Preghiera, Potenza e Fede

Lectio divina per la 19ª Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la 19ª Domenica del Tempo Ordinario – Anno A.

***

Rito Romano

1 Re 19,9a.11-13a; Sal 84; Rm 9,1-5; Mt 14,22-33

Rito Ambrosiano

9ª Domenica dopo Pentecoste

2Sam 12,1-13; Sal 31; 2Cor 4,5b-14; Mc 2,1-12

Premessa:

Il Vangelo è la narrazione di fatti e parole di Gesù che non devono solamente essere letti od ascoltati, ma vissuti.

1) Preghiera di Gesù, da imitare.

Leggendo il brano evangelico, che la liturgia ci propone oggi, la nostra attenzione è attirata dalla potenza di Gesù, che cammina sulle acque, e dalla Sua parola che calma la tempesta del lago.

Ma credo che sia utile accennare anche a ciò che immediatamente precede e segue questo miracolo, il quale mostra come Cristo sia il Signore che domina anche la natura e non solo moltiplica i pani e i pesci1. In effetti all’inizio di questo vangelo San Matteo parla della preghiera solitaria di Gesù (“salì sul monte, solo, a pregare” – Mt 14, 23) e, alla fine, ci racconta la professione di fede dei discepoli “Davvero tu sei Figlio di Dio!” – Id 14, 33).

Nel ritmo intenso della sua giornata, Gesù ha sempre trovato il tempo per la preghiera, o al mattino presto o alla sera tardi, dopo aver congedato la folla come leggiamo in questo episodio del Vangelo. Non è certo possibile per noi penetrare tutto il segreto di questa sua preghiera solitaria. Ma possiamo almeno avvicinarci un poco, tenendo presente che Gesù si rivolge a Dio invocandolo sempre con il nome di Padre. La sua preghiera è anzitutto filiale. Ma proprio perché filiale la preghiera di Gesù è obbediente. La sua è al tempo stesso la preghiera del Figlio e del Servo del Signore. Già nel termine Padre sono incluse ambedue le dimensioni: la familiarità e l’obbedienza. Coscienza della propria filiazione e totale dipendenza sono i due poli della preghiera di Gesù, e sono – ancor prima – le strutture essenziali della sua persona. Non dovrebbe essere così di ogni cristiano? Direi proprio di sì.

Gesù non è solo il Figlio di Davide discendente messianico regale, o il Servo di cui Dio si compiace, ma è anche il Figlio unigenito, l’amato, simile a Isacco, che Dio Padre dona per la salvezza del mondo. Nel momento in cui, attraverso la preghiera, Gesù vive in profondità la propria figliolanza e l’esperienza della paternità di Dio (cfr Lc 3,22b), discende lo Spirito Santo (cfr Lc 3,22a), che lo guida nella sua missione e che Egli effonderà dopo essere stato innalzato sulla croce (cfr Gv 1,32-34; 7,37-39), perché illumini l’opera della Chiesa..

Guardiamo a Gesù ed alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita (e non solo l’episodio di oggi), come un canale segreto che irriga l’esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre per gli uomini.

Nella nostra preghiera noi dobbiamo imparare ad entrare, sempre di più, nella preghiera di Gesù e rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore per noi.

2) Un’invocazione da fare tutti i giorni.

Veniamo alla parte centrale della narrazione evangelica di oggi: La barca sballottata dal mare, la paura dei discepoli, le parole di Gesù e il grido di paura di Pietro. Il primo degli Apostoli offre la sua paura a Chi ama e grida “Signore, salvami”. L’importante è aver fede e pregare come Pietro. Si noti il dialogo tra questo Apostolo e Gesù. Pietro cammina sulle acque come Gesù, ma non per potenza propria. La sua possibilità dipende unicamente dalla parola del Signore (“vieni!”) e la forza sta tutta nella fede. È questa una grande lezione per tutti. Aggrappato a questa fede, il discepolo può ripetere gli stessi miracoli del Signore. Ma se questa fede si incrina (“uomo di poca fede, perché hai dubitato?”), allora il discepolo torna ad essere facile preda delle forze del male. Il dubbio, di cui qui si parla, non è il dubbio intellettuale intorno alle verità della fede, ma la mancanza di fiducia di fronte alle difficoltà della vita, la mancanza di fede nell’Amore che ci ha creati.

San Pietro ha paura quando guarda solo a se stesso, alla forza del vento, e non alla presenza amorosa di Gesù. Così la paura uccide il coraggio e rende fragile l’incontro con il Signore.

Però San Pietro ha saputo chiedere a Gesù di esercitare la sua autorità a vantaggio del suo rapporto con Lui. La richiesta dell’Apostolo non senza un qualche grado di temerarietà, esprime tuttavia una vera fede nel Signore degli elementi e un sincero affetto nei suoi confronti.

Senza pensare al pericolo, acceso di fervore spirituale in presenza del Salvatore Pietro esce dalla barca. Ma amando con poca costanza e con minor sapienza si fa prendere dalla paura per le folate di vento improvviso e così a Gesù gli tocca di prenderlo per mano, come aveva fatto per la sua suocera malata.

È la mano del Signore che lo salva.

