Principi su cui radicare e vivere la propria cittadinanza

AGRIGENTO, sabato, 29 novembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato il 22 novembre scorso dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, nel ricevere la cittadinanza onoraria della città di Agrigento e il Premio internazionale “Empedocle” per le scienze umane durante una cerimonia tenutasi nel teatro “Pirandello” di Agrigento.

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Eccellenza,

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Signor Sindaco,
Illustri Autorità, politiche, amministrative,
giudiziarie, militari, accademiche,
gentili Signori e Signore!

1. Omaggio a Pirandello

È per me un grande onore presenziare a un atto così solenne in questo teatro che porta il nome del vostro illustre concittadino Luigi Pirandello. Premio Nobel per la letteratura nel 1934, Pirandello mi ha sempre colpito per la profondità con cui analizza l’esistenza umana, per l’inquietudine e la solitudine a tratti disperata della sua vita che definiva “l’involontario soggiorno sulla terra”, per la capacità d’introspezione con cui entra in se stesso chiamandosi scherzosamente “figlio del caos” e più in generale per il suo tentativo di penetrare nel mistero dell’uomo. Nel 1926, dieci anni prima della morte, pubblica il suo ultimo romanzo, frutto di una lunga gestazione – il ben noto Uno, nessuno e centomila – intessuto di interrogativi che il protagonista rivolge direttamente al lettore coinvolgendolo in una vicenda universale. Le tematiche che abborda sono di perenne attualità e stimolano una riflessione che in fondo è ricerca della verità, ricerca del senso della vita nella sua complessità umana, sociale e spirituale.

2. Il premio internazionale “Empedocle”

Alla ricerca del senso della vita, ricerca indispensabile per costruire una società solidale e aperta alla speranza, vuole offrire un proprio contributo anche l’Accademia di Studi Mediterranei di Agrigento, che – come mi scriveva la Signora Assunta Gallo Afflitto, Presidente Onorario, che ringrazio per il cortese invito – ha cercato di realizzare il “Bello” attraverso la cultura intesa come trasmissione di saperi e di ideali, coltivati cercando di “capire e di trovare i fili nascosti del passato che conducono al presente”. È in quest’ottica che si colloca ed assume il suo giusto valore il conferimento del premio internazionale “Empedocle” assegnato ogni anno – siamo alla XVIª edizione – a personalità del campo della scienza, della filosofia e della cultura cristiana. Mi sento onorato per essere stato scelto quest’anno come destinatario del premio per le scienze umane. Esso è in memoria di Paolo Borsellino – sono lieto di salutare la moglie Donna Agnese, qui presente -, nobile esempio di magistrato al servizio dello Stato, caduto sulla breccia il 19 luglio del 1992 insieme agli uomini della sua scorta, 57 giorni appena dopo la strage di Capaci che segnò la morte di un altro magistrato amico di Borsellino, Giovanni Falcone. Grazie pertanto per questo alto riconoscimento; grazie per l’affetto e la stima con cui mi avete accolto in questa vostra Città di Agrigento che Pindaro, poeta greco del V secolo a.C, definì: “la più bella città dei mortali” e che nell’antichità era ritenuta una delle tre metropoli accanto ad Atene e Siracusa.

3. La Cittadinanza onoraria

Come allora non sentirmi profondamente emozionato per la scelta dell’Amministrazione comunale di associarmi alla vostra comunità come cittadino onorario? Grazie di cuore anche per questo gesto, che considero un atto di omaggio non tanto alla mia persona quanto al ruolo che la Provvidenza mi ha chiamato a ricoprire al servizio diretto del Santo Padre Benedetto XVI. Di lui mi preme trasmettervi il saluto cordiale e l’apostolica benedizione che invia a voi qui presenti ed estende all’intera popolazione di Agrigento. Con questi sentimenti saluto Lei, Signor Sindaco, e gli altri Amministratori locali, provinciali e regionali presenti; saluto l’Arcivescovo, i sacerdoti, le autorità e le personalità che sono intervenute; saluto con affetto tutti voi, cari amici, che affollate questo teatro in una circostanza così significativa. E’ per me un vero piacere trovarmi in mezzo a voi, attorniato dalla cordialità tipica dei siciliani, insieme a tanti illustri rappresentanti delle istituzioni della cultura, della politica, della vita civile ed ecclesiale. Ricevere un premio porta con sé la responsabilità e l’impegno a tradurre in atti concreti le motivazioni che lo giustificano, tanto più quando è promosso da un’Accademia come la vostra che ha così nobili ed alti ideali. Il premio che oggi mi viene conferito è per me stimolo ad un ulteriore sforzo nel servire la causa dell’uomo, a difenderne la vita e la dignità per costruire una società libera e solidale; è ragione per contribuire con il mio servizio di Segretario di Stato di Sua Santità ad improntare la comunità mondiale ai valori della giustizia e della pace, incrementando la diffusione di quella che già Paolo VI, ed ancor più Giovanni Paolo II e l’attuale Pontefice Benedetto XVI ripetutamente hanno definito la “civiltà dell’amore”.

