Quando don Orione accolse i sopravvissuti al genocidio armeno

Il superiore generale della congregazione, don Flavio Peloso, ricorda un episodio di grande attualità

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“Ho vissuto con profonda partecipazione la celebrazione di domenica 12 aprile, con la quale papa Francesco ha fatto memoria del martirio del popolo armeno iniziato nell’aprile del 1915. Negli anni Venti, anche Don Orione e la nostra Congregazione diedero accoglienza a Rodi a un buon numero di orfani armeni. Alcuni di loro vennero poi a Roma e furono confratelli benemeriti”. È quanto dichiara Don Flavio Peloso, Superiore Generale dell’Opera don Orione.

“C’era grande attesa – continua don Peloso – per vedere se Papa Francesco avrebbe pronunciato la parola “genocidio”, riferendosi al dramma dell’Armenia tra il 1915 e il 1920, parola ancora rifiutata e anche punita legalmente dalla Turchia. Papa Francesco l’ha pronunciata due volte riferendosi sia al popolo armeno e sia ai genocidi del nazismo, dello stalinismo, di altri più recenti e anche a quanto «assistiamo quotidianamente, crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione»”.

“Con libertà interiore e coraggio il Santo Padre – afferma don Peloso –  non ha esitato a definire primo genocidio del secolo XX l’eliminazione di oltre 1.500.000 armeni avvenuta 100 anni fa nel territorio dell’impero ottomano. Evidentemente non l’ha fatto per rilanciare ostilità e contrapposizioni ormai sofferte e passate, ma come antidoto per l’oggi e per il domani di fronte ai nuovi rigurgiti omicidi su larga scala, che fanno scorrere fiumi di sangue innocente. È importante fare memoria perché, ha detto Papa Francesco, «non abbiamo ancora imparato che la guerra è una follia, una inutile strage». Chi nega la memoria degli orrori del male prepara il loro ripetersi”.

Era il 1924, quando furono accolti oltre 70 orfani presso l’istituto orionino di Rodi. Fu Benedetto XV l’unico che denunciò pubblicamente lo sterminio del popolo armeno e promosse iniziative di solidarietà in loro favore. Rodi era territorio italiano e Mons. Cirillo J. Zohrabian, su consiglio del senatore Ernesto Schiaparelli, affidò un gruppo di orfanelli della terribile persecuzione turca contro gli armeni-cristiani da lui stesso messi in salvo. Otto di quegli orfanelli, in seguito, manifestarono vocazione al sacerdozio e Don Orione li fece venire in Italia, il 3 luglio 1928, accogliendoli nella casa di Via delle Sette Sale 22.

“Ci espresse la sua contentezza di avere nella sua Congregazione degli orientali nella persona di noi armeni, ci parlò dell’Armenia martire e della recente persecuzione. A pranzo ci fece cantare nella nostra lingua”, ricordò poi uno di quei giovani, don Pietro Sciamlian. Poi diede loro l’abito di chierici, il 4 aprile del 1929. “L’abito sacro era secondo il costume armeno, con fascia rossa. Ci disse tutta la sua gioia – questa volta è don Giovanni Dellalian a ricordare – per un gruppo di chierici armeni che iniziavano a realizzare la sua brama di riportare in Congregazione l’universalità dei riti della Chiesa Romana e quel senso di cattolicità, di cui aveva pieno lo spirito”.

Nel giorno della loro vestizione clericale, don Orione li presentò dicendo: “Questi stessi giovani che voi vedete qui sono quasi tutti figli di martiri, alcuni hanno martiri dei fratelli, altri hanno avuto uccisi i genitori, chi il padre e chi la madre, tutti insomma hanno un congiunto, un amico che hanno dato il sangue per la fede. E io dico sempre a questi cari figlioli: Pregate per la vostra Patria affinché cessi la persecuzione, preghiamo davvero anche noi per l’Armenia insanguinata affinché per le nostre preghiere e molto più per quelle numerose legioni di martiri voglia Iddio concedere la pace, non solo, ma faccia sì che il sangue non sia stato sparso invano e anche gli infedeli e musulmani vengano in grembo alla vera Chiesa”.

Commosso per il martirio dell’Armenia, don Orione commentò: “L’Armenia, unica Nazione cristiana in mezzo al mondo Maomettano, vide più volte scorrere il sangue dei suoi figli per suggellare la fede in Gesù Cristo ed è per questo che, cari miei figlioli, anch’io cingo di una fascia rossa affinché vi ricordiate della vostra Patria martire, dei vostri antenati che diedero il loro sangue a difesa della fede di Roma e siate pronti a servirla anche voi mostrando di essere figli non indegni dei vostri padri”.

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ZENIT Staff

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