Prima Comunione senza sfoggio (seguito)

Il decreto “Quam singulari” di papa Pio X

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Ci sono pervenuti un paio di commenti sul nostro articolo sulla Prima Comunione. Un lettore ha fatto ad esempio una domanda circa l’indulgenza plenaria concessa in quest’occasione.

Infatti, come menzionato nel n° 42 del Manuale delle indulgenze, si concede l’indulgenza plenaria ai fedeli che si accostano per la prima volta alla Comunione o che devotamente assistono alla cerimonia.

La concessione di questa indulgenza, almeno implicitamente, dimostra che la Chiesa approva l’organizzazione di tali celebrazioni, anche se non c’è un rito speciale per la Prima Comunione. Se non dovesse esserci tale cerimonia, l’indulgenza sarebbe comunque valida per il comunicante, ma non necessariamente per chi assiste alla Messa.

Un lettore di rito orientale ha espresso qualche perplessità sulla pratica nella Chiesa latina, che è in contrasto con la consuetudine orientale di dare la Comunione e di conferire il sacramento della Cresima tutti insieme al momento del Battesimo.

Il lettore ha fatto riferimento a un documento della Santa Sede del 1938, che non ho potuto rintracciare, secondo il quale una Prima Comunione in gruppo, con abiti speciali, sarebbe da evitare. Non conoscendo il contesto, non posso commentare. L’unica cosa che posso dire è che in certe circostanze, ad esempio in tempi di declino economico generalizzato, una tale raccomandazione non sarebbe per nulla sorprendente.

Altri punti, come ad esempio il perché della Prima Confessione prima della Prima Comunione, richiedono un esame approfondito della pratica della confessione nel rito latino e orientale. Il ricorso assiduo e frequente al sacramento della riconciliazione, anche in assenza di peccato grave, è stato incentivato nella Chiesa latina, mentre in alcune tradizioni orientali l’uso del sacramento è meno frequente e di norma legato all’accostarsi alla Comunione.

Per cogliere meglio la logica sottostante alla pratica latina, è utile ricorrere al decreto Quam singulari emanato dalla Sacra Congregazione dei Sacramenti nell’agosto 1910 su mandato di san Pio X, che costituisce tuttora la base per la pratica attuale:

“Di qual affetto particolare abbia Cristo sulla terra amato i bambini, ne fan chiara testimonianza i sacri Evangeli, dai quali si apprende com’Egli gioisse di trovarsi in mezzo a loro, come usasse imporre su di loro le mani, stringerli al seno e benedirli, mal sopportando che venissero respinti dai suoi discepoli, cui diresse quelle gravi parole: «Lasciate stare i piccolini e non impedite loro che vengano a me; imperocchè di tali è il regno dei cieli». Qual conto poi Egli facesse della loro innocenza e del loro candore, lo dimostrò abbastanza allorquando, chiamato a sé un fanciullo, disse ai discepoli: «In verità vi dico che, se non diventerete come fanciulli, non entrerete nel Regno de’ Cieli. Chiunque pertanto si farà piccolo come questo fanciullo, quegli sarà il più grande nel Regno de’ cieli, e chiunque accoglierà nel nome mio un fanciullo come questo, accoglie me stesso».

“Queste cose ricordando la Chiesa cattolica procurò fin da’ primi tempi di avvicinare i pargoli a Cristo per mezzo della Comunione Eucaristica, che usò amministrare anche a’ lattanti. Ciò, come trovasi prescritto in quasi tutti gli antichi Rituali fino al secolo XIII, si faceva nel battesimo, e siffatta consuetudine in qualche luogo durò anche più a lungo; presso i greci e gli orientali vige tuttora. Per allontanare poi il pericolo che i bambini, specialmente se lattanti, emettessero fuori il pane consacrato, invalse il costume di amministrar loro l’Eucaristia sotto la sola specie del vino.

“Né soltanto nel battesimo, ma in seguito anche si facevan più volte partecipare alla celeste vivanda. Infatti secondo l’uso di alcune Chiese si porgeva l’Eucaristia a’ bambini immediatamente dopo il clero; in altri luoghi se ne davano ad essi frammenti dopo la comunione degli adulti.

“Tal costume in appresso venne a cessare nella Chiesa latina, e si cominciò a non ammettere i fanciulli alla sacra mensa se non quando avessero qualche uso incipiente di ragione e una proporzionata cognizione dell’augusto Sacramento. La qual nuova disciplina, già ammessa da alcuni Sinodi particolari, fu confermato solennemente dal Concilio Lateranense IV, l’anno 1215, col celebre canone XXI, che prescrive ai fedeli, non appena giunti all’età della ragione, la Confessione sacramentale e la Santa Comunione, con queste parole: «Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, giunto all’età della discrezione, confessi da solo e fedelmente tutti i suoi peccati, almeno una volta l’anno, al suo sacerdote, e procuri di adempiere secondo le forze la penitenza ingiuntagli, ricevendo riverentemente, almeno alla Pasqua, il sacramento dell’Eucaristia, salvo che per consiglio del suo sacerdote o per qualche ragionevole motivo credesse doversene temporaneamente astenere».

