Motherhood

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Quello che le donne….. dicono

Quattro madri di famiglia testimoniano con la loro vita il “genio femminile”

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Nella Genesi, Dio, dopo aver creato e predisposto per l’uomo le più grandi meraviglie della terra, si rese conto che qualcosa mancava. Un ultimo tassello che avrebbe reso la sua opera ancora più mirabile. Creò dunque la donna: “mistero” inconfutabile “per mezzo della quale grandi opere si sono compiute nella storia delle generazioni umane”, come scrisse Giovanni Paolo II nella Lettera Mulieris dignitatem.
Creò, dunque, la fonte della vita e della speranza; il “genio” che continua, a dare vigore, allo “sviluppo della società e della Chiesa”, come ha ricordato Benedetto XVI nell’intenzione di preghiera per il mese di marzo.
Nel giorno in cui tutto il mondo le festeggia, ZENIT ha voluto dar voce a quattro donne che, attraverso la loro testimonianza, dimostrano come la vita “normale” di una donna, se vissuta secondo la volontà di Dio, è un’esperienza straordinaria.
Questa volontà, Daniela, 56 anni, insegnante in una scuola elementare, l’ha concretizzata aprendosi alla vita e accogliendo tutti i sette figli che il Signore le ha donato. “L’apertura alla vita è il frutto dell’aver messo Dio al centro del matrimonio – ci racconta -. Da questa scelta è nato il desiderio di avere i figli che Egli ci voleva donare, di dire no alla contraccezione, confidando che le chiavi della vita e della morte le ha il Signore”.
“Non mi sono sposata con il desiderio di avere tanti bambini – precisa – ma quelli che Dio mi avrebbe voluto donare. Voglio sfatare la convinzione per cui un figlio va programmato altrimenti non sarà felice, quasi fosse un’ordinazione… Un figlio va accolto con amore, sempre, e sarà felice proprio perché amato”.
Daniela questo l’ha realizzato concretamente: dopo un aborto spontaneo, infatti, i medici le avevano diagnosticato un tumore all’utero, imponendole, innanzitutto, di evitare nuove gravidanze, pena la morte. Ricorda: “Ho dovuto spiegare che la mia fede mi diceva che non potevo chiudermi alla vita, non potevo escludere Dio dal mio matrimonio, anche a rischio di conseguenze gravi. Ho continuato, perciò, a seguire i metodi naturali per distanziare le nascite, in piena comunione con mio marito”. Ma dopo pochi mesi “i medici hanno trovato i valori delle mie analisi settimanali completamente sballati: ero incinta!”.
“Tutti ‘suonavano la campana di morte’, ma io ero certa che Dio mi avrebbe aiutato, che non voleva per me la morte, ma mi stava preparando ad un’altra vita. Assistita da una ginecologa cristiana e da un oncologo, ho potuto assistere ad un miracolo: non solo la gravidanza si è conclusa con la nascita della mia terza figlia, ma ha portato anche alla guarigione completa dell’utero”.
Alla luce di tutto questo, Daniela afferma con forza: “Niente mi ha resa felice come la maternità, per una donna essere madre è la conquista più importante e completa”. “La cosa straordinaria – conclude – è che Dio non mi ha ‘fregata’ o ‘limitata’, ma mi ha permesso di laurearmi a pieni voti, dopo il quarto figlio, e di trovare il lavoro da insegnante che desideravo da sempre”.
Dio, quindi, “tutto dà e nulla toglie”. Lo conferma anche Antonella, medico di 53 anni, e anche lei madre di una famiglia numerosa. “Come donna – racconta a ZENIT – sento che al di là di tutti i traguardi umani che il Signore mi ha permesso di raggiungere (la laurea in medicina, il lavoro da dirigente medico) la più grande realizzazione è essere stata uno strumento, a volte fragile, del Suo Amore, a cui ha affidato sei figli da crescere ed educare”.
Dice bene Antonella: “educare”. La missione dei genitori, infatti, non è solo generare figli, ma anche e soprattutto trasmettere loro un’educazione. “Un’educazione alla fede innanzitutto – sottolinea –. Io e mio marito abbiamo cercato di testimoniare loro con gratitudine e gioia che il Signore, attraverso la nostra unione, li ha pensati da sempre e ha su ciascuno un disegno di Amore misterioso che lentamente si sta rivelando”.
