"Perché tutti siano uno" (Seconda parte)

La fede in Cristo come fermento di unità. L’intervento di monsignor Piero Coda al convegno internazionale “La primavera della Chiesa e l’azione dello Spirito”

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Offriamo di seguito la seconda parte dell’intervento di monsignor Piero Coda, preside dell’Istituto Universitario Sophia a Loppiano – Incisa in Val d’Arno (FI), al convegno internazionale “La primavera della Chiesa e l’azione dello Spirito”, svoltosi nei giorni scorsi a Roma presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

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3. Ecco il centro! ritrovato in quanto gratuitamente ricevuto e risolutamente assunto. Chiara, quando scrive queste parole, è reduce da un intenso periodo di luce (l’estate del 1949) in cui ha contemplato, vissuto e condiviso con le sue prime compagne e i suoi primi compagni lo splendore del disegno d’amore di Dio sull’umanità intera, rivelato in Gesù.

Ora, tornando alla vita d’ogni giorno, la luce e la vita nuova che scaturiscono dall’amore di Dio per l’uomo le vede concentrarsi in Gesù che sulla croce patisce l’abbandono identificandosi così, sino all’abisso, con ogni persona umana, in qualunque situazione possa trovarsi. È attraversando in Gesù, oggi, fianco a fianco con ogni altro, questa piaga che germoglia una storia nuova e il Vangelo si rivela e si fa fermento di unità. Non è un caso che, ad accompagnarla in questa “divina avventura”, sia un uomo di vasta e aperta cultura e di convinta e generosa azione politica, in quei decisivi anni di ricostruzione morale e civile dopo il secondo conflitto mondiale: Igino Giordani[1].

Chiara, dunque, riscopre il centro della fede in cui abitare e costruire una casa nuova. Ma non come in un rifugio di quiete o in una fortezza inespugnabile, bensì come in una tenda aperta e pellegrinante, destinata ad accogliere chiunque abbia sete di verità e fame di giustizia. La piaga di Gesù Abbandonato (questa designazione è – si direbbe – un “segno dei tempi” nuovi che s’annunciano)[2], per Chiara è la porta d’ingresso nella casa in cui tutti sono chiamati ad abitare, per sperimentare – attraversandone insieme la soglia nell’esperienza dell’amore ricevuto, riconsegnato e a larghe mani ovunque disseminato – la convivialità e la gioia di una vita riconciliata. Riacquistando speranza e ritrovando senso e direzione di vita.

Si può intuire, di qui, come il carisma dell’unità, per l’intima sua origine dallo Spirito e per l’originale figura che laicamente viene via via ad assumere nel seno della Chiesa, spalanchi il cuore e la mente a uno sguardo in cui tutti – a partire da chi, in qualunque forma, è ferito o emarginato dalla prova dura dell’esistenza o dall’impietoso procedere della storia – possono ritrovarsi, e che tutti insieme con tutti possono condividere a partire dalla tradizione d’esperienza e pensiero di cui vivono.

Nella piaga del Cristo Abbandonato è infatti ricapitolata, nella sua multiforme diversità e nella sua magnifica e drammatica vicenda, la storia degli uomini e delle civiltà. E non solo, in linea diacronica, nel suo dispiegarsi nel tempo; ma anche, in linea sincronica, nell’incontro di dialogo, scambio e sinergia cui oggi son chiamate le molteplici espressioni dell’esperienza umana. Gesù Abbandonato, per Chiara, è il volto di fronte al quale e lo spazio entro il quale ciascuno può ritrovare se stesso nella reciprocità con ogni altro. Egli è la “chiave” e il “segreto” dell’ut unum sint”. E così, in concreto, il Maestro[3] di quel dialogo a tutto campo che Paolo VI, nell’enciclica Ecclesiam suam (1964), al cuore del Concilio, propone con energia profetica alla coscienza dell’umanità come l’imperativo del tempo[4].

4. Chiara, in una parola, scopre in Gesù Abbandonato – ecco una lancinante metafora, che sembra condensare l’intuizione del carisma –

«la pupilla dell’Occhio di Dio sul mondo: un vuoto Infinito attraverso il quale Dio guarda noi: la finestra di Dio spalancata sul mondo e la finestra attraverso la quale si vede Dio».

Nella sua intuizione evangelica lo sguardo nostro, giusto e bello e produttivo, sul mondo, scaturisce dallo sguardo di Dio su di noi. Gesù Abbandonato ne è la figura e il focus. Perché si tratta di uno sguardo (ecco l’occhio) che passa attraverso il vuoto, e cioè il dono senza misura, di sé[5] (ecco la pupilla) per accogliere l’altro e rigenerarsi insieme a lui nell’amore, dono dello Spirito.