Certe volte si sopportano con animo forte prove pesanti per poi lasciarsi vincere da sofferenze più leggere. A Pietro marinaio che fino a quel momento aveva lottato con il mare, fa paura il vento.

Non fu l’impeto delle onde agitata dal vento a cambiare, fu la disposizione d’animo a cambiare. La paura, però, non crea l’amore. Essa fa emergere l’amore che ci costituisce e a cui è ragionevole gridare: “Signore, salvami”. A quest’uomo che urlava la sua domanda di non morire, sùbito Gesù stese la sua mano, afferrò quella di Pietro e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Quella mano tesa, quel dolce rimprovero rinsaldano la fede nei presenti più che il camminare di Gesù sulle acque. Lui esaudisce sempre la domanda di fede e quando la fede si risveglia, non c’è bisogno che il Signore dia ordini al vento: “Appena saliti sulla barca, il vento cessò”. E “quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio»” (Mt 14, 33).

3) Gesù non tende solo la mano.

La risposta al grido di paura è un abbraccio di amore fraterno. Il Signore Gesù ci raggiunge, al centro della nostra debole fede. Ci raggiunge e non punta il dito per accusarci, ma tende la mano per afferrare la nostra ed elimina la paura con un abbraccio. Gesù è lo splendore di un abbraccio, che umanamente ha imparato da sua Madre, Maria. Questa umile, grande donna che era “Vergine umile di cuore e poneva tutta la sua speranza nella preghiera del povero” (cfr Sant’Ambrogio, De virginibus II, 2).

Questa creatura, per la sua pienezza di grazia, la pienezza di grazia di cui era stata riempita dal primo istante della sua esistenza, viveva come vergine, cioè come una persona cosciente di essere sempre amata da Dio. La verginità è quella gratuità che l’essere amati da Dio dona alla vita. Viveva come vergine. Dal cuore umile, perché era stata sempre amata. Non si era data lei questo essere sempre amata. Non ci si può dare l’essere amati, si può solo ricevere. Era di cuore umile e poneva così tutta la sua speranza, tutta la speranza della sua vita nella preghiera del povero, nel domandare che questo amore fosse rinnovato in ogni istante, che questa pienezza di grazia fosse rinnovata continuamente.

San Tommaso d’Aquino dice che la carità, come attrattiva, per l’uomo pur ferito dal peccato, è più potente, come intensità di attrattiva e di diletto, che qualunque attrattiva natu
rale (Summa theologiae II-II q. 23 a. 2). La carità è imparagonabile, come attrattiva avvincente, rispetto all’attrattiva naturale dell’uomo verso la donna.

La verginità vissuta dalle persone consacrate nel mondo è un amore che nasce dalla felicità di essere amate da Dio, non nasce da una mancanza e non è un di meno rispetto all’amore coniugale. Anzi è una pienezza.

Queste Vergini consacrate mostrano con la vita ciò che Sant’Agostino disse sulla bellezza di Gesù: “Per noi dunque che Lo riconosciamo, il Verbo di Dio ci venga incontro in ogni occasione bello, bello quale Dio, Verbo presso Dio (pulcher Deus, Verbum apud Deum), bello nel ventre della Vergine (pulcher in utero Virginis), dove non abbandonò la divinità e assunse l’umanità, bello bambino appena nato; perché, anche mentre era bambino che succhiava il latte e mentre veniva portato in braccio, di Lui i cieli hanno parlato, Lui piccolo bambino gli angeli hanno lodato, a Lui una stella ha condotto i magi, Lui è stato adorato nella mangiatoia, cibo dei miti. Bello dunque in cielo, bello in terra; bello nel ventre di Maria, bello preso in braccio da Maria e da Giuseppe, bello nei miracoli, bello anche nella flagellazione2, bello quando invitava a seguirlo, bello quando non ha disdegnato la morte, bello quando è spirato, bello quando è risorto, bello sulla croce, bello anche nel sepolcro, bello nel cielo ((pulcher in ligno, pulcher in sepulcro, pulcher in coelo)” ( Sant’Agostino, Enarrationes in psalmos, 44, 3).

A questa bellezza le Vergini si sono consacrate lietamente come indica anche la preghiera solenne di consacrazione: “Felici quelle che consacrano la loro vita a Cristo e lo riconoscono come sorgente e ragion d’essere della verginità. Hanno scelto di amare colui che lo Sposo della Chiesa e il Figlio della Vergine Maria” (Rito di consacrazione delle Vergini, n 24).

*

NOTE

1 Cfr il Vangelo di Domenica scorsa, 18ª del Tempo Ordinario, Anno A.

2 Sì, anche nella flagellazione perché – dice Sant’Agostino – nella flagellazione, quando era tutto sfigurato, se consideri perché era diventato così, perché si era lasciato battere dai flagelli così, se consideri la misericordia per cui per te, per tuo amore si era fatto ridurre così, è bello anche nei flagelli. Quando Maria Lo ha preso in braccio sotto la croce morto, non c’era cosa più bella di quel suo figlio sfigurato. Così quando il buon ladrone Gli disse: “Gesù, ricordati di me quando sarai in paradiso” (Lc 23, 42), non aveva mai in tutta la vita incontrato una cosa così bella come in quel momento, nel momento della morte, quando si è sentito dire: “Oggi sarai con me in paradiso” (Lc 23, 43).

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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