Quando i tedeschi si ribellarono ad Hitler

Un libro racconta la resistenza al nazismo e l’operazione Walkiria

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di Antonio Gaspari

ROMA, martedì, 17 febbraio 2009 (ZENIT.org).- L’attentato contro Hitler del 20 luglio del 1944 non fu opera di un gruppo di disperati ma espressione di una opposizione duratura e convinta alla dittatura nazista.

Questo è quanto emerge dal libro “Operazione Walkiria. Hitler deve morire” (edizioni ARES, pp. 176, Euro 13,00), scritto da Luciano Garibaldi, giornalista e storico.

Il volume ricostruisce l’attentato contro Hitler, condotto da Claus Von Stauffenberg, giovane ufficiale di antica famiglia nobile sveva e fervente cattolico, legato fin dai tempi del liceo all’opposizione antinazista.

Von Stauffenberg era disgustato per la persecuzione degli ebrei. In Nord Africa aveva perduto un occhio, la mano destra e due dita della mano sinistra, per cui era stato richiamato a Berlino con l’incarico di capo di Stato Maggiore dell’Esercito territoriale. Qui egli poté mettere a punto il suo piano noto come “Operazione Walkiria”.

L’attentato fallì e scatenò una spaventosa repressione con oltre settemila esecuzioni capitali.

Con una ricostruzione basata anche sulla testimonianza dei protagonisti Garibaldi descrive ed elenca il gruppo di oppositori antinazisti.

C’è il generale Ludwig Beck che avrebbe dovuto assumere la guida della nuova Germania liberata da Hitler. Ci sono i membri del circolo di Kreisau, tra cui il padre gesuita Alfred Delp ed il nobile Helmuth Von Molke, i quali ritenevano “il cristianesimo l’unica ancora di salvezza nel caos” nazista, e che aspiravano a liberare il paese dalla dittatura nazista.

Il libro solleva anche interrogativi sul perché americani, inglesi e russi, per incapacità o cinismo, impedirono alla Resistenza tedesca di accorciare di un anno la seconda guerra mondiale, evitando almeno 10 milioni di morti.

Luciano Garibaldi è autore di oltre 30 libri divulgativi di storia. E’ stato inviato speciale, capo redattore e vicedirettore di quotidiani e settimanali, tra cui “Tempo”, “Gente”, “La Notte”. Collabora con vari quotidiani e periodici tra i quali “Studi cattolici” e “Storia in Rete”. ZENIT lo ha intervistato.

Quali erano le motivazioni che convinsero alcuni ufficiali tedeschi a tentare di eliminare Hitler?

Garibaldi: L’opposizione delle alte sfere militari contro Hitler ebbe inizio molto tempo prima dell’attentato, e precisamente nel mese di maggio 1938, allorché apparve evidente l’intenzione di Hitler di invadere la Cecoslovacchia, con la scusa che, nella regione dei Sudeti, le minoranze di lingua tedesca sarebbero state angariate dal governo di Praga.

Consapevole che l’aggressione avrebbe potuto significare lo scoppio della guerra mondiale, dato che la Cecoslovacchia era legata da un patto di alleanza con la Francia e la Gran Bretagna, l’allora capo di Stato Maggior Generale dell’Esercito, il generale Ludwig Beck, prese un’iniziativa senza precedenti: proclamò lo “sciopero dei generali”.

In pratica, fece sapere a Hitler che, se non avesse rinunciato al proposito aggressivo, alle sue conferenze militari i comandanti non si sarebbero più presentati, ma avrebbero inviato i loro capi di Stato Maggiore. Il Führer prese alla lettera la minaccia: “I generali non vogliono più lavorare? Benissimo, li sostituirò con i loro sottoposti”.

E così fece, esautorando in blocco decine di comandanti. Beck rassegnò le dimissioni e si gettò a capofitto nella preparazione del colpo di Stato, che sarebbe scattato nel momento in cui – come egli non dubitava minimamente – Francia e Gran Bretagna avessero solennemente dichiarato di voler tener fede ai patti.

Con gli altri esponenti della Resistenza (il borgomastro di Lipsia Carl Gördeler, l’ex ambasciatore a Roma Ulrich von Hassell, il feldmaresciallo Erwin von Witzleben, il comandante delle Panzerdivisionen generale Erich Höpner, numerosi esponenti della Chiesa cattolica e di quella protestante) fu formato il nuovo governo, furono messi a punto i programmi per il ritorno alla democrazia e fu stilato il piano militare per neutralizzare le forze naziste e arrestare il Führer e i suoi ministri.