“Il Concilio di Trento, senza punto riprovare l’antica disciplina di amministrare l’Eucaristia ai bambini prima che abbian raggiunto l’uso della ragione, confermò il decreto Lateranense e pronunciò anatema contro chiunque la pensasse altrimenti: «Chi negasse che tutti e singoli i cristiani fedeli dell’uno e dell’altro sesso, giunti all’età della discrezione, siano obbligati ogni anno, almeno nella Pasqua a comunicarsi, secondo il precetto della Santa Madre Chiesa, sia “anatema”».

“In forza dunque del citato e tuttora vigente decreto Lateranense, i fedeli, non appena giunti all’età della discrezione, sono obbligati ad accostarsi, almeno una volta l’anno, ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia.

“Senonchè, appunto nel determinare qual sia cotesta età della ragione o discrezione, s’introdussero col tempo non pochi errori e abusi deplorevoli. Altri credettero che l’età della discrezione da fissarsi per l’Eucaristia dovesse esser diversa da quella che si richiede per il sacramento della Penitenza, sostenendo che, per questa ultima, l’età della discrezione sia quella in cui si arriva a discernere il bene dal male, e si è quindi capace di peccare; per l’Eucaristia invece si esiga un’età maggiore, in cui possa aversi una conoscenza più piena della fede e recarvi una più matura preparazione. E così, a seconda delle varie consuetudini locali e delle opinioni diverse, fu stabilita per la prima Comunione quando l’età di dieci o dodici anni, quando di quattordici o più; non ammettendosi frattanto fanciulli o giovani prima di quell’età che era stata prescritta.

“Siffatta consuetudine, che col protesto di tutelare il decoro dell’augusto Sacramento, tiene da esso lontani i fedeli, fu cagione di molti danni. Avveniva infatti che i fanciulli innocenti, distaccati da Cristo, venissero a mancare di ogni nutrimento della vita interiore; di che anche seguiva che la gioventù, priva di un aiuto efficacissimo, circondata da tante insidie, perduto il suo candore, si gittasse nel vizio prima di aver gustato i santi misteri. E sebbene la prima Comunione suole esser preceduta da più diligente istruzione e da un’accurata confessione sacramentale, ciò che veramente non si pratica da per tutto, è sempre tuttavia dolorosa la perdita della prima innocenza, perdita che forse sarebbe potuta evitarsi, se si fosse in età più tenera ricevuta l’Eucaristia.

“Né men riprovevole è l’uso, vigente in parecchi luoghi, di proibire la Confessione sacramentale ai fanciulli non ancora ammessi alla mensa eucaristica, o di non impartir loro l’assoluzione. Di che avviene che, stretti da lacci di peccati, forse gravi, se ne rimangono a giacere in essi con grave loro pericolo.

“Ma il colmo si è che in certi luoghi a’ fanciulli, non per ancor ammessi alla prima Comunione, non si permette neppure in punto di morte di ricevere il Santo Viatico, e così defunti e portati al sepolcro col rito dei
bambini, vengono ad esser privati dei suffragii della Chiesa.

“Son questi i danni recati da coloro che insistono oltre il dovere nell’esigere preparazioni straordinarie alla prima Comunione senza accorgersi forse che siffatte cautele provengono dagli errori dei Giansenisti, i quali sostengono essere la SS.ma Eucaristia un premio, non un farmaco all’umana fralezza. Ma ben altrimenti la intese il Concilio di Trento, quando insegnò che essa «è un antidoto per liberarci dalle colpe quotidiane e preservarci dai peccati mortali»; dottrina testé inculcata e ribadita dalla S.C. del Concilio con decreto 26 dicembre 1905, pel quale si apriva l’accesso alla Comunione quotidiana a tutti i fedeli, tanto adulti quanto fanciulli, a due sole condizioni, cioè, stato di grazia e retta intenzione.

“Ed invero, non apparisce nessuna buona ragione, perché, mentre anticamente si distribuivano i frammenti delle Sacre Specie ai bambini anche lattanti, si debba ora esigere una preparazione straordinaria da fanciulli, che hanno ancor la fortuna di possedere il candore della prima innocenza, e che a cagione delle tante insidie e pericoli dell’età presente, han grandissimo bisogno di quel mistico cibo.

“Gli abusi che riproviamo derivano dal non essersi saputo precisare qual sia l’età della discrezione da coloro che ne stabilirono una per la Confessione, l’altra per la Comunione. Ora il Concilio Lateranense richiede una stessa età tanto per l’uno quanto per l’altro Sacramento, imponendo ad un tempo stesso l’obbligo di confessarsi e comunicarsi.