Fondamentale in questo percorso di trasmissione della fede è stato pregare insieme, “attraverso la liturgia domenicale delle lodi, ad esempio, dove abbiamo potuto ascoltare la Parola insieme, come una piccola chiesa domestica, facendola risuonare in noi e calandola nei fatti di gioia e di sofferenza accaduti nella settimana”. Conclude: “In questi anni abbiamo costatato davvero che i figli, prima di essere nostri, sono suoi ed Egli parla a ciascuno di loro in modo concreto, illuminandogli la strada attraverso la quale saranno felici: ovvero la propria vocazione”.
Ed è proprio ciò che è successo a Maria, la sua terza figlia. “A 15 anni – racconta – dopo aver sentito più volte la chiamata alla vita consacrata, mia figlia, in maniera quasi disarmante, ha voluto fare un’esperienza come postulante in un Monastero di Napoli, e da allora, dal settembre 2006, ha continuato questo percorso e oggi è professa semplice con il nome di Suor Maria Chiara Benedetta dei Sacri Cuori”.
I figli, quindi, sono una grazia, ma anche fonte di preoccupazione e fatiche, davanti alle quali è facile scoraggiarsi. “Se poni, però, al centro della tua vita Gesù Cristo, nulla diventa impossibile e si riescono a conciliare, seppur con tanti sacrifici, vita familiare, lavoro e tempo per sé stessi”.
È l’esperienza di Sabrina, 45 anni, madre di otto figli, direttrice di una Scuola di danza a Roma. “Ci sono giorni in cui mi sveglio e non so da dove cominciare – riferisce – alcuni figli sono molto piccoli (l’ultimo ha soli tre anni), e il lavoro richiede concentrazione e una grande capacità organizzativa”.
Attraverso, però, la preghiera quotidiana, “ricerca costante di un dialogo aperto con Dio”, Sabrina spiega come, ogni giorno, sperimenta che “laddove le mie forze e qualità umane sono insufficienti sopperisce sempre la presenza di Dio”. “A volte vorrei andare a vivere sola alle Galapagos – aggiunge ironicamente – ma poi mi rendo conto che questa missione che Dio ha pensato per me mi dà la felicità piena”.
“L’azione dello Spirito Santo – afferma – mi dona il discernimento per comprendere le ‘priorità’ della giornata, la sapienza nelle decisioni e la certezza che la famiglia è il bene supremo, il lavoro e tutto il resto non sono altro che luoghi dove Dio mi ha scelta per rendergli testimonianza”.
Tre vite diverse, quindi, accomunate dall’abbandono totale alla volontà di Dio, che si è tradotta, in tutti e tre i casi, nella famiglia. Sorge, a questo punto, una domanda: una crisi nella famiglia pone fine, dunque, alla felicità di una donna? A questo delicato interrogativo risponde la testimonianza di Silvia, 48 anni, due figlie, separata da circa dieci anni, ma ancora fedele al suo matrimonio, tanto da portare la fede nuziale al dito.
“Mi sono sposata 25 anni fa per amore”, racconta, “i problemi sono emersi lentamente e ci hanno colti impreparati; ma tra alti e bassi siamo andati avanti”. Poi la svolta: “Tre anni in Olanda e l’incontro con un prete fuori del comune. Mi sono innamorata di un modo nuovo di intendere il Vangelo e desideravo far entrare nel mio matrimonio tutto quello che ascoltavo. Per mio marito non era così. Una volta a Roma la distanza tra noi è aumentata, diventando un abisso”.
“Io intanto ero entrata in un cammino di fede e quando mio marito è andato via di casa, accanto al dolore e alla solitudine si è innestata una parola: AMA! Tutta la Parola di Dio che ascoltavo nelle celebrazioni; la vicinanza dei fratelli della mia Comunità; il desiderio di dare una speranza di felicità alle mie figlie oltre la sofferenza, hanno operato il miracolo”.
“Oggi vivo con un gran senso di pace dentro – afferma Silvia – ho i miei momenti di buio, le mie tentazioni di fuga, i miei dubbi, ma sono certa che la felicità sta nel vivere la parola di Dio: ama il tuo nemico, non rispondere al male col male, il matrimonio è indissolubile. In quasi dieci anni di separazione, ho sperimentato che non è vero quello che dicono gli altri: “è giusto rifarsi una vita; una donna ancora giovane e piacente deve trovarsi un uomo e via dicendo”.
“Con Gesù Cristo non sei mai sola – aggiunge -. Oggi, dopo tutti questi anni, posso testimoniare che è possibile amare un marito che ti ha lasciato, ti ha umiliato, che questo non ti uccide, ma anzi ti si “apre il cielo” e puoi alzare lo sguardo e assaporare un po’ di vita eterna”.
Quattro donne, una sola verità: che siamo tutti chiamati alla santità, non necessariamente facendo cose eclatanti, ma spesso testimoniando con la propria vita che il Vangelo non è un’utopia.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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