4. Principi su cui radicare la propria cittadinanza

Sono così giunto, cari amici, al tema che vorrei affrontare in questo nostro incontro, alla riflessione che mi piacerebbe condividere con voi e che concerne i “principi su cui radicare e vivere la propria cittadinanza” per dar vita appunto a un mondo più giusto e solidale, vivificato da una speranza che si traduca in operosità quotidiana al servizio del bene comune.

Fra non molti giorni , il 10 dicembre p.v., commemoreremo il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, occasione quanto mai propizia per domandarci quanta strada l’umanità abbia percorso in questi 6 decenni rispetto a un reale riconoscimento dei diritti umani in ogni parte del mondo; quanto cammino resti da fare perché ogni essere umano si senta a pieno titolo cittadino del nostro pianeta; quale sforzo sia necessario nell’epoca della globalizzazione per dar vita a un dialogo capace di sfociare in una pace duratura, per concretizzare una giustizia non solo formale e una solidarietà che sia effettiva condivisione delle disponibili risorse materiali, umane e culturali. Ci si può infine chiedere quale futuro sia possibile costruire insieme e come costruirlo. Tutti questi interrogativi mi affollano la mente in questo momento.

5. L’onestà è un bene a vantaggio di tutti

Mi torna alla memoria una illuminante affermazione di Giovanni Paolo II contenuta nell’enciclica Centesimus annus del 1991: “L’uomo tende verso il bene – scriveva Papa Woytjla – ma è pure capace di male; può trascendere il suo interesse immediato e, tuttavia, rimanere a esso legato”. “L’ordine sociale sarà tanto più solido – egli proseguiva – quanto più terrà conto di questo fatto e non opporrà l’interesse personale a quello della società nel suo insieme, ma cercherà piuttosto i modi della loro fruttuosa collaborazione” (n.25). Intravediamo qui un criterio realistico di fondo molto efficace: puntare cioè sui comportamenti virtuosi dell’uomo è non solo un valore, ma un bisogno. Poiché la corruzione e la carenza di onestà, a qualsiasi livello della vita sociale ed economica si registri, non sono solo un male, ma hanno pure un grave costo sociale ed economico. Pertanto, rifiutare comportamenti disonesti è un bene che reca vantaggi effettivi per tutti. Ecco perché vanno incentivati i comportamenti onesti e puniti quelli disonesti. Esprimo la mia ammirazione per il coraggio dimostrato nei giorni scorsi da un gruppo di imprenditori, che hanno risentito e tradotto in impegno concreto, il grido-denuncia di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi. Illuminante è al riguardo una nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace di due anni or sono che tratta un tema sempre attuale, quello della “lotta alla corruzione” (Nota La lotta contro la corruzione, 21 settembre 2006). Occorre scardinare una idea di fondo che spesso sembra guidare il pensare e l’agire della società contemporanea impregnata di un pervasivo individualismo che porta a un pericoloso relativismo culturale ed etico. Il vantaggio personale ricercato e costruito in modo disonesto, no
n va solo a danno della società, ma finisce per danneggiare lo stesso individuo. La beata Madre Teresa di Calcutta, che con le sue attività a servizio dei poveri più poveri toccava il cuore di molti, amava ripetere che non si può essere felici da soli, che non è pensabile raggiungere una vera felicità dimenticando, peggio sfruttando gli altri.

