Promuovere il dialogo attraverso "Fede, cultura e sviluppo"

Intervista a Paolo Taffuri, coordinatore di World Family of Radio Maria per l’Africa

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di Daniele Trenca

ROMA, venerdì, 23 novembre 2012 (ZENIT.org).– Si è concluso oggi in Tanzania, il Forum organizzato dal Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e dal Pontificio Consiglio della Cultura. Settanta rappresentanti delle Conferenza Episcopali Africane riunitisi a Dar es Salaam per costruire un approccio che prenda spunto dalle risorse e dalle sfide del continente africano. Zenit ha intervistato Paolo Taffuri, coordinatore di World Family of Radio Maria per l’Africa.

La Costituzione della Tanzania garantisce la libertà di culto, ma com’è la convivenza tra cristiani e musulmani nello stesso territorio?

Paolo Taffuri: In Tanzania le due identità religiose hanno convissuto pacificamente per decenni. In questa parte di Africa l’Islam ha una storia secolare, basti pensare che a Zanzibar nel 1840 il Sultano dell’Oman trasferì la propria capitale. Tutta la costa dell’Africa orientale aveva subito l’influenza di Arabi e Persiani. I Cristiani arrivarono grazie ai traffici commerciali dei Portoghesi nel XVI secolo poi con le esplorazioni nella regioni dei grandi laghi da parte di belgi, e inglesi nel XIX secolo. A questi seguirono i missionari che evangelizzarono gran parte dell’entroterra. Con la fine del colonialismo e la nascita della Repubblica Unita di Tanzania, non solo è riconosciuta la libertà di culto, ma lo Stato, uscito da un periodo simil socialista, rivendica la sua laicità. Questo ha favorito lo sviluppo delle diverse identità religiose e garantito la convivenza tra di esse. La popolazione della Tanzania è famosa per essere cordiale e pacifica: per natura i Tanzaniani sono portati a convivere con la diversità religiosa. A Dar es Salaam, città di quasi 5 milioni di abitanti, si trovano sulla stessa strada chiese (cattoliche, luterane, anglicane) e moschee. Tutti sentono il muezzin che chiama alla preghiera alle 5 del mattino, e le campane dei campanili a festa la domenica.

Il 28 maggio scorso l’episodio dell’incendio di due chiese di Zanzibar avvenuta per opera di una organizzazione islamica. Nigeria, Kenya e Tanzania sono i principali obiettivi dei fondamentalisti che stanno portando avanti una guerra basata sul terrorismo religioso. Qual è la sua esperienza a riguardo?

Paolo Taffuri: Purtroppo gli episodi di violenza sono una realtà. Nel mese di ottobre ci sono state manifestazioni di protesta nel centro di Dar es Salaam, da parte di alcuni gruppi di musulmani che hanno minacciato atti di violenza, sulla scia di ciò che stava accadendo in Nord Africa, ma la polizia è intervenuta prontamente. Anche nel sud del paese alcune chiese hanno subito vandalismi. La stessa Radio Maria Tanzania, con cui collaboro, in passato ha subito qualche sabotaggio nelle zone non a maggioranza Cristiana. Fortunatamente sono episodi sporadici che non hanno una forte presa sulla popolazione locale. Si tratta di invece di fondamentalismi ed estremismi che hanno origine all’estero e che cercano terreno fertile in quella parte di popolazione che è svantaggiata soprattutto per il basso livello di istruzione. In un mondo in evoluzione dove la modernità apre le porte ai più preparati, chi non ha un’educazione adeguata non trova posto. Purtroppo in Tanzania tale educazione non è ancora per tutti. E bisogna riconoscere che, mentre la Chiesa Cattolica da quando ha cominciato la sua missione in queste terre ha subito investito nell’educazione dei giovani, non vale lo stesso per i musulmani, in particolare coloro che appartengono a classi sociali meno elevate. In un contesto del genere gli estremismi trovano terreno facile.

“Fede, cultura e sviluppo” è stato il titolo del Forum organizzato dal Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa (Secam) e dal Pontificio Consiglio della Cultura. Secondo Lei quali sono le sfide che si trova ad affrontare l’Africa e la Tanzania in particolare oggi?

Paolo Taffuri: La cultura è un tema importante per l’Africa, sono felice di sapere che la Chiesa se ne occupa. Non si può pensare a uno sviluppo dell’Africa senza uno sviluppo culturale. La grande sfida è che lo sviluppo invece per questo continente sia soltanto economico. Infatti se da una parte l’Europa sta vivendo un periodo economicamente difficile, dall’altra molti paesi africani stanno conoscendo un trend di crescita tra i primi al mondo. Ma una crescita solo economica, senza valori culturali e religiosi, porta ad allargare la forbice tra ricchi e poveri. Una delle grandi sfide dell’Africa oggi è proprio quella di vivere la crescita senza perdere di vista le radici culturali e la passione religiosa che gli Africani hanno per natura. In Tanzania, che è uno degli stati in cui la strada dello sviluppo sta diventando molto visibile per via dei tanti e grandi investimenti che ci sono, è alto il rischio di perdere i valori culturali, delle tradizioni locali. La modernità occidentale è affascinante, ma se adottata così com’è senza metabolizzarla con gli occhi della fede e della cultura si rischia di vivere anche in Africa una secolarizzazione forzata. In Tanzania si è passato dal socialismo al capitalismo più sfrenato, dove per attrarre investimenti, lo Stato ha introdotto una serie di agevolazioni per imprese nazionali e straniere. Non mi pare si dia la stessa attenzione alla cultura, e soprattutto alla fede, che rischia di diventare anche in Tanzania un vestito che si indossa solo la domenica (o il venerdì per i musulmani). Per fortuna per gli Africani credere è qualcosa di naturale e pacifico, difficile da scardinare; il problema rimane quale importanza la fede ha nella vita concreta della gente, in un mondo dove il “dio-denaro” rischia di prendere il sopravvento.

Quali dovrebbero essere secondo lei gli obiettivi che la chiesa dovrebbe porre in primo piano in quest’Anno della Fede?

Paolo Taffuri: In Africa la Chiesa ha bisogno di Santi. Ha bisogno di testimoni che vivano la fede e che siano conosciuti dal mondo. L’Africa ha bisogno di testimonianze di fede vissuta concretamente. Ha bisogno di esempi di come il Vangelo cambia la vita della gente a livello personale ma anche a livello di comunità e soprattutto di società. Nella mia esperienza in Africa ho incontrato tante persone con una fede forte e vera: si tratta degli ultimi, dei poveri, di coloro che avendo poco o niente si affidano completamente a Colui che è il tutto. Sono persone che vivono alla periferia. Nel centro invece, a livello di leadership, l’Africa ha bisogno di testimonianze vere di sacrificio e coraggio cristiano. L’Anno della Fede è senz’altro un’opportunità in cui il Signore susciterà tante vocazioni. Credo che la Chiesa in Africa debba porsi come obiettivo quello di riuscire a essere influente nella vita culturale, sociale ed economica della gente, per mettere la persona al primo posto nei valori. La religione cristiana si scontra sia con alcune tradizioni africane contrarie allo sviluppo dell’uomo e della donna, in particolare degli ultimi nella scala sociale, sia con una cultura modernista ed economicista che venendo da oltre confine a poco a poco si sta infiltrando nel tessuto sociale delle classi più alte. L’Anno della Fede diventa allora un’occasione per vivere con ancora più coraggio la fede nel Figlio di Dio e testimoniare il suo Amore nel servizio ad ogni uomo e donna nel mondo.

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ZENIT Staff

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