Quaresima 2015. "Isole di misericordia in mezzo al mare dell'indifferenza!"

Nel suo Messaggio, Francesco invita a vivere questo “tempo di grazia” con un cuore “povero” che si spende per l’altro e non cade nella “vertigine” della globalizzazione dell’indifferenza

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Una doppia immagine anima il Messaggio del Papa per la Quaresima 2015: quella di un Dio sensibile ad ogni bisogno delle sue creature, e quella di un uomo indifferente verso i propri simili e Dio stesso. Nel testo – diffuso oggi ma firmato 4 ottobre 2014, festa di San Francesco d’Assisi – il Santo Padre dona consolazione al popolo di Dio in questo tempo di “grazia” e di “rinnovamento” che è la Quaresima. Appunto per rinfrancare i cuori, come recita il titolo del Messaggio.

“Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato – dice il Papa – Lui non è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo”. Dall’altra parte, però, succede che “quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri, non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono…”.

Il cuore dell’uomo cade dunque nella “indifferenza”, crogiolandosi nel proprio benestare e dimenticandosi “di quelli che non stanno bene”. Tale “attitudine egoistica” ha preso oggi “una dimensione mondiale”, denuncia Bergoglio. È cioè quella “globalizzazione dell’indifferenza” che più e più volte egli ha stigmatizzato, che per i cristiani rappresenta “un disagio” oltre che una sfida da affrontare.

L’indifferenza verso il prossimo e verso Dio è infatti “una reale tentazione anche per noi cristiani”, afferma Bergoglio. Invita pertanto in questa Quaresima, anzi in ogni Quaresima, “a sentire il grido dei profeti che alzano la voce e ci svegliano”.

In particolare, il Vescovo di Roma invoca un “rinnovamento” affinché il popolo di Dio non si chiuda in se stesso, né chiuda quella porta tra cielo e terra spalancata da Cristo con la Sua incarnazione e tenuta aperta dalla Chiesa attraverso Parola e Sacramenti.

Il Pontefice indica tre passi per ‘rinnovarsi’. Anzitutto, “la carità di Dio” che “rompe quella mortale chiusura in se stessi che è l’indifferenza”. Una carità che essenzialmente significa diventare “servo di Dio e degli uomini”, come insegna Cristo e come ci ricorda il rito della lavanda dei piedi del Giovedì Santo. “Solo chi prima si è lasciato lavare i piedi da Cristo” può mettersi a servizio dell’uomo, sottolinea il Papa. E la Quaresima “è un tempo propizio per lasciarci servire da Cristo e così diventare come Lui”.

Ciò – soggiunge – avviene quando si ascolta la Parola di Dio e si ricevono i sacramenti, in particolare l’Eucaristia, attraverso la quale diventiamo “corpo di Cristo”. In questo corpo non c’è posto per l’indifferenza, poiché – spiega il Pontefice – “chi è di Cristo appartiene ad un solo corpo e in Lui non si è indifferenti l’uno all’altro”. La Chiesa è infatti communio sanctorum, non solo perché vi partecipano i santi, ma perché “è comunione di cose sante”, perché “nessuno possiede solo per sé, ma quanto ha è per tutti”.

Quanto detto per la Chiesa universale, il Papa invita a tradurlo con concretezza nella vita delle parrocchie e comunità. “Si riesce in tali realtà ecclesiali a sperimentare di far parte di un solo corpo?”, domanda; ci si sente “un corpo, che conosce e si prende cura dei suoi membri più deboli, poveri e piccoli?”. Oppure – prosegue – “ci rifugiamo in un amore universale che si impegna lontano nel mondo, ma dimentica il Lazzaro seduto davanti alla propria porta chiusa?”.

Bisogna superare i confini della Chiesa visibile, allora, e unirci “alla Chiesa del cielo nella preghiera” in modo da vincere l’indifferenza con l’amore. La Chiesa del cielo è infatti “trionfante”, afferma il Pontefice, ma non “perché ha voltato le spalle alle sofferenze del mondo e gode da sola”, bensì perché i santi “possono già contemplare e gioire del fatto che, con la morte e la resurrezione di Gesù, hanno vinto definitivamente l’indifferenza, la durezza di cuore e l’odio”. E “finché questa vittoria dell’amore non compenetra tutto il mondo”, tutti i santi “camminano con noi ancora pellegrini”, partecipando “alla nostra lotta e al nostro desiderio di pace e di riconciliazione”.  

D’altra parte, prosegue Papa Francesco, “ogni comunità cristiana è chiamata a varcare la soglia che la pone in relazione con la società che la circonda, con i poveri e i lontani”, in virtù della sua natura “missionaria, non ripiegata su se stessa, ma mandata a tutti gli uomini”.

“Quanto desidero che i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza!”, esclama il Vescovo di Roma. 

Indica allora il terzo passo per procedere al rinnovamento: i singoli fedeli, anch’essi tentati dall’indifferenza, anch’essi “saturi di notizie e immagini sconvolgenti che narrano la sofferenza umana”, davanti alle quali emerge una “incapacità ad intervenire”. “Che cosa fare per non lasciarci assorbire da questa spirale di spavento e di impotenza?”, interroga Bergoglio. In primo luogo, “pregare nella comunione della Chiesa terrena e celeste”: “Non trascuriamo la forza della preghiera di tanti!”, raccomanda, e ricorda l’iniziativa 24 ore per il Signore, nell’auspicio che si celebri in tutta la Chiesa, anche a livello diocesano, nei giorni 13 e 14 marzo.

Poi, “aiutare con gesti di carità” grazie ai tanti organismi di carità della Chiesa, magari “con un segno, anche piccolo, ma concreto”. Infine, essere coscienti della sofferenza dell’altro perché questo “costituisce un richiamo alla conversione”. “Il bisogno del fratello mi ricorda la fragilità della mia vita, la mia dipendenza da Dio e dai fratelli”, evidenzia il Papa. Questo ci preserva infatti dalla “diabolica” tentazione “che ci fa credere di poter salvarci e salvare il mondo da soli”.

Per concludere il suo Messaggio, Francesco fa suo l’invito di Benedetto XVI nella Deus caritas est a vivere la Quaresima “come un percorso di formazione del cuore”. Un cuore “misericordioso”, però, che non significa “un cuore debole”, ma anzi “un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, e aperto a Dio”. Un cuore “povero”, insomma, “che conosce cioè le proprie povertà e si spende per l’altro”. Un cuore, soprattutto, che “non cade nella vertigine della globalizzazione dell’indifferenza”.

Per leggere il testo completo si può cliccare qui.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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