Qual è il contributo delle imprese italiane allo sviluppo dell'Africa?

ROMA, martedì, 14 giugno 2011 (ZENIT.org).- Il contributo delle imprese italiane allo sviluppo del continente africano è stato al centro dell’incontro conclusivo del Forum Harambee 2010-2011, svoltosi questo lunedì a Roma con una conversazione tra Luigi Scordamaglia, AD del gruppo Cremonini, e Massimo di Nola, giornalista del Sole 24Ore Radiocor.

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“Si può guardare all’Africa in maniera diversa, come una opportunità per le nostre imprese e per gli africani stessi e non in termini di sfruttamento e assistenzialismo”, ha spiegato Scordamaglia, responsabile di INALCO, società appartenente al gruppo Cremonini che opera in Africa da oltre vent’anni.

“Il settore agroalimentare si presta bene ad una collaborazione costruttiva con l’Africa perché, rispetto ad altri settori, non priviamo l’Africa di risorse, ma contribuiamo ad organizzare meglio la filiera di distribuzione delle produzioni alimentari locali.”

Luigi Cremonini, fondatore di un impero nel settore alimentare, è arrivato ventun anni fa in Angola, dove ancora infuriava la guerra civile. Scommise su un Paese con un potenziale immenso distribuendo carni e prodotti alimentari e producendo hamburger e salumi. Oggi Cremonini è presente anche in Congo Brazzaville, nella Repubblica Democratica del Congo, in Mozambico e in Algeria, e presto arriverà anche in Nigeria.

“Il made in Italy è considerato un punto di riferimento dai Governi africani: mentre noi continuiamo a mantenere un approccio assistenzialista verso il continente, loro ci scelgono per sviluppare settori strategici della loro economia preferendoci sempre più spesso ai modelli cinese e brasiliano. Adesso è l’Africa che detta le regole!”.

Il modello dell’agroalimentare italiano, ha spiegato Scordamaglia, si adatta bene all’Africa, perché è basato su piccole realtà produttive, di alta qualità, la cui produzione è valorizzata da un efficiente sistema industriale che ne trasforma e commercializza i prodotti.

Il contributo delle imprese italiane è rilevante anche per il trasferimento di conoscenze – “oggi nei nostri stabilimenti in Angola lavorano trecentocinquanta africani e un solo italiano” – e per la creazione di un’imprenditoria locale.

“Oggi il ritmo di crescita dei Paesi africani è velocissimo, e dunque le imprese italiane non possono perdere questa occasione”.

D’altra parte, ha concluso Scordamaglia, “affinché questa crescita diventi vero sviluppo i Governi locali devono fare la loro parte promuovendo adeguati investimenti e politiche agricole”.

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ZENIT Staff

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