“Dunque, come per la Confessione l’età della discrezione s’intende quella in cui si arriva a distinguere il bene dal male, così per la Comunione convien dire sia quella in cui si sappia distinguere il Pane eucaristico dal pane comune; ed è appunto questa l’età in cui il fanciullo ha raggiunto l’uso della ragione. […]

“Ponderate con maturità di giudizio tutte le esposte ragioni, questa S. Congregazione della disciplina dei Sacramenti, nella Congregazione generale tenuta il 15 luglio 1910, a far che i menzionati abusi vengan rimossi e che i fanciulli fin dai teneri anni sieno a Cristo strettamente congiunti, vivan della sua vita e trovino in lui una difesa contro i pericoli della corruttela, ha creduto opportuno di stabilire le seguenti norme, da osservarsi dappertutto per ciò che riguarda la prima Comunione dei fanciulli.

“I. – L’età della discrezione tanto per la Confessione quanto per la Comunione è quella in cui il fanciullo comincia a ragionare, cioè verso il settimo anno, sia al di sopra di esso, sia anche al di sotto. Da questo momento comincia l’obbligo di soddisfare all’uno e all’altro precetto della Confessione e della Comunione.

“II. – Per la prima Confessione e per la prima Comunione non è necessaria una piena e perfetta cognizione della dottrina cristiana. Però il fanciullo dovrà in seguito venire imparando il catechismo intero, in modo proporzionato alle forze della sua intelligenza.

“III. – La conoscenza della Religione che si richiede nel fanciullo, perché possa prepararsi convenientemente alla prima Comunione, consiste in questo, che egli comprenda, per quanto lo consentano le forze della sua intelligenza, i misteri della Fede necessari di necessità di mezzo, e sappia distinguere il Pane eucaristico dal pane comune e materiale, per potersi accostare alla SS.ma Eucaristia con quella divozione di cui è capace la sua età.

“IV. – L’obbligo di soddisfare al precetto della Confessione e Comunione imposto al fanciullo ricade su quelli cui ne spetta la cura, cioè sui genitori, sul confessore, sugli istitutori e sul parroco. L’ammettere poi il fanciullo alla prima Comunione appartiene, secondo il Catechismo romano, al padre, o a chi ne fa le veci, e al confessore.

“V. – Procurino i parroci di annunziare e di far tenere una o più volte all’anno, la Comunione generale dei fanciulli, ed ammettervi non solo i nuovi comunicandi, ma anche altri, che col consenso dei genitori o del confessore, come si è detto, hanno già partecipato alla mensa divina. Sì per gli uni come per gli altri si premettano alcuni giorni di istruzione e di preparazione.

“VI. – Chi ha cura di fanciulli deve procurare con ogni impegno che i medesimi, dopo la prima Comunione, si accostino spesso alla sacra Mensa, e, se è possibile, anche ogni giorno, conforme al desiderio di Gesù Cristo e della Madre Chiesa, e vi rechino quella divozione di cui è capace la loro età. Ricordino inoltre tutti quelli, cui è affidata tal cura, il dovere gravissimo che loro incombe di provvedere che i detti fanciulli continuino a frequentare l’insegnamento del catechismo che si dà in pubblico, o almeno suppliscano in altra maniera all’istruzione religiosa dei medesimi.

“VII. – La consuetudine di non ammettere alla Confessione o di non assolvere i fanciulli pervenuti all’uso della ragione, è del tutto riprovevole. Perciò gli Ordinari prenderan cura che siffatta consuetudine sia interamente soppressa, servendosi anche dei mezzi che ne porge il diritto.

“VIII. – Detestabile al tutto è l’abuso di non amministrare il Viatico e la Estrema Unzione ai fanciulli pervenuti all’uso della ragione e di farne l’esequie col rito dei bambini. Contro gli ostinati nel mantenere siffatte consuetudini procedano gli Ordinari con tutto il rigore.

“Tutte le presenti disposizioni sancite dagli E.mi Cardinali di questa S. Congregazione furono approvate dalla Santità di N. S. Pio PP.X nell’Udienza del 17 corrente, con ordine dello stesso Santo Padre che il presente decreto venisse pubblicato e promulgato. …”.

(Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer)

Per la traduzione italiana del decreto “Quam singulari” si può cliccare qui.

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I lettori possono inviare domande all’indirizzo liturgia.zenit@zenit.org. Si chiede gentilmente di menzionare la parola “Liturgia” nel campo dell’oggetto. Il testo dovrebbe includere le iniziali, il nome della città e stato, provincia o nazione. Padre McNamara potrà rispondere solo ad una piccola selezione delle numerosissime domande che ci pervengono.

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Fr. Edward McNamara

Padre Edward McNamara, L.C., è professore di Teologia e direttore spirituale

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