chi – in un sussulto nazionalista, prigioniero di un passato che comunque non potrà tornare – ha scelto di intraprendere la via per uscirne. Come ha affermato a proposito dell’impegno per un’Europa unita il Card. Vincent Nichols, Arcivescovo di Westminster e Presidente dei vescovi cattolici inglesi, deciso sostenitore del “remain”: “We need to grasp again our basic sense of purpose” – “Dobbiamo cogliere di nuovo il senso di fondo del nostro scopo”. In quest’ottica, figure come quelle di De Gasperi, Schuman e Adenauer brillano di una luce ben più viva di altre, avvolte dalle nebbie di Albione e sostenitrici del suo isolamento, un tempo forse “splendido” (“splendid isolation”) e che ora certamente non è più tale…
 

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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