Quaresima: quando la preghiera diventa poesia

I versi di Virginio Colmegna, Tonino Bello e Antonio Ragone sono accomunati dall’immagine del deserto e della fatica della vita terrena

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“La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnerne l’ardore, mettiamoci alla ricerca dell’acqua da versare… sui piedi degli altri”, scriveva don Tonino Bello in una riflessione sulla Quaresima, inquadrando ogni azione di questo tempo nella cornice di due segni, la cenere e l’acqua: due tra le infinite immagini che si accavallano e rincorrono in tanti componimenti poetici dedicati al tempo dei quaranta giorni: il deserto, la strada, il viandante, la croce e la prova, il calvario e la sete, la preghiera e la purificazione.

Perché tanta creatività poetica è legata a questo periodo ‘di transizione’ che spesso fa oscillare tra sentimenti di ripulsa e accettazione, rassegnazione e speranza, fatica e pervicacia, rifiuto e anticipo di gioia? Con i versi della poesia di don Virginio Colmegna si può forse tentare di rispondere a questo interrogativo: Deserto è il titolo del componimento, orizzonte smisurato nel quale i protagonisti che si muovono sono dei “camminatori in cerca di meta”, e la strada polverosa richiama i giorni della vita di ognuno. Ma è la meta a illuminare e rendere questo lasso di tempo una “Quaresima di pace tanto invocata e amata”.

Deserto

Deserto,
parola svuotata
impoverita e paurosa
impietrita strada
di soffocante silenzio
Deserto, strada polverosa
piccola traiettoria
di viandanti affaticati
che cercano oasi
per soddisfare
la sete bruciante
di camminatori
in cerca di meta

Deserto, di popolo
in cammino
Quaresima di pace
invocata e amata
esodo di deserto
meta pasquale da Gesù di Nazaret
che dona la vita
piena e colma
di gioia perenne

***

Il deserto, la tentazione, i tornanti del Calvario sono un percorso insidioso lungo il quale spesso ci perdiamo, “sfiniti” dai passi “consumati sui viottoli nostri”: è in quel Gesù che “passa attraverso” “le strade scoscese di questa terra” la possibilità di essere redenti dai “tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera”, secondo le parole della poesia-preghiera di don Tonino Bello:

La pace, prima che traguardo, è cammino

Dal deserto del digiuno e dalla tentazione
fino al monte Calvario, Gesù passa attraverso
le strade scoscese di questa terra.
E quando arriva ai primi tornanti del Calvario,
non cerca deviazioni di comodo, ma vi si inerpica
fino alla croce.
Sì, la pace, prima che traguardo, è cammino.
E per giunta, cammino in salita. Vuol dire, allora,
che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi,
i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni.
Forse anche le sue soste.

“Eccoci, Signore, davanti a te. Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato. Ma se ci sentiamo sfiniti non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto  o abbiamo coperto chissà quali interminabili rettilinei. È  perché, purtroppo, molti passi li abbiamo consumati sui viottoli nostri, e non sui tuoi sentieri, seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà
faccendiera, e non le indicazioni della tua Parola”.

***

Il deserto di Antonio Ragone ci conduce invece per un cammino scandito da “città senza nome”, caratterizzato dal ripetersi dei passi, dai corsi e ricorsi di una storia nella quale i passi stessi del poeta sbiadiscono quasi inghiottiti dagli eventi: è l’incomprensibilità della croce, che sovrasta con la sua pesantezza le spalle di un uomo costretto a portare come un fardello persino la sua stessa ombra:

Intuizione

La sera,
camminando lungo i muri
di città senza nome,
appena illuminate
da ondeggianti lampioni,
ripeto i calcoli
Così ripasso la storia,
pagina su pagina,
mentre i passi si confondono
sui selci della strada.
Mi porto a lato
la mia ombra,
riflessa sul muro di mattoni,
con la croce sulle spalle

***

È la pesantezza del dolore o il fastidio di essere coinvolti in una situazione sgradevole a scatenare le domande e i conflitti interiori di chi è gravato dal legno della croce: “Dicono che sia il Cristo, l’Unto. Può darsi, ma io che c’entro?”, si chiede il Cireneo di Corrado di Pietro. Lode, maledizione o bestemmia al limite della preghiera sono le scelte possibili di ogni Cireneo: “Maledetti! / Spettacolo per voi è la morte. / Ma”… E’ un ‘ma’ che cambia tutta la prospettiva: è l’uomo che finisce in realtà per essere trafitto dalla “purezza indicibile in questo brandello d’uomo”, Gesù lungo la strada del Calvario. “La croce gli pesava sulle spalle”: questo verso, ripetuto per tre volte, scandisce ogni strofa in un tempo nel quale si consuma la lotta interiore di ognuno: “Ma io che c’entro?”; “e Simone gli guardava i calcagni sanguinanti”; “Maledetti!”; fino all’esplodere del grido e della preghiera: “O Nazareno, figlio di Giuseppe”…

Il Cireneo

Dicono che sia il Cristo, l’Unto.
Può darsi, ma io che c’entro?
S’è proclamato lui – Figlio di Dio -.
La croce è sua, che se la porti.

La croce gli pesava sulle spalle.

(Gesù si trascinava nel suo muto calvario
e Simone gli guardava i calcagni sanguinanti
e le gambe scarne come rami di carrubo.)

La croce gli pesava sulle spalle.

Maledetti!
Spettacolo per voi è la morte.
Ma ogni essere lascia
dietro di sé il segno del suo gesto,
la musica delle sue parole:
profumo di sensazioni
nel giardino della memoria.
E ci trafigge una purezza indicibile
in questo brandello d’uomo,
ci inquieta il silenzio che lo veste.

La croce gli pesava sulle spalle.

O Nazareno, figlio di Giuseppe,
se sei Dio a che vale
questo legno che trascino per te.
O Nazareno, figlio di Giuseppe,
se sei uomo
questa salita è pure il mio calvario.

***

L’ultima poesia che pubblichiamo (della quale purtroppo non conosciamo ancora l’autore) è un vero e proprio inno alla Quaresima in rima baciata, che lascia intravedere il sapore vero di questo tempo spaccandone la scorza dell’austerità e della fatica:

Quaresima

Questi i bei giorni a Te dedicati
dicesi austeri, sacrificati…
ma se a reggere il peso è la mano Tua forte
il Tuo sorriso,la Celeste Tua Corte…
se è solo nel tempo  privazione rinchiusa 
nel pensiero eterno  canzone profusa
se togliere scorie e pezzi di mondo
fanno lo sguardo più lungo e profondo,
se un grave vizio è trasformato in Virtù
se al solo sospiro Ti degni di guardar Tu
solo il pensiero è immensa premura
se ad ogni scossone arriva la Cura
allor sacrificio cosa vuol dire?
se  dolce, celeste, potente è il lenire…
se il dare,il fidarsi diventa gaiezza,
non abbandonarmi mia dolce fortezza
l’anima a volte risponde al cervello
allontana ti prego questo umano fardello
eleva e porta sulle tue ali
cause ed origine di sì orrendi mali
scaccia e distruggi ciò che umano frappone
all’Amore, al Coraggio, alle opere buone
fa che realizzata sia la Tua volontà
riempi di fiori la casa Aldilà
ogni ingiustizia corolla di un giglio
profumo di lilium ogni consiglio
sia margherita ogni lacrima amara
sia oggi e per sempre creatura a te cara.
Ogni piccolo dono nei giorni quaranta<br>sia nota armoniosa che il tuo spirito canta
sia frammento pepita per la Vita Vera
sia tramonto rosato di ogni mia sera.

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Maria Gabriella Filippi

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