Purtroppo, quando tutto ormai era pronto, il voltafaccia dei premier inglese, Chamberlain, e francese, Daladier, mandò tutto a monte. Dalla Conferenza di Monaco, voluta da Mussolini, Hitler uscì trionfante e la Cecoslovacchia fu sacrificata ai tedeschi.

E’ vero che uno dei motivi per cui gli attentatori si ribellarono era che non potevano accettare il modo in cui i nazisti trattavano gli ebrei?

Garibaldi: E’ vero ed è documentato da numerose lettere e diari di condannati a morte dopo il fallimento del Putsch. In particolare, Von Stauffenberg non aveva mai fatto mistero di detestare la follia antisemita, e proprio per allontanarsi dal clima di follia razzista diffuso in Germania, aveva chiesto ed ottenuto di andare a combattere in Africa settentrionale, dove, durante un bombardamento americano, fu gravemente ferito perdendo un occhio, la mano destra e due dita della mano sinistra.

Fu in seguito a quelle gravi ferite che venne assegnato all’Esercito Territoriale, l’Hersatzheer, con sede a Berlino nella Bendlerstrasse, con l’incarico di Capo di Stato Maggiore. E qui poté mettere in atto l’Operazione Walkiria, progettata da tempo dai generali antinazisti al preciso scopo di neutralizzare le forze militari del Partito Nazista (SS, Waffen-SS, Gestapo e RSHA, ovvero Reichs Sicherheits Haupt Amt, Alto Servizio di Sicurezza del Reich).

Il colonnello Claus Von Stauffenberg era un cattolico praticante. Parlò dei suoi piani con la gerarchia cattolica?

Garibaldi: Questo è uno degli enigmi che, ormai da oltre sessant’anni, gravano sulla vicenda: se cioè la Chiesa fosse al corrente dell’attentato e ne avesse dato un implicito assenso. Il primo a parlarne fu Constantine Fitz Gibbon, storico irlandese, uno dei massimi studiosi del 20 Luglio.

Nel suo libro “Shirt of Nessun” (Londra, 1956), sostenne che Von Stauffenberg si confessò dall’arcivescovo di Berlino, il conte von Preysing, senza tuttavia ricevere l’assoluzione. L’arcivescovo gli avrebbe però detto che “non si considerava autorizzato a trattenerlo in base a motivi ideologici”.

Una decina d’anni dopo, da me intervistato a Berlino, padre Harald Pölchau, il cappellano del carcere di Tegel che aveva assistito, in punto di morte, i massimi esponenti del complotto, tra cui Von Moltke, Alfred Delp, Julius Leber, York von Wartenburg, Von Hase e Von Witzleben, disse di avere appreso da quei condannati, senza ombra di dubbio, che Von Stauffenberg si era confessato, aveva ricevuto l’assoluzione e si era anche comunicato. Lo aveva rivelato loro lui stesso prima di partire per Rastenburg per collocarvi la bomba.

Nel 1963 fu inaugurata a Berlino, nel quartiere operaio di Siemensstadt, la chiesa cattolica Regina Martyrum, edificata in memoria dei religiosi impiccati in seguito ai fatti del 20 Luglio. All’inaugurazione era presente il cardinale Julius Döpfner, attorniato dai vescovi della Germania.

Tutti dissero che, avendo fatto costruire quel tempio, la Chiesa di Roma implicitamente aveva ammesso la liceità del tirannicidio. Appare in ogni caso assai verosimile che l’arcivescovo Von Preysing (il quale sarà nominato cardinale da Pio XII nel marzo 1946 assieme al vescovo, già perseguitato dai nazisti, conte Clemens August von Galen) abbia prontamente e doverosamente comunicato alle gerarchie superiori ciò che aveva appreso da Stauffenberg.

Chi erano gli altri componenti del gruppo che voleva rovesciare Hitler e quale fu la loro sorte?

Garibaldi: Tra gli esponenti militari più famosi vanno annoverati il Generale Ludwig Beck, del quale abbiamo già parlato, il feldmaresciallo Erwin von Witzleben, comandante del Fro
nte Occidentale e designato quale nuovo comandante in capo della Wehrmacht a golpe riuscito, il generale Friedrich Olbricht, capo dei Servizi Generali della Wehrmacht, il feldmaresciallo Erwin Rommel, la mitica “volpe del deserto”, il comandante militare di Berlino, generale Paul von Hase, il governatore militare del Belgio e della Francia, generale Alexander von Falkenhausen, il comandante militare di Parigi generale Heirich von Stuelpnagel, il comandante delle Panzedivisionen generale Erich Hoepner, il capo dei Servizi Segreti (Abwehr) ammiraglio Wilhelm Canaris, gli ambasciatori tedeschi a Mosca Von der Schukenburg e a Roma Ulrich von Hassel. Saranno tutti impiccati a ganci da macellaio, fatta eccezione per i grandi suicidi: Beck, Von Treschkov (capo di Stato Maggiore del Gruppo d’Armate “Mitte”), Von Stuelpnagel, Rommel.

