Per raggiungere la pace non bastano accordi diplomatici, servono i valori

L’Ordinario militare presiede i funerali del Caporal maggiore David Tobini

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ROMA, mercoledì, 27 luglio 2011 (ZENIT.org).- Per raggiungere la pace non bastano gli accordi diplomatici ed economici, ma servono i valori basati sull’amore per la vita.

L’Arcivescovo Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, lo ha sottolineato questo mercoledì pomeriggio presiedendo nella Basilica romana di Santa Maria degli Angeli i funerali del Caporal maggiore David Tobini, ucciso questo lunedì in uno scontro a fuoco in Afghanistan.

Nella sua omelia, il presule ha affermato che la pace che i militari italiani vogliono promuovere nelle missioni all’estero “rischia talvolta di essere considerata solo come frutto di accordi tra Governi o di iniziative volte ad assicurare efficienti aiuti economici”.

Se è vero che la sua costruzione “esige la costante tessitura di contatti diplomatici, di scambi economici e tecnologici, di incontri culturali, di accordi su progetti comuni, come anche l’assunzione di impegni condivisi per arginare le minacce di tipo bellico e sradicare alla radice le ricorrenti tentazioni terroristiche”, “perché tali sforzi possano produrre effetti duraturi è necessario che si appoggino su valori radicati nell’amore alla vita”.

“I nostri soldati, custodi della vita, presenti nei teatri operativi, con serietà e determinazione, anche per salvaguardare il significativo ruolo internazionale dell’Italia, non sono certo aiutati né dalle nostre sensibilità altalenanti, né da interessi di parte, né da comportamenti intenti solo a mercanteggiare”, ha sottolineato monsignor Pelvi.

“Se aprissimo la mente e il cuore alle lacrime e al sangue dei nostri militari favoriremmo una maggiore comprensione reciproca e una ricerca comune del bene che unisce. Purtroppo, corriamo il rischio serio che ci si possa accontentare di ciò che abbiamo, considerandoci degli arrivati, chiudendoci in un isolamento egoistico di fronte alla storia che matura, cadendo nella superficialità, nell’abitudine e nell’insipienza”.

Per questo, “occorre proteggere l’orizzonte dell’umanità e mostrare come la fiducia nelle istituzioni internazionali sia l’unica possibilità per uscire dalla logica chiusa delle Nazioni. Solo motivazioni di carattere etico, cioè la consapevolezza di appartenere all’umanità in quanto tale, possono aprire l’animo alla conoscenza del vero bene umano”.

“Ogni problema pratico e politico è problema spirituale e morale, e in questa direzione va posto, trattato e gradualmente risolto”, ha indicato l’Ordinario militare.

“Qui l’opera è degli educatori, che non sono solo maestri di scuola e pedagoghi, ma tutti i cittadini, perché tutti siamo e dobbiamo e possiamo essere veri educatori, ciascuno nel proprio ambiente e innanzitutto verso se stesso”.

L’Arcivescovo ha quindi tratto spunto dalle due parabole della liturgia del giorno, del tesoro nascosto e della perla preziosa, con cui “Gesù ci dice che è scoccata l’ora decisiva della storia”.

“Il tesoro nascosto, la perla preziosa è la presenza del Signore nella nostra vita”, ha segnalato.

“Un uomo scopre un tesoro: è il momento della sorpresa, cioè l’incontro con la lieta notizia che getta una luce nuova sulla vita e su tutte le cose. Poi l’uomo prende coscienza di ciò che ha trovato e passa all’azione: vende tutto quello che ha; è il momento del distacco, della conversione. Infine l’uomo, che tutto ha venduto per avere quel tesoro, vive in funzione di quel tesoro”.

David Tobini, ha ricordato l’Ordinario militare, “aveva trovato il tesoro nascosto, la perla preziosa per cui vale la pena rinunciare a tutto”.

“Sì, perché è l’amore il bene più prezioso da custodire e salvaguardare; è l’amore che può rinnovare vite tentate da stanchezza, insensibilità, indifferenza, egoismo. E David alimentava l’amore meditando ogni sera una pagina della Bibbia, che aveva portato con sé in Afghanistan”.

Nella professione militare, ha aggiunto il presule, “aveva scelto di mettersi alla scuola dei piccoli, dei malati, degli emarginati. Amava ripetere quell’espressione della preghiera della Folgore: ‘La mia giovane vita è tua, Signore!’”.

“Non aveva paura di porsi le domande fondamentali sul valore dell’esistenza. Non gli bastavano risposte parziali, immediate, certamente più facili e comode, che possono dare qualche momento di felicità, ma che non portano alla vera gioia. Il suo cuore, finestra aperta sul futuro, in grado di anticipare il gusto di un avvenire sereno, considerava ogni persona una ricchezza da accogliere con stupore, convinto che chi non crede nell’uomo, non salverà né l’uomo né se stesso”.

L’Arcivescovo si è poi rivolto direttamente al militare ucciso, ringraziandolo “per aver reso tutti più capaci di sperare e collaborare alla realizzazione di una sola famiglia umana”.

Ha quindi concluso la sua omelia rivolgendosi a Cristo, affidandogli “i nostri amati giovani militari, che in ogni tempo e luogo, e ancora oggi, in ogni angolo della terra soffrono e donano la vita, vittime della violenza e del terrore”.
 
“Mentre ammiriamo il valore della loro esistenza, pur tra infinite prove e ingiuste persecuzioni,
ti preghiamo di donare anche a noi una scintilla della tua luce e una goccia di quel coraggio  
che può trasformarci in operatori di pace, in umili e decisi carpentieri della giustizia, anche a prezzo della vita”.

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ZENIT Staff

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