"Portare misericordia al mondo. Con le opere, più che con le parole"

Mons. dal Covolo, in Iran per un accordo con l’Università di Qom, incontra le comunità cristiane a Teheran e spiega come prepararsi al Giubileo

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“Sono molto contento di incontrarvi, in questa vostra Terra, così ricca di storia, di cultura, di tradizioni”. Così mons. Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, durante l’incontro con le comunità cristiane di Teheran di venerdì scorso. Il vescovo è partito l’8 aprile in Iran per stipulare un accordo con l’Università degli Studi di religioni e confessioni di Qom che vuole avviare una collaborazione tra i due Atenei. 

Ricordando che per la Chiesa universale “questi giorni sono tempo di grazia” con l’indizione del Giubileo straordinario della misericordia, dal Covolo ha esortato quindi avivere bene questo anno giubilare “in una prospettiva robusta di impegno ecumenico e di dialogo sincero con le religioni”.

“Misericordia, infatti, è un concetto teologico fondamentale che trascorre dall’Antico al Nuovo Testamento – ha sottolineato – che attraversa poi tutta la tradizione cristiana, e che interessa anche molte altre religioni, come, in particolare, la religione musulmana”.

Ma, ha domandato, “come noi cristiani, qui in Iran, potremo vivere bene questo anno giubilare?”. Anzitutto con la preghiera, ha affermato il rettore della Lateranense; quindi “con l’ascolto più attento della Parola di Dio, e in modo speciale con una partecipazione più intensa alla vita di preghiera delle nostre comunità cristiane”. Poi con le opere di misericordia, ovvero “venendo incontro, e dando il nostro tempo e le nostre risorse, a chi ha meno di noi”.  

In altre parole, “si tratta di testimoniare la nostra fede”. “Testimonianza” è infatti la parola-chiave che il vescovo raccomanda ai cristiani di Teheran. E tal proposito racconta due aneddoti: il primo sul beato Paolo VI, il secondo sul Mahatma Gandhi.

“Negli anni del postconcilio – ricorda il presule – da Paolo VI in poi, si è sviluppata una vera e propria ‘teologia della testimonianza’. Quasi tutti conoscono una frase, giustamente famosa, di papa Montini. Dice più o meno così: ‘Gli uomini e le donne di oggi ascoltano più volentieri i testimoni che i maestri, o – se ascoltano i maestri –  lo fanno perché sono dei testimoni’. Ma sono pochi a sapere quando questa frase venne pronunciata per la prima volta. Paolo VI la pronunciò sull’onda di una forte emozione. Era venuto a trovarlo il rappresentante del Laos, un Paese esposto in quegli anni a molte attenzioni interessate delle superpotenze. Il rappresentante era un monaco buddista. Il bonzo si presentò con la testa tutta rasata, avvolto nel saio tradizionale. Narrò al papa la situazione del suo paese. ‘Santità’, gli disse, ‘vengono da noi gli americani, e ci propongono le tecnologie più avanzate; vengono i russi, e ci propongono le armi; vengono i tedeschi, e ci propongono i soldi… Ma se voi, Santità’, e qui il monaco scosse la sua bella testa pensosa, ‘se voi ci mandaste un Francesco d’Assisi, noi ci convertiremmo tutti!'”.

Paolo VI – prosegue dal Covolo – “rimase profondamente scosso da questa testimonianza e uscendo dall’udienza mormorò per la prima volta quella frase famosa. Un Francesco d’Assisi, un vero testimone di Cristo, cambia il mondo”.

Nel secondo aneddoto torna invece la testimonianza di Gandhi. Racconta il rettore dell’Ateneo del Papa: “Un giorno sir Stanley Jones – quel giornalista, che di fatto trasmise all’Occidente l’immagine di Gandhi – gli si fece vicino, e gli chiese, così, sui due piedi: ‘Mahatma, dimmi una parola, che io la porti al mondo!’. Il Mahatma lo guardò, e dopo un lungo silenzio gli rispose imbarazzato: ‘Ma… Ma io non ho una parola da dire; la mia vita è la mia parola…’.

“Certo – osserva il vescovo – per noi cristiani le cose vanno diversamente. Noi ce l’abbiamo una parola da dire. E’ precisamente Gesù Cristo, il Vangelo della misericordia, la Parola del Padre, morto e risorto per noi. Ma questa Parola non passa al mondo senza la testimonianza di chi crede in Lui”.

Dunque, l’impegno per quest’Anno Giubilare è quello “di testimoniare la misericordia con la nostra vita”. Ovvero quel “movimento fisico”, quel “sussulto del cuore” di Dio verso l’uomo, come il padre della parabola del Figliol prodigo quando vede il figlio ritornare a casa: “Il padre si commosse, gli corse incontro e lo abbracciò”, narra la Scrittura.

“Ecco – dice dal Covolo – il nostro Dio, ricco di misericordia e di perdono, ci ama così. Non è indifferente a noi. Ci vuole bene! Questa è la sua misericordia”. E questa stessa misericordia, “questa stessa partecipazione d’amore, noi la dobbiamo testimoniare ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, soprattutto a quelli che ne hanno più bisogno. Ma più con le opere, che non con troppe parole”.

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ZENIT Staff

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