6. Obblighi e doveri di ogni cittadino

La realizzazione di ogni diritto comporta la consapevole applicazione dei relativi doveri: non c’è insomma diritto reale senza corrispettivo dovere. A questo proposito mi sia permesso semplicemente accennare al fatto che oggi si parla spesso più che di diritti “umani” di diritti “individuali” trasformando desideri da soddisfare in diritti senza un vero fondamento ontologico e quindi universale. Ecco perché mi pare quanto mai opportuno riaffermare che i diritti umani sono universali non perché approvati e riconosciuti da maggioranze parlamentari o della pubblica opinione, bensì perché poggiano sulla natura dell’essere umano, che resta inalterata pur nel mutare delle condizioni sociali e storiche. Proprio per tale ragione, tutti i cittadini membri di una medesima comunità, hanno diritti correlati a corrispondenti doveri. La parola chiave è in proposito: responsabilità. Un’autentica democrazia non può in effetti costituirsi senza una forte assunzione, individuale e collettiva, di condivise responsabilità. Ed è in questa stessa direzione che occorre promuovere ed educare le nuove generazioni, contrastando quelle tendenze egoistiche che spingono a preoccuparsi unicamente dei propri interessi presenti senza tener conto del bene comune di oggi e di domani.

7. Carta dei doveri del cittadino

Il nostro secolo è stato giustamente definito «il secolo dei diritti», perché l’uomo ha preso coscienza di essere titolare di fondamentali esigenze che l’ordinamento giuridico è tenuto a riconoscere e a garantire, e perché la stessa comunità ha superato la nozione di sudditanza per approdare a quella di cittadinanza, mettendo in positiva discussione quel “progetto” di organizzazione dei rapporti tra cittadini e istituzioni, quel “sistema integrale ed integrato di diritti e di doveri, che ha costituito e deve tuttora costituire la misura e insieme il terreno di sviluppo di una convivenza solidale e responsabile nel Paese” (Doc. Stato sociale ed educazione alla socialità, n. 1). Si spiega così, in questo contesto, il fiorire – anche a livello internazionale – di Carte dei diritti del cittadino e di Carte dei diritti riguardanti soggetti particolarmente deboli, quali le donne, i minori, gli handicappati, gli anziani, ecc. Sarebbe però, oggi, assai opportuno porre mano alla stesura di una Carta dei doveri del cittadino, che integri le carte dei diritti e richiami ad ogni cittadino le sue responsabilità in ordine alla costruzione di una società – città, nazione e comunità internazione – che sia autentica “casa comune” di tutti, nessuno escluso.

Non si tratta certo di enfatizzare i doveri nei confronti della collettività, e delle istituzioni, per restringere o eliminare la sfera dei diritti del singolo. Si tratta invece di richiamare i doveri, affinché l’intero corpo sociale possa adeguatamente svolgere le proprie funzioni. Di fronte ai pericoli di un reale svuotamento della cittadinanza effettiva – intendendo per cittadinanza l’abilitazione di ogni persona a sentirsi compartecipe a pieno titolo delle sorti della propria comunità – , appare essenziale che ogni cittadino, cosciente della propria dignità di compartecipe della vita sociale, attivi tutte le sue potenzialità e costruisca insieme con gli altri una migliore casa comune. Più in profondità occorre rilevare che non si può costruire una comunità più giusta ed umana senza un disegno organico, senza una chiara visione dello “Stato” e della società di cui si è parte, e senza una visione lucida ed integrale della dignità dell’uomo e dei suoi complessi rapporti sociali. Indubbiamente una «Carta dei doveri del cittadino» non si esaurisce in una formale elencazione dei doveri del singolo nei confronti delle istituzioni e della società; è piuttosto un’educazione ad accettare la sfida indispensabile di assumersi in prima persona, con coraggio, le proprie responsabilità.

8. Doveri su cui radicare la cittadinanza

Ciò che più interessa è allora individuare alcuni principi e doveri su cui radicare e vivere la propria cittadinanza. Ed allo scopo di stimolare una approfondita riflessione a questo riguardo, vorrei qui indicarne alcuni.

A. Il dovere della partecipazione

Un primo fondamentale dovere del cittadino è quello della partecipazione alla costruzione di una buona convivenza per tutti. Nella “Nota dottrinale circa l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica“, pubblicata dalla Congregazione della Dottrina della Fede nel gennaio del 2003, proprio al n. 1 si legge che: “La vita in un sistema politico democratico non potrebbe svolgersi proficuamente senza l’attivo, responsabile e generoso coinvolgimento da parte di tutti, sia pure con diversità e complementarità di forme, livelli, compiti e responsabilità”. Si parla qui del coinvolgimento responsabile di ciascuno nel pieno rispetto di ogni specifica competenza, per il fatto che l’uomo si realizza compiutamente solo nella relazione con gli altri e anche perché è del tutto illusorio pensare di riuscire a preservare la propria vita rifugiandosi nel privato, dal momento che i problemi della collettività condizionano pesantemente anche l’esistenza del singolo. È invece indispensabile che il cittadino si riappropri della politica, la quale soprattutto oggi, per essere adeguata alle accresciute esigenze collettive, deve essere espressione di un impegno insieme personale e sociale. Va ricordato infatti che, accanto alle scelte alle quali si è chiamati alle scadenze elettorali, non si fa politica solo nei partiti e prendendo parte alle dinamiche interne che li segnano; al contrario si può e si deve fare politica anche nella società civile, impegnandosi per leggi giuste e attente ai reali bisogni della gente, per scelte condivise che rispettino e promuovano il vero ed autentico bene comune.

Che cosa significa accogliere il punto di vista dell’etica del bene comune? Per rispondere conviene chiarire che il tema centrale della dottrina sociale della Chiesa, cioè il fine cui essa mira, è quello dell’ordine sociale non solamente giusto, ma anche fraterno. In un mio saggio sull’etica del bene comune, facevo presente che a nulla gioverebbe, infatti, ridistribuire equamente una ricchezza che fosse stata ottenuta in modo efficiente ma offendendo la dignità di coloro che hanno concorso a produrla. Cosa ce ne faremmo di una società civile come sfera d’azione separata dalla società politica? Ecco perché l’agire socio-politico non può essere riduttivamente concepito nei termini di tutto ciò che serve ad assicurare la convivenza sociale (istituzioni, regole, strumenti), ma deve anche, e soprattutto, assicurare la vita “fraterna” in comune… Ne deriva che l’impegno socio-politico appartiene alla concezione cristiana della vita umana e quindi una critica morale alla vita politica va giudicata pertinente, non giustapposta, all’argomentazione politica (cfr L’etica del bene comune nella dottrina sociale della Chiesa, LEV 2008, pp.57-61).

A tale riguardo, rivolgendosi specialmente ai fedeli cattolici chiamati a testimoniare il Vangelo in ogni ambito della società, il Papa Giovanni Paolo II, rifacendosi all’insegnamento del Concilio Vaticano II, nell’Esortazione apostolica Christifideles laici, al n. 42, afferma che: “i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla ‘politica’, ossia alla m
olteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune”.

Per i cristiani poi la carità, che taluni intendono esclusivamente come aiuto e sostegno al singolo sofferente, è in realtà una virtù che punta a incidere positivamente nella società e al suo reale miglioramento. Lo ha ben ricordato Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus caritas est, dove nella seconda parte approfondisce gli aspetti concreti dell’amore di Dio da tradurre in gesti di servizio all’uomo e alla comunità. L’amore è risposta ai bisogni delle persone e questo comporta necessariamente cambiamenti nella società e nelle istituzioni. La carità è anche lotta per la rimozione delle «strutture sociali di peccato», è lotta alla corruzione e all’ingiustizia. Impegno questo che non può essere delegato esclusivamente a chi fa politica in senso stresso: è piuttosto una responsabilità che interessa tutti; una responsabilità che trova nella giustizia e nella carità i suoi stimoli più forti ed efficaci.

B. Una prudenza sociale e politica

Per svolgere adeguatamente questa funzione di concreta partecipazione politica si richiede poi un’intelligenza critica – potremmo dire una prudenza sociale e politica – capace di individuare e di comprendere i reali rapporti esistenti nella comunità, gli effettivi schieramenti degli interessi in conflitto, le forze reali – anche se occulte – che operano nel tessuto sociale e che spesso lo condizionano, come pure i pericoli di manipolazione a cui si è purtroppo sottoposti. Senza un’adeguata vigilanza e un’attenta valutazione delle situazioni e dei problemi, la partecipazione rischia di divenire meramente declamatoria e il cittadino, sostanzialmente suddito, corre il pericolo di essere incanalato – specie nell’attuale società telematica e della comunicazione di massa – in una democrazia formale, che è l’antitesi di una vera democrazia diffusa. Questo dovere di discernimento impone la ricerca di strumenti di conoscenza, di analisi e di controllo, che aiutino a valutare in modo oggettivo la realtà che i vari poteri sono spesso tentati di rappresentare in modo interessato o deformato. Per questo i singoli avranno il compito di vigilare affinché anche lo Stato, per il fatto che si compone di persone ed è chiamato ad essere una comunità solidale, si adoperi per far rispettare, favorire ed esigere che vengano attuate tutte quelle condizioni che permettono alle persone di realizzarsi armonicamente: sia nella dimensione di autonomia, creatività e responsabilità personali, sia nella dimensione di interdipendenza e di solidarietà sociale.