E questa – dicevo – non è un’intuizione religiosa e spirituale soltanto. È, piuttosto, il principio e la chiave teor-etica[6] – e cioè dottrinale e pratica a un tempo – di un fermento di rinnovamento culturale e di riconciliazione universale quello che così viene rinvenuto e proposto[7]. Si tratta di guardare a Dio, all’uomo, al cosmo, con gli occhi con cui li guarda Gesù: e cioè da e in quell’amore senza condizioni e senza misura, che sono “la” vita e “il” destino dell’uomo. Si dischiude così un orizzonte imprevisto e fascinoso, rispondente alla nostalgia che abita ogni autentica cultura e vigorosamente la sospinge verso l’attingimento di quella meta, faticosamente costruita e pregustata nella storia, cui tutti aneliamo e che pure è già donata “una volta per tutte” in Cristo Gesù.

«Certe cose – così non è molto ho ascoltato dire da uno studente dell’Istituto Universitario Sophia, proveniente da un Paese martoriato dalla guerra – le vedono soltanto gli occhi che hanno pianto». Sì: il paesaggio su cui apre lo sguardo la “finestra” che è Gesù Abbandonato, è quello d’una visione altra e performativa che accoglie e trasforma quanto vede e contempla nella condivisione del pianto di chi piange e del desiderio di chi cerca.

(La prima parte è stata pubblicata ieri, sabato 18 maggio. La terza e ultima parte segue domani, lunedì 20 maggio)

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NOTE

[1] Cf., per una rapida ma rigorosa e documentata introduzione alla sua figura, T. Sorgi, Giordani. Segno di tempi nuovi, Città Nuova, Roma 19942. Né si può dimenticare il decisivo apporto che, a partire da quegli anni, andrà dando all’incarnazione del carisma dell’unità Pasquale Foresi, anch’egli, come Giordani, considerato da Chiara co-fondatore del Movimento di Focolari.

[2] Cf., di Chiara stessa, Il grido,(Verso l’unità) Città Nuova, Roma 2000; per un approfondimento biblico, G. Rossé, Il grido di Gesù in croce. Approccio biblico, in “Sophia”, 1 (2008/0), pp. 47-60; per un approfondimento teologico, S. Tobler, Jesu Gottverlassenheit als Heilsereignis in der Spiritualität Chiara Lubichs, Walter de Gruyter, Berlin 2003, tr. it., Tutto il vangelo in quel grido. Gesù abbandonato nei testi di Chiara Lubich, (Teologia, 64) Città Nuova, Roma 2009.

[3] Cf. soprattutto il penetrante saggio di G.M. Zanghì, Gesù Abbandonato maestro di pensiero,(Universitas, 5) Città Nuova, Roma 2008.

[4] Paolo VI vi scrive, innanzi tutto che «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (n. 67), e questo perché, dal punto di vista teologico, «La storia della salvezza narra appunto questo lungo e vario dialogo che parte da Dio, e intesse con l’uomo varia e mirabile conversazione. È in questa conversazione di Cristo fra gli uomini che Dio lascia capire qualche cosa di Sé, il mistero della sua vita, unicissima nell’essenza, trinitaria nelle Persone; e dice finalmente come vuol essere conosciuto; Amore Egli è; e come vuole da noi essere onorato e servito: amore è il nostro comandamento supremo» (n. 72); ciò fa sì che, «Dovunque è l’uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare con lui» (n. 101), e che «Nel dialogo si s
copre come diverse sono le vie che conducono alla luce della fede, e come sia possibile farle convergere allo stesso fine. Anche se divergenti, possono diventare complementari, spingendo il nostro ragionamento fuori dei sentieri comuni e obbligandolo ad approfondire le sue ricerche, a rinnovare le sue espressioni. La dialettica di questo esercizio di pensiero e di pazienza ci farà scoprire elementi di verità anche nelle opinioni altrui, ci obbligherà ad esprimere con grande lealtà il nostro insegnamento e ci darà merito per la fatica d’averlo esposto all’altrui obiezione, all’altrui lenta assimilazione» (n. 86).

[5] Un tale “svuotarsi” richiama la kenosi (svuotamento, appunto) cui fa riferimento l’apostolo Paolo nella lettera ai Filippesi (2,7) per descrivere l’atto con cui il Figlio di Dio si è spogliato della sua uguaglianza con Dio per divenire in tutto simile agli uomini e per partecipare così ad essi, attraverso questa povertà, la sua ricchezza (cf. 2Cor 8,9).

[6] Traggo la parola dal titolo del saggio di A. Fabris, TeorEtica. Filosofia della relazione, (Filosofia) Morcelliana, Brescia 2009.

[7] Di essa dà conto, come in un seme che però già dispiega le direttrici di sviluppo della sua ricca virtualità, il volume che raccoglie alcuni dei testi più significativi di Chiara: La dottrina spirituale, (Verso l’unità – Sezione Spiritualità) Città Nuova, Roma 2006.

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ZENIT Staff

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