Monogramma di Cristo

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Quella "saldatura tra Vangelo e Romanità" contro il nichilismo

Alla sovversione va opposta “l’alternativa romana e cristiana” secondo don Ennio Innocenti nel suo “Discorso sulla storia universale”, arricchito in questa edizione da un’appendice geopolitica

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“L’innesto nell’olivo abramitico dell’olivastro romano”. Si serve di una allegoria agreste, don Ennio Innocenti, nel suo “Discorso sulla storia universale”, per inquadrare quella fase storica che, come una catarsi, ha inesorabilmente segnato i destini dell’umanità. Quando la Roma del diritto, della pietas, del realismo e della cultura del lavoro si incontrò con il Cristianesimo e si fece “discendenza di Abramo”, ne scaturì uno slancio universale capace di imprimere un inconfondibile marchio di civiltà all’orbe.
Il lavoro del sacerdote d’origine pistoiese, tra i pensatori cattolici più noti, arrivato alla veneranda età di 84 anni con una lucidità e una capacità d’analisi invidiabili, giunge alla sua terza edizione, dopo quelle degli anni 1974-75 e del 1992. Il volume è pubblicato dalla casa editrice della Sacra Fraternitas Aurigarum, l’Arciconfraternita di cui egli è cappellano e instancabile promotore di conferenze e corsi di studio.
Il suo impulso intellettuale si traduce in uno studio costante e aggiornato, in una fiorente attività letteraria e in uno sguardo attento sugli accadimenti geopolitici. Da qui nasce la volontà di dare alle stampe questa nuova edizione del “Discorso sulla storia universale”, arricchito da un’ampia e competente appendice sugli attuali equilibri internazionali dell’analista geopolitico Filippo Romeo, che della Sacra Fraternitas Aurigarum è segretario.
Il viaggio attraverso la storia dell’uomo nel quale ci guida don Innocenti è imbevuto di conoscenze filosofiche e teologiche, antropologiche e geografiche. È un serbatoio di cultura, dallo stile scorrevole, cui attingere per lanciarsi alla scoperta dell’avventura dell’umanità.
L’autore offre testimonianze di antiche civiltà scomparse, reperti archeologici, studi geologici e antropologici, corredati da diverse foto e da tabelle che aiutano la comprensione. Immergersi in questo caleidoscopio di fonti sui nostri antenati è però un cedere il passo all’incertezza. Più si va a ritroso nel tempo, più è difficile avere un quadro preciso di fatti e datazioni: insorgono enigmi a cui la scienza da sola non riesce a dare risposte.
Dinanzi a ciò, vacilla lo scientismo, vacillano le ipotesi evoluzionistiche della specie umana, secondo cui il “caso” sarebbe alla base di questa magnifica avventura che ci vede protagonisti. Al contrario, don Innocenti propone come razionale credere che una Intelligenza Superiore, Creatrice sia intervenuta nella vita dell’uomo.
Uomo che assume finanche il ruolo di collaboratore del Dio creatore nel concepimento e nella generazione dei figli. L’autore dedica uno spazio al rapporto tra sesso e società. L’attrazione tra i due sessi si rivela non un prodotto del desiderio fine a sé stesso, bensì una forza che dà la vita.
Don Innocenti dimostra che la storia dell’uomo si edifica non sulla lussuria, ma sulla solidarietà familiare, la quale a sua volta accende “il fuoco della solidarietà civile e religiosa”. “Se l’uomo è riuscito a mantenersi sociale – scrive – è proprio perché ha costruito positivamente la principale e fondamentale cellula della società: la famiglia”.
Fuoco della “solidarietà civile e religiosa” che ardeva incessantemente nel Foro della Roma antica. Non esita l’autore a parlare di un “vanto romano d’aver il primato religioso rispetto a tutti i popoli della terra”, come anche “il vanto d’aver realizzato la concordia sulla base del riconoscimento di diritti d’uguaglianza di ogni civis”.
Don Innocenti rileva che “il razionale impegno tradizionale romano nel lavoro ha suggerito ai romani l’idea di Dio come suprema forza attiva che dappertutto semina o muove potenze attive”. A differenza di altri popoli antichi, i romani non cedettero all’idolatria di un Dio quale astrazione, essi “colsero la parentela dell’atto umano con quello divino”.
Senza la pretesa – che ebbero i greci – di assimilare gli uomini agli dei, i romani riconobbero la presenza divina “nel realistico confronto con il mondo”, non in una gnostica dicotomia tra spirito e materia.
Ebbero dunque una privilegiata disposizione a raccogliere il testimone di un Dio che si è fatto carne, di un Dio della concretezza. La fiaccola della grande rivelazione cristiana, con la predicazione dei primi apostoli e con Roma, esce così dall’esclusivismo per assurgere a civiltà irradiante.
Quella che l’autore chiama “saldatura tra Vangelo e Romanità” è foriera di un grande sogno: l’Europa cristiana. La sua dilatazione, caduta la Roma antica, è affidata al Sacro Romano Impero e poi alla Roma dei Papi con la grande stagione missionaria in America, in Asia, in Africa.
L’insorgere di filosofie atee, nel corso del tempo, ha tuttavia fatto affievolire lo spirito cristiano in Europa, portando non solo a quello che don Innocenti chiama “l’appannamento dell’influsso spirituale di Roma”, ma anche “della sua eredità nell’alta politica”.
Ne deriva il sopraggiungere dei “desideri terreni e carnali”, incrementando “soprattutto i rapporti commerciali”. Si afferma allora una civiltà di mercanti, dalla cultura desacralizzata, edonistica e consumistica.
I frutti sono sotto i nostri occhi. L’autore traccia le fasi e gli elementi che hanno prodotto l’attuale “potenza sovversiva del mondialismo democraticistico”. Essa si condensa nella corruzione, nella manipolazione del consenso attraverso i media di massa e nel secolarismo o in una religione dominata da una “teologia trascendentale”.
Non c’è però da disperare. Don Innocenti confida nel fatto che “il potere sovversivo è minato alla radice” giacché, “non avendo fondamento razionale, può imporsi solo con la violenza quando non trova il consenso”.
È necessario però che “residui eroi cristiani proclamino alto e forte l’alternativa romana e cristiana all’empietà nichilista perché le intelligenze tornino disponibili a ricostruire la pace”. Questo volume è dunque un affresco storico sì, ma anche un richiamo alle coscienze per l’avvenire.

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Federico Cenci

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