Perché fallì l’attentato?

Garibaldi: Com’è noto, il 20 luglio del ’44 Stauffenberg fu convocato a Rastenburg, quartier generale di Hitler. Nella borsa aveva una bomba ad acido corrosivo, che sarebbe esplosa entro dieci minuti esatti dalla rottura della fialetta. Prima di entrare nel bunker, avvertì il centralino: “Sto aspettando una telefonata da Berlino”.

Era la scusa per poter uscire, non appena collocata la bomba. Ma un ufficiale, cui la borsa lasciata tra i suoi piedi da Von Stauffenberg impediva di avvicinarsi alla carta militare dispiegata sotto gli occhi di Hitler, la spostò quasi inavvertitamente, interponendo tra essa e il Führer il pesante zoccolo del tavolo. Questo fatto causò la morte sua e di altri due ufficiali, ma salvò il dittatore.

Da quanto si sa, non fu l’unico attentato, quindi una resistenza al nazismo e ad Hitler è sempre esistita anche negli anni più bui…

Garibaldi: La storia dei tentativi di uccidere Hitler richiederebbe un volume a sé. Essi furono decine, ma, per una ragione o per l’altra, fallirono tutti. Si tentò con le “bombe inglesi”, dove il rumoroso congegno ad orologeria era sostituito con una fialetta di acido corrosivo.

Poi fu la volta degli “attentati al cappotto”: ufficiali kamikaze con due bombe a mano nelle tasche del soprabito sarebbero saltati in aria assieme all’odiato dittatore.

Ma nessuno degli aspiranti attentatori riuscì mai ad avvicinare il Führer, circondato sempre da uno sbarramento vivente, quello delle sue fedelissime SS, e protetto da incredibili misure di sicurezza: sotto la divisa, indossava una corazza; il suo berretto, foderato di lamine d’acciaio, pesava due chili e mezzo; e le sue Mercedes blindate possedevano potenti riflettori ai lati e sulla parte posteriore, per abbagliare eventuali tiratori.

Qual è il suo giudizio sul film “Operazione Walkiria” che racconta la stessa vicenda narrata nel suo libro?

Garibaldi: La validità del film, a mio modesto avviso, va riconosciuta. Sia per l’indubbia capacità espressiva di Tom Cruise, sia per la fedeltà agli eventi storici, narrati generalmente con adesione alla realtà, al punto che, seguendo lo sviluppo degli eventi descritti sullo schermo, mi pareva di rileggere le pagine del mio libro.

Non c’è dubbio che lo sceneggiatore e il bravo regista Bryan Singer hanno deciso di attenersi ai fatti senza lasciarsi trascinare da pulsioni sentimentali o voli di fantasia, dando vita così a quello che potrebbe definirsi un documentario storico reso avvincente dai primi piani dei volti dei protagonisti, dall’ottima ricostruzione ambientale (perfetti le divise, i veicoli, i carri armati, le telescriventi, i telefoni), dai dialoghi, assai verosimili.

Lo spettatore che non conosce a fondo la dinamica del 20 luglio ha perfettamente capito che l’insuccesso del complotto fu dovuto alla componente umana dei suoi ideatori: se fossero stati molto più duri con chi esitava, molto probabilmente il “Putsch” sarebbe riuscito, nonostante l’insuccesso dell’attentato vero e proprio.

Sarebbe bastato tenere in pugno la sede della radio (onde impedire a Goebbels di accedervi per diramare il primo dei suoi comunicati-stampa) e porre nell’impossibilità di nuocere il generale Fromm, comandante dell’Esercito Territoriale (Ersatzheer).

Ma né Von Stauffenberg, né Olbricht, né – meno che mai – l’anziano e umanissimo Beck (destinato a diventare il nuovo Capo dello Stato) avrebbero mai ucciso a freddo un oppositore. L’unica critica che mi sento di fare è l’assoluta assenza di qualsiasi accenno alla profonde motivazioni religiose del colonnello Von Stauffenberg.

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ZENIT Staff

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