"Perché non possiamo non dirci cristiani"

Le idee e i valori rivoluzionari portati dalla Bibbia e dal Vangelo all’umanità

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di padre Piero Gheddo

ROMA, sabato, 10 dicembre 2011 (ZENIT.org).- Ecco un interrogativo che ricorre fra le persone colte e la stampa di paesi non cristiani: perchè il mondo moderno è nato nell’Occidente cristiano e non, ad esempio, nell’Oriente buddhista o indù o islamico oppure nel profondo dell’Africa nera? La risposta è questa: Dio ha rivelato se stesso mandando il proprio Figlio Gesù Cristo come Messia (salvatore) e l’ha fatto nascere nel popolo ebraico, che aveva lungamente preparato ad accoglierlo. Dopo la sua morte in Croce e la sua Risurrezione, Cristo ha fondato la comunità dei suoi credenti (la Chiesa) mandandola in tutto il mondo a dare la “Buona Notizia” del Vangelo, che ha rivoluzionato la storia dell’umanità. Gli Apostoli e i loro successori hanno iniziato a diffondere la Chiesa fra i popoli del Mediterraneo, a quel tempo unificati nell’Impero romano e con un ambiente filosofico-culturale adatto, in cui la verità di Cristo poteva inculturarsi meglio che altrove, grazie alla razionalità della filosofia greca, al diritto e al senso della storia dell’impero romano.

    “La religione è la chiave della storia”

    Nel 1942 il sommo filosofo italiano, l’agnostico Benedetto Croce, pubblicava il saggio intitolato “Perché non possiamo non dirci cristiani”, che un altro filosofo, Marcello Pera (già presidente del Senato italiano), così giudica[1]: “Saggio splendido, lucido, vigoroso, sereno, composto tra dolore e speranza, che si iscrive nella letteratura della crisi della civiltà europea”. E cita dal volume di Croce questi giudizi: “Il cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuto…. Tutte le altre rivoluzioni non sostengono il suo confronto… Le rivoluzioni che seguirono nei tempi moderni non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana…. Il pensiero e la civiltà moderna sono cristiani, prosecuzione dell’impulso dato da Gesù e da Paolo…. “(Esiste) un legame tra il messaggio di Gesù e la vita della libertà…. Il cristianesimo sta nel fondo  del pensiero moderno e del suo ideale etico”, tanto che si può parlare di “sostanza cristiana del liberalismo”.

     Christopher Dawson afferma che “la religione è la chiave della storia”: l’emergere e l’affermarsi nel mondo d’oggi della civiltà occidentale non trova altra spiegazione (se non vogliamo cadere nel razzismo) che nella visione messianica e ottimista della storia propria dell’ebraismo e del cristianesimo ([2]). Il biblista Alessandro Sacchi scrive: “Il concetto di una storia guidata da Dio verso un fine positivo è uno dei contributi più grandi che la Bibbia ha dato al progresso umano. Infatti, solo chi ha la speranza di un futuro migliore può impegnarsi efficacemente nelle realtà terrene per cambiarle e migliorarle. E di fatto la Bibbia, riflettendo sulla creazione alla luce dell’alleanza (fra Dio e gli uomini), afferma che Dio ha dato all’uomo il potere di soggiogare la terra e di dominare su tutti gli animali (Genesi, 1, 28). E’ ammesso da tutti ormai che la mancanza di sviluppo nel terzo mondo è dovuta in gran parte proprio all’assenza di un preciso concetto di storia” ([3]).

     E poi esamina come questi valori evangelici contribuiscono allo sviluppo dei popoli e aggiunge: “Chi è vissuto in mezzo a popoli non ancora evangelizzati([4]) si è reso conto come l’assenza di certe idee e di valori tipicamente cristiani condizioni pesantemente il loro sviluppo, non solo religioso e umano, ma anche sociale e politico. Offrire ad essi in modo fraterno e disinteressato questi valori è senza dubbio il più grande servizio che si può fare loro. E’ chiaro che la diffusione di idee cristiane non può che aprire la strada a Colui che ne è stato l’ideatore, portando così ad una progressiva cristianizzazione del mondo”.

     Alioune Diop (1910-1980, che nel 1947 fondò a Parigi “Présence Africaine”[5]) scriveva negli anni sessanta[6]: “La tradizione africana ignora il concetto stesso di storia e di progresso: noi non guardiamo avanti, ma indietro: il nostro ideale non è un mondo migliore, ma il mondo degli antenati da conservare tale e quale l’abbiamo ereditato. Le nozioni di progresso, di rivoluzione, di cambiamento, sono specifiche del genio europeo. Né la Cina né il mondo nero riescono a giustificare razionalmente i cambiamenti”.

     Un missionario Comboniano in Burundi, padre Enrico Bartolucci, conferma[7]: “Gli africani, prima che la colonizzazione li tirasse fuori dal loro isolamento, non cercavano il progresso, ma l’equilibrio, il mantenimento dello status quo. Si preoccupavano non di progredire, ma di non cambiare. Non si trattava di dominare la natura, ma di rispettarla e di adattarvisi. Voler trasformare e correggere la natura all’africano sembrava un atto di arroganza contro le forze misteriose che dominano la natura stessa”.

     Padre Silvano Zoccarato, che dal 1971al 2006 ha lavorato fra i Tupurì (nord del Camerun), scrive[8]: “Il tempo in cui si muove l’africano è più una ripetizione del passato che novità del presente. Il futuro è la fedeltà al suo passato. Culturalmente il futuro non gli appartiene ed egli non riesce a fare il passo dal tempo mitico al tempo storico che comprende passato, presente e futuro”. La Parola di Dio apre agli uomini le prospettive del futuro, cioè di un cammino in avanti dell’umanità per un mondo più vivibile per l’uomo. Ma questo cammino verso il futuro è faticoso e necessita di valori e di orientamenti che Dio stesso ha dato all’uomo con la Bibbia, il Vangelo e la persona di Gesù.

     Non è facile per l’uomo d’oggi capire queste differenze culturali-religiose, ad esempio fra cultura-religione africana e cultura-religione cristiana. Ormai siamo in un mondo “globalizzato” nel quale, con i rapidissimi mezzi comunicazione dei quali disponiamo, c’è appunto una “globalizzazione” delle culture e delle mentalità. Oggi è in atto una omologazione delle culture e dei comportamenti, ma il problema di fondo per capire “sviluppo e sottosviluppo” sta nel fatto che i popoli vivono in epoche storiche diverse: noi cristiani nel 2000 dopo Cristo, i musulmani nel 1400 dopo Maometto, l’Africa nera è stata tratta fuori dalla preistoria dalla colonizzazione poco più di un secolo fa (erano senza scrittura, in un’economia di sussistenza). Erano popoli che vivevano isolati, come gli indios dell’Amazzonia, i papua della Nuova Guinea, i tribali di India, Bangladesh e Vietnam.

     Anche se oggi tutti i popoli usano la bicicletta, il telefonino, il computer, l’aereo e la televisione, non si capisce il perché di sviluppo e sottosviluppo, se non si risale alle radici storiche dei singoli popoli, che spiegano il diverso cammino storico riguardo allo sviluppo. Ecco in breve le idee e i valori rivoluzionari portati dalla Bibbia e dal Vangelo, cioè dal cristianesimo, all’umanità, che non ci sono in altre religioni e culture.

Per chiunque volesse approfondire il tema consigliamo la lettura del libro: “Meno male che Cristo c’è” (Editrice Lindau, Torino, pagg. 330).

[1] MarcelloPera, “Perché dobbiamo dirci cristiani – Il liberalismo, l’Europa e l’etica”, Mondadori 2008, pagg. 49-50.

[2]) C. Dawson, “Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale”, Rizzoli 1997, pagg. 19 segg.

[3]) Alessandro Sacchi, “La missione cristiana contributo indispensa
bile allo sviluppo dei popoli”, in “Mondo e Missione”, gennaio 1984, pagg. 56-61.

[4] Padre Alessandro Sacchi del Pime è stato missionario in India negli anni settanta e ottanta.

[5] ) Celebre rivista che diventò il maggior strumento di elaborazione e valorizzazione del pensiero africano moderno.

[6]) Citato da Ernesto Toaldo in “Fattori culturali e politici dello sviluppo” in “Primo corso studi terzo mondo”, Editrice Pime 1969, n. 6, pag. 7.

[7] ) E. Bartolucci,  in “Nigrizia”, Verona, ottobre 1969, pag. 12.

[8] ) S. Zoccarato, “Cosa per saggi, 100 proverbi dei Tupurì”, EMI 1988, pag. 89.

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ZENIT Staff

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