"Pasqua non è un auspicio ma la realtà più vera che esista: Gesù è davvero risorto!"

Omelia del Patriarca Moraglia nella S. Messa nella Pasqua di Risurrezione del Signore

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Riportiamo l’omelia tenuta questa mattina dal Patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, nella S. Messa nella Pasqua di Risurrezione del Signore, celebrata questa mattina nella Basilica Cattedrale di San Marco.

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Carissimi,

a tutti auguro una Pasqua cristiana, ossia realmente segnata dalla fede nel Signore risorto! 

C’è un canto afro-americano, universalmente noto, che esprime bene il senso del giorno di Pasqua. Il canto s’intitola “Oh, Happy Day” e il titolo già ne disvela tutto il senso. Nonostante la popolarità del pezzo, forse pochi sanno che si tratta di un antico inno religioso del XVIII secolo; il brano divenne un successo discografico una quarantina d’anni fa. In Italia, erroneamente, viene considerato un canto natalizio o beneaugurante per l’anno nuovo. Si tratta di un inno pasquale eseguito nelle chiese protestanti anglofone durante i battesimi e le cresime.

Ma il canto gospel Oh, Happy Day” non è solamente un canto; è, invece, una vera e propria esplosione di gioia, una gioia incontenibile espressa secondo la sensibilità e i modi delle genti afroamericane che hanno provato, fino in fondo, nella loro storia, il disprezzo e l’emarginazione da parte di altre genti, uomini e donne come loro. Alle spalle vi è una lunga e tristissima storia di schiavitù.

Il motivo è – come sempre – l’affermazione di sé sugli altri, la volontà di arricchirsi da parte di pochi a scapito di molti. Ora, rinchiusi in tali logiche, questi uomini e queste donne non sono stati più in grado di porsi la domanda più umana che ci si possa porre, vale a dire: “chi è l’uomo?”. Così arrivarono a non riuscire a riconoscere l’uomo nel proprio simile.

Viene allora considerata una grande conquista – è triste dirlo – il giorno in cui un giudice si pronunciò con una storica sentenza che mise termine all’odioso istituto della schiavitù con la semplice espressione “A man is a man”.

Solo a partire dalla storia di sfruttamento ed emarginazione di questi popoli possiamo capire l’esplosione gioiosa di questo canto pasquale. Sì, perché nella Pasqua si dà realmente il giorno felice – “Oh, Happy Day” –in cui veramente ha vinto Colui che fu, per eccellenza, la vittima di istituzioni e poteri legittimamente costituiti ma ingiusti, violenti e timorosi di vedersi privati del loro potere.

Ma nella vittoria di Gesù-risorto si dà ancora qualcosa di più, e il canto afroamericano – come vedremo – lo dice espressamente; si tratta, infatti, della liberazione da ogni forma di morte originata dal peccato che è, essenzialmente, distacco dell’uomo da Dio.

C’è, però, da chiedersi: quante forme di schiavitù esistono ancora oggi? Anche se tali forme non vengono espressamente denominate tali, in  realtà, si tratta di vere schiavitù presenti nelle nostre città, nei nostri quartieri, sulle nostre strade. Infatti, in ancora troppi ambiti del vivere umano, alcune persone sono considerate come semplici mezzi per ottenere qualcosa e non sono considerati come fini: donne preda di uomini violenti, bambini abbandonati dai loro genitori, persone fragili e lasciate in balie delle loro fragilità o dipendenze (alcool, droghe ecc.) e infine la prostituzione, anche nella dolorosa versione delle baby-prostitute.

Sì, in quel mattino di primavera di duemila anni fa – in cui Gesù è risorto – il mondo degli oppressi è tornato a sperare. Dio, risuscitando Gesù, pronuncia innanzi agli emarginati, agli oppressi e ai rifiutati della storia “la” sola parola nuova che va oltre “le” tante parole degli uomini.

Tra gli emarginati, gli oppressi e i rifiutati dobbiamo considerare – nel nostro tempo – un dramma che è tale sia per i credenti sia per i non credenti, poiché riguarda una questione prettamente umana; alludo ai bambini ai quali viene negato il primo fondamentale diritto, quello di nascere, come ci ha ricordato con forza pochi giorni fa Papa Francesco. Anche per loro, a Pasqua, si apre, con la risurrezione, una speranza veramente nuova.

 Gesù, risorgendo, dà una reale e concreta speranza a tutti poiché Egli nella sua vicenda era stato umiliato, rinnegato e tradito. Gli era stato preferito un omicida, dopo aver subito un processo-farsa dai poteri legittimi del tempo rappresentati da Caifa, Erode e Pilato; anzi, in tale circostanza, Erode e Pilato erano diventati amici.

Con la risurrezione, Gesù porta e introduce nel mondo la giustizia di Dio; il giorno di Pasqua è quindi, per essenza, il “giorno felice” (happy day), il giorno in cui Gesù – il Signore della vita – ha sconfitto la morte.

Ma questa gioia – come recitano le parole del canto gospel – ha motivazioni più profonde del riscatto sociale, economico, culturale e politico. E il motivo ultimo della gioia di chi canta questo inno è che Gesù: “lavò i miei peccati” (washed my sins away) e insegnò a “guardare”, a “lottare”, a “pregare” e a esser felici ogni giorno.

“Oh, Happy Day” esprime, in tal modo, come Pasqua sia, per eccellenza, il giorno felice perché, in quel giorno, il cristiano inizia a guardare la vita ma soprattutto la morte con occhi nuovi e non come una condanna definitiva. A Pasqua la morte non è più l’ultima parola e, conseguentemente, non ha più potere né sulle persone né sulle cose.

Pasqua è il giorno felice perché ci dischiude la possibilità che, prima, non riuscivamo nemmeno ad immaginare. Pasqua, quindi, non è un auspicio ma la realtà più vera che esista: Gesù è davvero risorto! La realtà ultima, perciò, non si misura più sui brevi o brevissimi giorni dell’esistenza terrena, e questo è il motivo per cui Pasqua viene detto il giorno felice: “Oh, Happy Day”.

Contro la tesi per cui il cristiano – a causa della sua fede nell’aldilà – è un “alienato” nei confronti di questa vita terrena, dobbiamo invece dire che egli vi “annette” un valore più grande di quanto faccia il non credente.

Infatti, se dopo questa vita c’è il nulla, allora tutto si riduce al momento presente; invece il cristiano, che professa la fede nell’aldilà, annette alla vita presente un valore ulteriore perché, per lui, è proprio il tempo presente a determinare la vita futura.

Il motivo di “Oh, Happy Day”– giorno felice -ce lo dà poi il Nuovo Testamento, quando annuncia la risurrezione. Il Vangelo di Matteo è stato chiaro: “Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: “Salute a voi!”. Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: “Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno” (Mt 28, 8-10).

Il motivo di questa gioia è semplice: il Signore è risorto. La sua è una presenza viva e reale che s’impone dall’esterno. Matteo, in modo inequivoco dice: “Gesù venne loro incontro e disse: “Salute a voi!” (Mt 28,9). Il Risorto è, in tal modo, la realtà più vera e più viva nell’universo; è la realtà più vera che esista, più reale della mia morte.

Gesù-risorto non è solo un auspicio, un’idea affascinante o un progetto coinvolgente. No, l’umanità di Gesù risorto è un avvenimento accaduto; in Lui un frammento di storia ha già raggiunto il suo pieno compimento. