Presentata la biografia di Shahbaz Bhatti

Card. Tauran: “Modello di dialogo autentico, perché riconosceva la propria fede”

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di H. Sergio Mora

ROMA, martedì, 20 marzo 2012 (ZENIT.org) – Il libro Shahbaz Bhatti. Vita e martirio di un cristiano in Pakistan (Paoline), di Roberto Zuccolini e Roberto Pietrolucci è stato presentato venerdì 16 presso la basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina.

La figura che emerge è quella di un ministro pakistano, un cattolico convinto martirizzato per aver desiderato il dialogo con tutte le minoranze del suo Paese, un dialogo autentico e non relativista, perché partiva dalla convinzione della sua fede.

Sono intervenuti Andrea Riccardi, ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione; Paul Bhatti, fratello di Shahbaz e consigliere speciale del primo ministro del Pakistan per gli Affari delle Minoranze; Marco Tarquinio, direttore di Avvenire; il cardinale Jean-Louis Pierre Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Hanno presenziato gli autori e il sottosegretario agli esteri Staffan De Mistura, con un pubblico di circa ottocento persone.

La basilica di San Bartolomeo conserva la bibbia di Shahbaz, quella che lo accompagnava sempre e sulla quale aveva meditato poco prima di essere ucciso.

Il cardinale Jean Louis Touran nel suo intervento ha definito Bhatti come “un martire del dialogo”, consapevole che la sua vita di politico poteva costargli cara.

Una persona della quale, anche nelle foto, emerge uno sguardo pieno di forza e, al contempo, di dolcezza. Il porporato ha riferito che l’ultima volta che si incontrarono all’aeroporto di Islamabad, Bhatti dichiarò: “So che mi uccideranno, offro la mia vita per il dialogo interreligioso”.

Sua Eminenza ha ricordato che il cristiano sarà sempre scomodo in un mondo che fa fatica ad accettare lo scandalo della croce, ma i cristiani devono esercitare un potere che è quello del cuore.

E citando l’enciclica Spes Salvi di Benedetto XVI, il cardinale francese ha ricordato che i cristiani continuano a credere nella bontà di Dio e rimangono saldi nella certezza che Dio è Padre di tutti. Ha invitato a cogliere l’impegno per il dialogo che emerge del martirio di Shahbaz “che non è un martirio contro gli altri ma un modo di dare la vita per tutti”.

Dopo la presentazione Zenit ha chiesto a Sua Eminenza se ci sono gli estremi per aprire un processo di beatificazione per Shahbaz: è un compito che spetta alla Chiesa locale, aggiungendo, tuttavia, che Bhatti è “la figura di un vero martire, non c’è dubbio”.

Il vero dialogo ha spiegato il card. Tauran, “per essere autentico e fecondo, le parti devono iniziare per affermare la propria fede, contrariamente è relativismo, perché non si può dialogare su qualunque base”. Infatti “nel dialogo, come prima cosa, le parti devono conoscere il contenuto della propria fede e religione, di modo da poter dialogare con le idee chiare. Lui pregava e conosceva il Catechismo della Chiesa cattolica. Aveva le idee chiare, così il dialogo era fecondo, con lui non c’era relativismo”.

Il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio ha sottolineato che “Shahbaz era un uomo che non aveva mai pensato di andarsene del Pakistan, come succede in altri Paesi dove ci sono minoranze perseguitate”. E ha osservato che “dalla sua figura emerge una grande chiarezza che ci invita a guardare più lontano degli orizzonti un po’ rinchiusi”. Non una certezza improvvisata ma “una scelta fatta da giovanissimo, visto che, a 17 anni aveva già deciso di spendersi per le minoranze e per il dialogo, non come un optional ma come elemento fondamentale”.

Il ministro Andrea Riccardi ha trovato molto opportuna la pubblicazione di un libro in coincidenza del primo anniversario della morte di Shahbaz, “per non dimenticare”, in un tempo dove tutto tende a essere banalizzato.

Il tragico evento di un anno fa ci impone di riflettere sul nostro modo di essere cittadini del mondo e di essere cristiani. Bhatti era un uomo che aveva nella Bibbia una compagna quotidiana della sua vita, una persona che non ha cercato la morte ma non ha indietreggiato davanti al pericolo. Che non ha rinunciato al suo ministero, cioè di essere “ministro” nel senso profondo, vale a dire servitore.

Riccardi ha ricordato che Shabhaz vedeva alle radici del Pakistan una scelta plurale, democratica e laica, non teocratica, né condotta dai militari.  Era un uomo che non sentiva il suo destino fuori dal Pakistan, un cristiano orgoglioso di essere pakistano, il che era anche un servizio a favore dei mussulmani in quanto un fattore di pluralismo.

Il ministro ha concluso ricordando che “Shahbaz sapeva di essere sotto il tiro dei talebani e di Al-Qaeda”. “Noi crediamo che esempi come questi debbano parlare di più e aiutarci a capire, perché la storia è piena di sorprese e a volte le storie più difficili emergono di modo inaspettato”. E ha concluso ricordando che “lui era un cattolico convinto che Gesù era la forza della sua vita”.  

Il fratello di Shahbaz, Paul Bhatti, ha detto che l’uccisione del suo fratello  “ci ha insegnato che la dignità umana non ha prezzo”. Già da piccolo si vedeva in lui uno speciale carisma e una fede forte, ha spiegato, un uomo che non soltanto ha predicato ma anche praticato e che ha sofferto a 18 anni l’accusa di blasfemia.

Paul ha raccontato quanto detto dal primo ministro del Canada: “ho parlato cinque minuti con lui e questo mi ha cambiato tutta la vita”. E ha riportato alcuni piccoli ma importanti particolari su quanto Sahabaz teneva in conto la vita della sua famiglia.  

Ha poi spiegato che da giovane suo fratello aveva fondato il Partito di Liberazione Cristiana, ma poi preferì ribattezzarlo come Alleanza di Tutte le Minoranze, “perché la religione non deve dividere ma unire”.

Non a caso ai funerali di suo fratello, Paul ha visto tante persone, molte di queste importanti, piangere per Shahbaz, capendo che si trattava di un uomo di Dio.
Se c’era in lui un forte desiderio di dialogo non mancava nemmeno quello di giustizia: ad esempio, quando venne bruciato un villaggio cristiano, Shahbaz volle che la polizia trovasse subito i responsabili e si sedette sui binari del treno fino a quando non furono trovati.

Paul poi ha confidato che, temendo per la sua vita, qualcuno gli consigliò di rimanere in Italia e di non tornare in Pakistan, ma lui rispose: “E chi mi può garantire che in Italia la morte non esiste?”.

Infine ha ricordato come Shahbaz si è battuto per cambiare la legge contro la blasfemia, ma soprattutto per cambiare una certa mentalità, che trova radici nei problemi di analfabetismo e povertà, dovuti alla situazione di difficoltà che si vive quotidianamente in questi Paesi, poiché, mentre in Italia si soffre una crisi che si traduce in alcune limitazioni, là si tratta di sopravvivenza.

In conclusione Paul Bhatti ha menzionato, tra i frutti concreti del martirio di suo fratello, che ora in Pakistan ci sono 4 parlamentari su 54 eletti tra le minoranze.

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ZENIT Staff

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