La Chiesa per la scuola - Roma 10 Maggio 2014

La Chiesa per la scuola - Roma 10 Maggio 2014 (Opera Padre Pio)

Padre Pio e quella "creatura della Provvidenza" che sorge su un monte

Un’eccellenza nelle cure mediche, ma anche luogo d’accoglienza e d’attenzione verso i pazienti. La Casa Sollievo della Sofferenza raccontata dal suo direttore generale

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In cima a un monte del Gargano, immerso nella fitta vegetazione locale, c’è un bianco complesso di edifici che è un’eredità che San Pio da Pietrelcina ha lasciato al territorio nel quale ha vissuto. Una città ospedaliera che consta di 900 posti letto e che ogni anno riesce ad accogliere in ricovero circa 57mila persone e a garantire 1,3 milioni di prestazioni ambulatoriali. Una struttura tecnicamente adeguata alle più ardite esigenze cliniche. Un’eccellenza sanitaria, vanto del Meridione e dell’Italia intera. Questa è la Casa Sollievo della Sofferenza.
Dietro la nascita di un simile “miracolo”, l’ardente desiderio di un frate cappuccino che ha speso la sua esistenza umilmente, in preghiera, al servizio della Chiesa e dei fratelli. La realizzazione di questa clinica fu agognata da Padre Pio a tal punto che la definì la “pupilla dei miei occhi”. Un “pupilla” che oggi, a sessant’anni dalla sua inaugurazione, si volge verso il prossimo, il malato, il sofferente per offrire cura e amore.
Per avere coscienza di come il carisma del Fondatore sia un realtà viva e contagiosa all’interno di queste mura, basta ascoltare la raggiante voce con cui parla del suo lavoro il dott. Domenico Francesco Crupi, direttore generale nonché vice-presidente della Casa Sollievo della Sofferenza. Un lungo curriculum alle spalle, il dott. Crupi non esita a definire quella attuale la “esperienza professionale migliore che potesse capitarmi”. Con lui, nella Giornata Mondiale del Malato e a margine dell’esposizione a San Pietro delle spoglie di Padre Pio, parliamo di questa Casa.
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Dott. Crupi, il 5 maggio 1956 Padre Pio, inaugurando la struttura di cui Lei è oggi Direttore generale, la definì “creatura della Provvidenza”. A sessant’anni di distanza, possiamo affermare che il Santo di Pietrelcina aveva ragione?
Negli anni quaranta il Gargano e la provincia di Foggia costituivano, sul piano economico e socio- assistenziale, un’area fra le più depresse del Sud Italia. L’azione operata inizialmente da San Pio, in soccorso agli uomini e alle donne, non solo di questa terra, ha caratteristiche opposte ai consueti schemi e regole con le quali si è soliti pianificare la costruzione di un ospedale. Padre Pio testimonia con la costruzione della Casa Sollievo della Sofferenza che il sottosviluppo, per esempio, non è un evento ineluttabile, perché ciò che conta è la volontà di vivere, agire e soffrire con il prossimo, camminando insieme a lui nella storia individuale e comunitaria. In questo senso la costruzione della Casa in cima ad un monte, è certamente simbolo della Provvidenza divina, che si realizza attraverso i carismi del nostro Fondatore. La Provvidenza non esaurisce i suoi effetti nel tempo e Padre Pio accompagna, sorregge, aiuta la sua Casa, che ha voluto e realizzato con grande determinazione se non con ostinazione.
Dunque la presenza di Padre Pio è ancora viva nella Casa…
È incoraggiante constatare come Padre Pio, attraverso i suoi insegnamenti, la sua visione condiziona positivamente i comportamenti di tantissimi operatori della Casa e determina i fini e le strategie poste in essere in quanto sempre ancorate alla missione che ci ha assegnato. Non v’e dubbio che Padre Pio avesse ragione, anche se, in questo dispiegarsi della Provvidenza nella storia, chi opera ed opererà in Casa Sollievo, deve impegnarsi quotidianamente a tenere vivo il fuoco alimentato dai carismi fondazionali, a misurare la coerenza del proprio agire e del proprio ruolo ai valori fondanti, a conciliare eticamente i moderni strumenti offerti dalla medicina, dalla ricerca scientifica e dalla economia gestionale, con la missione di questa Casa intrinsecamente ispirata alla carità ed al bene comune, nel senso indicato dal magistero della Chiesa Cattolica, alla quale Padre Pio ha lasciato in eredità la sua Casa.
Ricevendo in Udienza i dipendenti della Casa, sabato scorso, Papa Francesco ha ricordato, sulla scia del suo predecessore Benedetto XVI, “che gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore”. Sono presenti nella Casa quelle che Padre Pio definì “riserve di amore”?
Rispondendo a questa domanda è molto alto il rischio di essere autoreferenziali e di incorrere in autovalutazioni. Preferisco pertanto raccontare il percorso intrapreso ormai da anni, per tenere sempre vivo il nostro impegno a seguire e testimoniare gli insegnamenti di Padre Pio che fanno della carità e dell’amore verso la persona ammalata il cardine della relazione paziente-operatori. Certo alcuni indicatori oggettivi, quale l’elevato tasso di attrazione regionale ed extra-regionale, confermano l’esistenza di un valore aggiunto rispetto alle semplici cure mediche, costituito essenzialmente dalle modalità di accoglienza e dall’attenzione rivolta al malato e alla sua famiglia, come testimoniano le numerose lettere che riceviamo da chi è stato qui ricoverato.
Anche alcune scelte organizzative concorrono a tali finalità, quale per esempio quella di affidare, nell’ambito dello stesso reparto, al coordinatore infermieristico i compiti assistenziali e alla suora capo-sala quelli inerenti ai bisogni spirituali, umani, religiosi ed ad ogni altra necessità. Dall’ultimo Bilancio di Missione, che pubblichiamo periodicamente, risultano tutti i servizi che offriamo in aggiunta a quelli sanitari e che, per la sola ospitalità gratuita ai familiari che provengono dal sud del mondo, sono stati impegnati in un biennio, oltre 600 mila euro.
Una preoccupazione, quasi una preghiera, fece Padre Pio affinché la sua Casa non perisse di “inedia“ e non venisse mai distorta la sua visione del rapporto con la persona malata e bisognosa. Per impedire che ciò potesse accadere abbiamo condiviso al nostro interno la necessità di ritornare alle origini, di riascoltare le parole del Padre Fondatore, di comprendere la missione assegnata, di finalizzare i moti dei cuori e delle intelligenze all’amore e alla cura del fratello sofferente e di non lasciarsi trascinare lentamente e stancamente dal fiume dell’inerzia, entro i comodi confini del nostro egoismo. Ci apparve chiaro come alle innovazioni gestionale ed ai sofisticati strumenti dell’ingegneria economica utilizzati per essere sempre più efficienti, occorreva dare lievito e collante, attraverso un ritorno alla Fonte che ha dato origine alla nostra storia.
Per poter adempiere al meglio ai valori che Lei richiama nella sua domanda, abbiamo ideato ed avviato, sin dal 2009, un percorso formativo permanente teorico-pratico, teso a riscoprire “il carisma fondazionale vivendo le virtù sul lavoro” riservato a tutti gli operatori della Casa e condotto da una squadra multidisciplinare della Pontificia Università della Santa Croce. Abbiamo utilizzato la formazione per ancorare il sapere specialistico a solide basi etiche, cercando di praticare nel lavoro quotidiano le virtù della carità, della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza, coniugando umiltà e magnanimità nel perseguire i grandi ideali e i grandi obiettivi che San Pio ha disegnato per il bene della persona sofferente.
C’è un episodio della sua esperienza di Direttore di questa casa a cui è particolarmente legato?
Sono numerosi gli episodi accaduti in questi anni ai quali son intimamente legato; essi riguardano, per esempio, storie di giovani provenienti da Paesi africani e dei familiari, nostri ospiti, che li accompagnavano. Ma vorrei ricordare in particolare Donatella, la bambina dimenticata da tutti, che per sette anni – quindi ben oltre quell’anno di vita concessole dalla medicina ufficiale – è vissuta grazie soprattutto all’affetto e all’amore che le è stato donato in questa Casa da tutto il personale del Servizio di Rianimazione, in particolare da Suor Noemi che le ha fatto da madre premurosissima. Cito questo episodio perché esprime tangibilmente quel rapporto cura-amore del malato, che costituisce l’essenza della missione assegnataci del nostro Fondatore.
Cosa si prova ad essere Direttore di una simile struttura?
Una grande responsabilità per garantire la sostenibilità morale ed economica dell’opera, nei confronti della comunità, delle oltre 400mila persone che ogni anno salgono sulla montagna per curarsi, delle famiglie dei 2.800 dipendenti. Ma il sentimento di gran lunga prevalente è quello della gratitudine verso chi mi ha concesso di vivere questa incredibile esperienza professionale ed umana. Si dice che nessuno  arriva per caso a San Giovanni Rotondo, per cui spero che alla fine di questa esperienza io possa essere cristianamente migliore di quanto lo ero al mio arrivo.

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Federico Cenci

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