C. L’esercizio effettivo dei propri diritti

Da ciò consegue che è dovere del cittadino esercitare effettivamente i suoi diritti, sia individuali che sociali. Vi è un dovere di denuncia delle ingiustizie e delle illegalità; un dovere di vigilanza sull’adempimento delle pubbliche funzioni e sul loro corretto esercizio; un dovere di esigere costantemente che i propri diritti siano rispettati, perché ogni violazione di un proprio e singolare diritto individuale facilita e incrementa la violazione dei diritti degli altri. Atteggiamenti di rinuncia e di paura spesso si traducono – al di là delle intenzioni – in sostanziale copertura e omertà.

D. Impegno per lo sviluppo dei diritti

È ancora dovere del cittadino impegnarsi in prima persona per lo sviluppo della propria sfera di diritti. Il cittadino non può in effetti aspettare che altri, privati o istituzioni, si preoccupino di dare risposte ai suoi problemi e di promuovere il superamento delle sue difficoltà. Il cittadino responsabile sa attivare le proprie potenzialità positive per divenire sempre più soggetto libero e artefice della storia propria e collettiva.

E. Aprirsi alla dimensione universale

Nel pianeta, diventato oggi un “villaggio globale”, è dovere di ogni persona non solo preoccuparsi della propria comunità sia essa locale e nazionale, ma aprirsi ai problemi dell’intera comunità umana. Per le profonde interconnessioni ormai esistenti si è infatti cittadini del mondo intero – ed io lo sperimento ogni giorno a 360° nella missione che svolgo – e va contrastata la tendenza a chiudersi in sterili localismi condizionati da una visione miope della vita sociale. Ciò non impedisce certo la giusta valorizzazione delle autonomie locali, che al contrario vanno salvaguardate perché il cittadino non diventi un anonimo abitante di un mondo spersonalizzato.

F. Aprirsi al futuro

Infine è dovere del cittadino non chiudersi nel presente, dimenticando il suo passato e disinteressandosi del futuro. Vi sono doveri nei confronti non solo di coloro che vivono con noi, bensì pure verso chi verrà dopo di noi; siamo responsabili del nostro e dell’altrui avvenire e non possiamo pregiudicare la vita delle nuove generazioni, ad esempio, con un selvaggio sfruttamento delle risorse ambientali. Quanto meriterebbe di essere approfondito questo discorso, considerando i disastri ecologici, i dissesti ambientali causati proprio da un uso egoistico delle risorse attuali dell’umanità! Indubbiamente potremmo ancor più addentrarci nell’argomento che è di grande attualità. Mi limito a queste semplici riflessioni e a poche indicazioni da integrare e sviluppare nella vita di tutti i giorni, tenendo sempre ben chiaro alla mente quel principio che enunciavo all’inizio e cioè: il perseguimento dei propri diritti e di quelli degli altri, passa attraverso la personale e comunitaria piena assunzione delle proprie responsabilità, secondo le regole dell’umana convivenza e dei dettami della democrazia improntata a principi e valori etici e morali.

9. I principi di responsabilità, di sussidiarietà e di solidarietà

Prima di concludere questo mio intervento, mi sia permesso di ribadire il principio di responsabilità, strettamente legato ai principi di sussidiarietà e di solidarietà. Questo principio implica che ogni cittadino, sentendosi responsabile, è portato ad assumere in prima persona il dovere di una attiva e creativa partecipazione alla costruzione del bene comune.

Il principio di responsabilità richiama, ad esempio, il pubblico amministratore o il funzionario a svolgere i suoi compiti e ad utilizzare i beni pubblici e le risorse collettive a lui affidate con la diligenza che il «paterfamilias» adotterebbe nei confronti delle cose di casa sua, e a ritenersi responsabile verso il cittadino che si rivolge a lui. Richiama anche l’operatore dei mezzi di informazione a rispettare la verità dei fatti e ad essere leale nei confronti della comunità e della buona fede dei cittadini, a salvaguardarne con un servizio imparziale la dignità e ad essere rispettoso di ogni persona coinvolta nell’ambito di ogni singola notizia ed informazione.

