Per un mondo più equo e sostenibile

Dichiarazione congiunta delle Pontificie Accademie delle scienze e delle scienze sociali

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“I rapporti dell’Umanità con la Natura sono sostenibili? Qual è lo stato della Persona Umana in un mondo in cui predomina la scienza? Ci si può aspettare che, nel prossimo futuro, continui la crescita economica globale che si è avuta negli ultimi sei decenni? Possiamo contare sul fatto che le conoscenze e le competenze aumenteranno in modo tale da ridurre la dipendenza dell’Uomo sulla Natura, nonostante la crescita esponenziale delle nostre attività economiche e del nostro numero?”.

Parte da una serie di interrogativi la dichiarazione dei partecipanti al seminario di lavoro congiunto delle Pontificie accademie delle scienze e delle scienze sociali, svoltosi dal 2 al 6 maggio scorsi in Vaticano. Nel testo – pubblicato integralmente nei giorni scorsi sul sito www.casinapioiv.va – gli accademici analizzano i mali del nostro tempo, ostacoli per il raggiungimento della sostenibilità e dell’inclusione umana: disuguaglianza, ingiustizia, corruzione, ma anche fame, cambiamenti climatici e cattivo rapporto tra uomo e natura. 

Il tutto alla luce delle indicazioni di Papa Francesco nella Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” e della sua dura denuncia verso la “globalizzazione dell’indifferenza” e della “economia dell’esclusione”, che contribuiscono alla perdita di una “cultura dell’incontro” invece necessaria per l’umanità di oggi.

La dichiarazione è stato diffuse in italiano, inglese e spagnolo sul portale, in concomitanza con lo svolgimento del workshop «Verso un’economia più inclusiva» organizzato dal Pontificio consiglio della giustizia e della pace, per i giorni 11 e 12 luglio, nella Casina Pio IV. In essoa gli studiosi riflettono sui progressi dell’umanità che – scrivono – “hanno ridisegnato l’economia mondiale rendendola sempre più interconnessa, ma anche sempre più disuguale”.

Alcuni problemi – proseguono – “sono stati esacerbati dal fatto che, attualmente, l’attività economica è misurata solo in termini di prodotto interno lordo (Pil) e non tiene conto del degrado della Terra, né delle disuguaglianze ingiuste tra Paesi e all’interno di ciascun Paese”.

Sono “inaccettabili”, infatti, alcuni divari tra ricchi e poveri. Basti pensare – notano gli accademici – che molte popolazioni povere “non hanno ancora accesso alla maggior parte dei progressi” e che il 50% dell’energia disponibile è fruibile neanche da un miliardo di persone, laddove gli impatti negativi sull’ambiente colpiscono tre miliardi di persone.

Le Pontificie Accademie delle scienze e delle scienze sociali si concentrano poi sul cosiddetto “capitale naturale”, che, in base a “prove convincenti” e ai “tassi di sfruttamento attuali”, molto probabilmente vedrà le sue caratteristiche “mutare in peggio con poco preavviso”. Ne sono esempi “lo scioglimento dei ghiacciai e del ghiaccio marino”.

Ci sono alcuni – si legge poi nella dichiarazione – che “identificano i problemi ambientali con la crescita della popolazione, altri con forme errate di crescita economica. Ci sono quelli che ritengono un problema ambientale l’inquinamento urbano nelle economie emergenti; altri si riferiscono alle condizioni di povertà in cui si vive nei paesi più poveri del mondo”. 

Ogni punto di vista è corretto, affermano gli studiosi: di fatto, non si può dire che esistano “singoli problemi ambientali, ma una vasta serie di problemi interconnessi”, alcuni che si presentano oggi, altri che sono potenziali rischi per il futuro. Ad esempio, “ciò che inizia come inquinamento urbano – spiegano – si andrà a stratificare formando le Atmospheric Brown Cloud (ABC), nuvole marroni contenenti particelle di carbonio nero e ozono, che ogni anno distruggono circa 2 milioni di vite umane e oltre 100 milioni di tonnellate di colture, perturbano la circolazione dei monsoni e contribuiscono allo scioglimento dei ghiacci e della neve dell’Himalaya”.

Sebbene, dunque, “lo sviluppo economico sia andato di pari passo con la crescita degli inquinanti industriali e agricoli”, né le misure preventive né quelle curative “hanno tenuto il passo con la loro produzione nei paesi industrializzati”. Inoltre, osservano gli accademici, “l’entità dell’impresa umana ha messo a dura prova le capacità degli ecosistemi, facendo sì che l’Uomo sia oggi la specie dominante sulla Terra”. 

E’ vero pure, d’altra parte, che la crescita economica ha comportato il miglioramento della qualità di un certo numero di risorse ambientali. Ne è prova “la disponibilità capillare di acqua potabile e la maggiore protezione delle popolazioni umane nei confronti delle malattie trasmesse via acqua e via aria nei paesi industriali avanzati”. Come pure il “miglioramento delle conoscenze scientifiche, gli investimenti in infrastrutture pubbliche e l’istruzione universale nei paesi industriali avanzati” che hanno permesso ai loro cittadini di essere molto più “consapevoli dei rischi ambientali rispetto alle loro controparti nelle regioni povere, avendo inoltre le risorse per evitarli”.

“La natura è troppo spesso vista come un contesto dal quale servizi e risorse possono essere tratti in isolamento”, concludono infine i partecipanti al seminario, sottolineando che “non dovrebbe essere assolutamente messo in dubbio il fatto che l’Umanità abbia urgente bisogno di reindirizzare il proprio rapporto con la Natura in modo da promuovere un modello sostenibile di sviluppo economico e sociale”.

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ZENIT Staff

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