Pino Daniele: la musica come linguaggio dello spirito

Un ricordo del grande artista napoletano, scomparso nella notte di domenica a 59 anni

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Un grande vuoto. È ciò che si avverte quando una persona cara ci lascia. Un vuoto che diventa un sentimento collettivo quando quella persona, nella sua vita, ha acquisito notorietà per quanto di bello è stata capace di comunicare e donare agli altri.

“Ci sono poche cose più commoventi del bisogno di bellezza che prova il cuore di ogni essere umano”, ha detto Papa Francesco. Ed è indubbio che i grandi artisti sono, prima di tutto, dei comunicatori di bellezza. Tale è stato Pino Daniele, uno dei musicisti italiani più conosciuti al mondo. Ed è per questo che la sua scomparsa desta una così vasta eco di partecipazione, dolore, sconcerto e rimpianto. È per questo che le sue esequie di mercoledì 7 gennaio, presso il Santuario del Divino Amore di Roma, devono intendersi come un momento comunitario di meditazione sul senso spirituale della vita.

Sì, abbiamo detto “senso spirituale della vita”. Perché Pino Daniele era uno spirito religioso, al pari di molti grandi artisti. In una video-intervista a cura di Red Ronnie, postata su YouTube, il cantautore napoletano spiega così il suo rapporto con la fede: “Sono di religione cattolica e sono un simpatizzante dei grandi uomini, come Padre Pio, come Papa Giovanni. Credo nei grandi uomini e nella grande energia della fede. Mi piace la chiesa, mi piace andare in chiesa, ci vado perché mi da un senso di pace. E poi mi rapporta alla musica, alla musica sacra che io adoro…”.

Già, perché Pino Daniele adorava Palestrina, Monteverdi, i madrigali, così come adorava Chick Corea, Gato Barbieri e Wayne Shorter. E appunto questo “melting pot” di linguaggi e culture, questo essere cittadino del mondo, gli hanno permesso di tradurre nella modernità il ritmo musicale della sua terra.

“Ogni uomo ha un destino, una cosa da fare”, concludeva l’artista nella video-intervista citata. E si considerava un uomo fortunato perché, nonostante non gli fossero mancati dispiaceri e dolori (a partire da quella malattia coronarica che, fin da giovane, aveva reso la sua esistenza precaria, pur senza inficiarne il percorso creativo), aveva due fondamentali punti di riferimento: la famiglia, con i suoi cinque meravigliosi figli, e la musica, che non l’aveva mai abbandonato e nella quale aveva sempre profuso il massimo impegno.

Anche questo è un modo cristiano di interpretare la vita: la provvidenza ti aiuta (nel suo caso: il talento) ma bisogna essere previdenti, bisogna lavorare. E Pino Daniele ha lavorato tantissimo. Ha lavorato e creato. A partire da quella straordinaria dichiarazione d’amore alla città partenopea che fu il suo primo grande successo (“Napule è mille culure / Napule è mille paure / Napule è a voce de’ criature / che saglie chianu chianu / e tu sai ca nun si sulo”), e poi, via via, attraverso una serie di album che appartengono alla storia della canzone d’autore italiana.

Innovatore nel solco della tradizione, Pino Daniele è stato protagonista di un’autentica rivoluzione musicale, fondendo la storia della grande canzone napoletana con il blues, il jazz, il soul e il funky che aveva assimilato attraverso i dischi dei suoi idoli (con alcuni dei quali si troverà poi a suonare): Eric Clapton, Paco de Lucia, Frank Zappa, Carlos Santana, Pat Metheny.

“Napoli è la più misteriosa città d’Europa – scriveva Curzio Malaparte –, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia. È la sola città del mondo che non è affondata nell’immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno. Napoli è l’altra Europa. Che la ragione cartesiana non può penetrare”.

Se la ragione cartesiana non può farlo, occorre allora un altro strumento: la musica come linguaggio dello spirito. Pino Daniele ha parlato questo linguaggio e lo ha reso universale. 

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Massimo Nardi

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