Perché confessarsi almeno una volta l'anno?

Risponde padre Edward McNamara, L.C., professore di Teologia e direttore spirituale

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ROMA, venerdì, 21 settembre 2012 (ZENIT.org).- Con questo articolo inizia una nuova rubrica settimanale di ZENIT sulla liturgia, chiamata Liturgia e vita cristiana. Sarà curata da padre Edward McNamara, L.C., professore di Teologia e direttore spirituale.

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Molti sacerdoti raccomandano la confessione almeno una volta l’anno, come indicato dal no. 2042 del Catechismo della Chiesa Cattolica: “Confessa i tuoi peccati almeno una volta all’anno”.

Altri sacerdoti sostengono che la confessione non è necessaria se non sono stati commessi peccati gravi. Così accade che chi valuta di non commettere peccati gravi non si confessa neanche una volta l’anno.

Padre Edward McNamara, qual è il suo parere in Proposito?

R: Penso che la risposta a questo enigma possa essere risolta guardando i diversi contesti. Prima di tutto:

“Il fedele è tenuto all’obbligo di confessare secondo la specie e il numero tutti i peccati gravi commessi dopo il battesimo e non ancora direttamente rimessi mediante il potere delle chiavi della Chiesa, né accusati nella confessione individuale, dei quali abbia coscienza dopo un diligente esame”.

“§2. si raccomanda ai fedeli di confessare anche i peccati veniali”.

Il canone 989 indica che il tempo massimo per adempire l’obbligo del 988.1 è di un anno. Per questo molti autorevoli interpreti del diritto canonico sostengono che effettivamente, l’obbligo del canone 989 riguardi i peccati più gravi. Supponendo infatti che una persona non abbia commesso peccati mortali, questo canone non si applicherebbe ad essa.

Vediamo anche che il Catechismo no. 1457 cita il canone 989 e affronta il bisogno di confessare i propri peccati seri prima di ricevere la comunione.

Il Catechismo al no. 2042, anche se si riferisce al canone 989 nella nota a piè di pagina, affronta questo temasotto il titolo della vocazione dell’uomo e della sua vita nello spirito, il catechismo considera l’adempimento del secondo precetto come requisito minimo per la crescita spirituale.

Per questo motivo il secondo precetto non parla di “peccati seri o mortali” ed è prescrittivo sia che vi sia un peccato serio o no. In questo modo il catechismo al No. 2042 dice che la confessione annuale “assicura la preparazione all’Eucaristia attraverso la recezione del sacramento della Riconciliazione, che continua l’opera di conversione e di perdono del Battesimo”. Qui la confessione non è solo vista come un mezzo obbligatorio per essere assolti dal peccato mortale, ma come una delle forme abituali, se non necessarie, al progresso spirituale.

Anche nel Compendio del catechismo, non viene fatta menzione del bisogno di peccato mortale. Nel No. 432 formula il precetto nel seguente modo: “confessare i propri peccati, ricevendo il Sacramento della Riconciliazione almeno una volta all’anno.”

Cosi facendo il catechismo e il compendio scendono dal mondo etereo della teoria canonica, alla realtà della vita cristiana.

L’idea che l’obbligo canonico di confessarsi una volta l’anno sussista solo in caso di peccato serio va bene sulla carta, ma l’esperienza di molti direttori spirituali ci insegna che è raro che uno riesca ad evitare di commettere peccati seri per un periodo di uno o più anni.

Indubbiamente in quei casi in cui una persona riesce ad evitare di commettere peccati seri nel corso di più anni, si tratta quasi sempre di persone che confessano regolarmente e frequentemente i loro peccati veniali, e usano il sacramento della riconciliazione così da crescere in sensibilità di coscienza e amore di Dio. Tali anime inoltre sono solite utilizzare altri mezzi per il progresso spirituale, come la preghiera frequente, prendere la comunione regolarmente, e il fare opere di carità.

Bisogna anche ricordare che l’obbligo di confessarsi una volta l’anno non ricade su chi è impossibilitato a compierlo. Sia a causa della loro età, sia per malattia o per altre buone ragioni.

Potrebbe essere che la difficoltà derivi dal fatto che si è ridotto troppo il concetto di peccato mortale, tanto che non è più percepito come tale. A volte viene ridotto alla violazione del sesto comandamento. Noi sacerdoti dobbiamo ricordare ai fedeli e a noi stessi che i peccati capitali sono sette (orgoglio, avarizia, invidia, ira, lussuria, gola e pigrizia) e che ognuno di essi avvelena l’anima in modo diverso.

Infine l’obbligo di confessarsi una volta all’anno ci aiuta a combattere il peccato di presunzione davanti al giudizio divino.

(Traduzione dall’originale inglese di Pietro Gennarini)

Chiunque abbia domande che riguardano i temi liturgici può scrivere al seguente indirizzo: 
liturgia.zenit@zenit.org

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ZENIT Staff

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