Per quelli che il Creatore non esiste (Seconda parte)

L’ermeneutica odierna: la realtà non esiste

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Vattimo, il padre del “pensiero debole”, rileva, da un punto di vista storico, che la nostra è “l’età dell’interpretazione”, cioè dell’ermeneutica, perché il termine interpretazione viene dal latino interpretatio, che traduce il greco hermēnéia.

L’umanità, sempre più sotto l’influsso dei mass media, è entrata nell’epoca dell’ermeneutica, che non è soltanto la filosofia egemone tra gli intellettuali, ma, come vedremo, è anche il modo di pensare corrente dell’uomo della strada.

L’affermazione dell’ermeneutica sul piano filosofico è un fatto incontestabile e la sua validità, come sostiene giustamente Vattimo, non consiste nell’affermare la “vera” realtà delle cose.

Scrive infatti: “La verità filosofica dell’ermeneutica, cioè la sua pretesa di essere un pensiero più ‘valido’ di altri – per esempio, di essere una filosofia più ‘vera’ che il neoempirismo, o il materialismo storico ecc. – non può evidentemente ­sostenersi sulla base di una descrizione di come, secondo lei, sarebbe il reale stato delle cose” [1].

L’ermeneutica non è quindi una nuova metafisica che sostituisce le precedenti perché le sue teorie rispecchiano la vera realtà delle cose, ma è la forma di pensiero che storicamente si è affermata nell’epoca odierna e anche la tesi secondo cui “’non ci sono fatti, solo interpretazioni’ non è – scrive il filosofo – un enunciato metafisico, oggettivo. Anche questo enunciato è ‘solo’ un’interpretazione” [2].

Vattimo sottolinea che l’ermeneutica ha “trasformato la filosofia” [3], infatti essa non può più essere considerata “un campo di battaglie senza fine” (Kant), al cui interno i filosofi disputavano fra di loro presentando il loro pensiero come conforme all’essenza della realtà. Essa esprime il modo vedere diffuso dell’umanità che vive nell’epoca attuale, nella quale è considerato con sospetto chi sostiene di conoscere la verità di qualsiasi ordine (ontologico, teologico, morale ecc.) e accusato di intransigenza e di dogmatismo, perché esiste non la verità in sé, ma le interpretazioni della verità che cambiano storicamente e si diversificano a seconda dei diversi contesti socio-culturali.

Il filosofo paragona l’interpretazione a “un virus […] che infetta ogni cosa con cui viene in contatto”[4] e anche la scienza non elabora le sue teorie  sulla base dei fatti osservati, perché “i fatti rivelano di non essere altro che interpretazioni”[5].

L’ermeneutica è un modo di pensare pervasivo che ingloba ogni realtà, per cui lo stesso termine “realtà” viene messo in discussione, infatti cosa significa questa parola se “i fatti rivelano di non essere altro che interpretazioni”?

La metafisica è nata come analisi della realtà, ma essa non ha oggi più senso perché l’ermeneutica è “l’enunciazione della stessa esistenza storica nell’epoca della fine della metafisica” [6]. La metafisica, morta storicamente, sopravvive nella Chiesa cattolica per motivi di carattere ideologico, dovendo essa sostenere, sul piano della ragione, dei principi di carattere naturale che valgono per tutti gli esseri umani, indipendentemente dal loro credo religioso.

Scrive in proposito: “[…] La chiesa sviluppò tutta una dottrina dei preambula fidei, legandosi sempre più a una metafisica di tipo oggettivistico, ormai – come si vede anche da recenti encicliche – inseparabile dalla pretesa autoritaria di predicare leggi e principi di carattere naturale, validi dunque per tutti, e non solo per i credenti” [7].

Questo legame con la metafisica impedisce alla Chiesa di dialogare con le altre confessioni cristiane e con le altre religioni [8]. Infatti, la metafisica, come è stato evidenziato prima, impedisce ogni forma di dialogo, il quale è reso possibile soltanto dall’ermeneutica, la quale non ha la pretesa di imporre la verità, ma ricerca il “consenso dialogico” tra posizioni diverse, sulla base di un contesto storico-culturale comune.

Scrive: “[…] Il valoro universale di un’affermazione si costruisce costruendo il consenso nel dialogo, non pretendendo di avere il diritto al consenso perché abbiamo la verità assoluta. E un consenso dialogico si costruisce riconoscendo ciò che abbiamo in comune come patrimonio culturale, storico, anche di acquisizioni tecnico-scientifiche”[9].

L’ermeneutica afferma l’equivalenza di tutte le posizioni assunte da coloro che partecipano al dialogo, perché nessuno può pretendere di conoscere la verità e di imporla agli altri, come invece accadeva con la metafisica, la quale “non ammette ulteriori interrogazioni sul perché, interrompe il dialogo, mette a tacere” [10].

L’ermeneutica è quindi il fondamento della democrazia, perché “dove c’è democrazia non ci può essere una classe di detentori della verità ‘vera’” [11]. In democrazia si decide a maggioranza e, non esistendo la realtà in sé, spetterà quindi ai parlamenti stabilire, sulla base del “consenso dialogico”, ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è bene ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.

Nell’ermeneutica la verità si identifica con il dialogo interpersonale,  che implica la condivisione di un linguaggio, e la realtà, afferma Vattimo, “è solo il risultato del dialogo storico tra le persone; non siamo d’accordo perché abbiamo trovato l’essenza  della realtà, ma diciamo che abbiamo trovato l’essenza della realtà quando siamo d’accordo” [12]

L’essere si risolve quindi nel linguaggio e, in particolare, nel linguaggio che storicamente si impone in una determinata epoca, perché l’essere “è evento, qualcosa che accade” [13] e “l’essere non è altro che il logós interpretato come dialogo, il Gespräch inteso come discussione che si svolge effettivamente tra le persone” [14].

L’essere è quindi il risultato del dialogo umano e Vattimo parla giustamente di una “vocazione nichilistica” dell’ermeneutica perché  l’essere in se stesso non è nulla, essendo ridotto al linguaggio e all’interpretazione umana.

L’essere, identificato da San Tommaso d’Aquino come l’Essere sussistente, cioè come Dio, origine di tutto il creato, è quindi concepito come dialogo, cioè come interpretazione di punti di vista soggettivi mutevoli e contingenti.

Il pensiero di Vattimo è rappresentativo della filosofia che si è sviluppata nell’Europa centrale ed è l’erede, come vedremo, della fenomenologia di Heidegger. Vattimo è l’esponente più significativo dell’ermeneutica odierna e le sue tesi sono condivise, come vedremo nel prossimo articolo, da Rorty, esponente del pragmatismo americano.

[La prima parte è stata pubblicata mercoledì 7 gennaio 2015]

*

NOTE

[1] G. Vattimo, L’età dell’interpretazione, in R. Rorty,  G. Vattimo,  Il futuro della religione. Solidarietà, carità, ironia, a cura di S. Zabala,  Garzanti,  Milano 2005,  p. 47.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem, p. 49.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem.

[7] Ibidem, p. 51.

[8] Cfr. ibidem.

[9] Idem, Dopo la cristianità, Garzanti, Milano 2002, pp
. 8-9.

[10] Idem, Ermeneutica e democrazia, in “Micro Mega”, 3 (1994), p. 48.

[11] Idem, Relazione tenuta al Congresso mondiale di Filosofia, Istanbul, agosto 2003.

[12] Idem, Quale futuro aspetta la religione dopo la metafisica?, in R. Rorty, G. Vattimo, op. cit., p. 63.

[13] Ibidem, p. 66.

[14] Ibidem, p. 63.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Maurizio Moscone

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione