Pierre Lemaitre

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Quei finti monumenti ai caduti…

“Ci rivediamo lassù” di Pierre Lemaitre è un’amara rilettura delle conseguenze della Prima Guerra Mondiale

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In tanti comuni italiani, nei giorni immediatamente prossimi al 24 maggio, le istituzioni, i cittadini, le scuole si sono raccolte intorno ai monumenti ai caduti per celebrare le vittime della Prima Guerra Mondiale e ricordare il centenario dell’entrata in guerra dell’Italia.

E spesso il simbolo, ovvero il monumento, appare come un luogo geografico, come se fosse sempre stato lì e non fosse invece il risultato dell’opera umana e di tutta una serie di passaggi politici, burocratici ed economici come avviene per una qualsiasi opera pubblica.

Si può partire anche da qui, per rileggere il libro Ci rivediamo lassù pubblicato in Francia nel 2013 e l’anno successivo in Italia da Mondadori, dove uno dei filoni della narrazione è la truffa che avviano due disperati reduci di guerra, sconvolti nel corpo e nella psiche, i quali, per recuperare centinaia di migliaia di franchi, propongono finti monumenti ai caduti alle amministrazioni comunali francesi ed ai connazionali, allettati dall’idea di ricordare i propri eroi .

Pierre Lemaitre consegna al lettore ritratti di personaggi che, solo per comodità storica, si allocano dal 1918 in poi, ma che sono simbolici delle epoche dopo le cadute, quando la voglia di risorgere e di dimenticare fornisce speranze e azzardi e in cui l’idea del riscatto prende il sopravvento come ricompensa dei torti subìti.   

I cambi di identità del ricco Édouard e dell’anonimo Albert vogliono indicare che, dopo una guerra, si è tutti diversi rispetto a prima e le ferite che la guerra lascia nel fisico non sono più profonde e vistose di quelle che lascia nei costumi.

L’altro filone, speculare al primo, è la truffa che il potere politico o economico, arricchitosi anche durante la guerra, continua anche dopo la sua conclusione. In questo caso, è il tenente Pradelle che, assunto agli onori militari per una dubbia operazione di guerra negli ultimi giorni del conflitto e coniugato con Madeleine (sorella di Édouard), una ricca ereditiera, riuscirà ad aggiudicarsi gli appalti per dissotterrare i corpi dei soldati morti nei campi di battaglia e per la loro tumulazione nei cimiteri di guerra.

Le nefandezze messe in campo dal tenente Pradelle saranno scoperte da un povero e solitario funzionario ministeriale, Joseph Merlin, che con i suoi rapporti scardinerà l’omertà del potere politico, rifiutando la corruzione e che troverà un alleato nascosto nel padre di Édouard che non si rassegna a non riabbracciare il proprio figlio, creduto morto in guerra.

In questa narrazione in cui la componente pubblica è tutta al maschile, Lemaitre tratteggia tre delicate figure al femminile: la piccola Louise che ridarà vita e talento ad un Édouard incamminato verso la tossicodipendenza, per alleviare i dolori delle ferite di guerra; Madeleine sospesa nel ruolo di figlia, sorella, moglie e madre, più come completamento di una assenza che di una vera e propria presenza e personalità; infine Pauline, l’ultima compagna di Albert che si troverà a decidere, nelle pagine conclusive del libro, se fidarsi o meno, per tutta la vita, di un truffatore.

Questo centenario dell’entrata dell’Italia in guerra, il cui simbolo è il Vittoriano con il Milite Ignoto, viene sfregiato oggi dalle inchieste di Mafia Capitale che vede l’epicentro a poche decine di metri, nel Campidoglio sede del Comune di Roma. Riprendendo il libro di Lemaitre, si rimane sorpresi nel trovare descritta l’abiezione dell’arricchimento del tenente Pradelle e nel vederla trasportabile, con intatta inquietudine, a quasi un secolo di distanza. E di come ognuno di noi si pone di può porre di fronte ai fatti corruttivi.

Si tratta dello stesso dilemma morale nel quale si trova l’ispettore ministeriale mentre ispeziona i lavori all’interno del cimitero: “Le circostanze tragiche necessitano di un certo pragmatismo e Merlin riteneva giusto far passare sotto silenzio diverse irregolarità, pur di finirla, Dio santo, pur di finirla con questa guerra. Ma lì, a Chazières-Malmont (…), tutto questo lasciava perplessi. E l’idea di ciò che era giusto o meno cominciava a vacillare. Allora, quando s’incrociava un cane saltellante come una ballerina e con l’ulna di un soldato in bocca, il sangue andava dritto al cervello. Si aveva voglia di capire”. E, oggi, “l’ulna di un soldato in bocca”, può apparire la corruzione sui centri di accoglienza.

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Antonio D'Angiò

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