Il principio di responsabilità chiede anche ad ogni cittadino l’osservanza delle leggi, non solo e non tanto per timore delle sanzioni, quanto principalmente per dovere di partecipazione e di solidarietà. Esso invita anche chi si sente portatore di fondate ragioni di dissenso, ad esprimerle con chiarezza e nei modi previsti dalle regole della convivenza, consapevole che spesso nella storia l’obiezione aperta e argomentata e l’obbedienza a principi più alti della legge naturale scritta nel cuore (cf. Rm 2,14-15) hanno fatto da guida all’innovazione creativa e al cambiamento.

Da parte loro lo Stato e le istituzioni hanno il compito di creare le strutture giuridiche e favorire le condizioni culturali adatte che rendano possibile ai cittadini l’esercizio di questo principio. In proposito Giovanni Paolo II, nell’enciclica Sollicitudo rei socialis, al n. 44, affermava che “la «salute» di una comunità politica in quanto si esprime mediante la libera partecipazione
e responsabilità di tutti i cittadini alla cosa pubblica, la sicurezza del diritto, il rispetto e la promozione dei diritti umani, è condizione necessaria e garanzia sicura di sviluppo di «tutto l’uomo e di tutti gli uomini”.

10. Conclusione: ritrovare l’unità tra fede e ragione

Sorge qui spontanea una domanda: è possibile tutto questo semplicemente facendo appello a risorse umane? La vostra Accademia di Studi Mediterranei intende rilanciare un messaggio più “alto”, che senza nulla togliere alle capacità umane, richiami il “Bene” e il “Bello”, la verità e l’amore che si intrecciano nell’incontro tra Dio e l’uomo perché senza Dio l’uomo non può realizzare appieno se stesso. Per questo, come ripete Benedetto XVI, in ogni campo del vivere umano è necessario ritrovare l’unità tra fede e ragione, tra la dimensione materiale e quella spirituale in una visione integrale dell’uomo e del mondo. Si tratta, a ben vedere, di una necessità vitale in quanto il dramma della loro separazione ha portato e continua a portare ancora oggi a conseguenze nefaste. La ben nota enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II, al n. 45, ricorda che tra le conseguenze della separazione tra fede e ragione verificatesi nel corso dei secoli c’è anche quella di una diffidenza sempre più forte nei confronti della stessa ragione. “Alcuni – osserva il Papa – iniziarono a professare una sfiducia generale, scettica e agnostica, o per riservare più spazio alla fede o per screditarne ogni possibile riferimento razionale”. Non posso non chiudere senza rilanciare un appello soprattutto ai credenti perché siano testimoni con la vita di questa verità, recuperando l’unità profonda che rende la fede e la ragione capaci di essere coerenti con la loro natura nel rispetto della reciproca autonomia. Alla parresia della fede deve corrispondere l’audacia della ragione” (Fides et Ratio, n. 48). Soltanto se si impegna a sviluppare la propria vocazione nel mondo lasciandosi rinnovare nel cuore da Dio, il cristiano diviene testimone e costruttore della speranza che è in noi (cfr. 1Pt. 3, 15). Ecco la sfida che tutti ci interpella; la missione che tutti ci accomuna.

La presenza del cristiano nel mondo non potrà mai essere ridotta a un mero fatto privato, perché ciò in cui crede non è da nascondere, ma, invece, da partecipare. I valori che appartengono alla fede non sono estranei a quelli che la natura conserva e la ragione raggiunge; sono condivisibili con tutti.

Igino Giordani, deputato della prima generazione democristiana, costituente, ora Servo di Dio – nel suo saggio “Le due città”, scriveva: «Ora, la Chiesa che compie questa missione di vita contro la morte, non sta solo in chiesa (quella fatta di mura) né in canonica, né in convento, sta anche in casa e per istrada, nell’officina e nei campi, persino in banca e in parlamento… E’ la storia, è la vita che s’incarica di dar ragione all’universalità cristiana, la quale lotta, tra vessazioni e incomprensioni, da secoli, per abbattere i settori, onde è frantumata l’unica famiglia» (Città Nuova 1961, p. 490-491).

Giuseppe Tovini (1841-1897), avvocato e banchiere, padre di dieci figli, recentemente beatificato da Giovanni Paolo II, preoccupato della difesa della fede, ebbe ad affermare durante un congresso: «i nostri figli senza la fede non saranno mai ricchi, con la fede non saranno mai poveri».

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ZENIT Staff

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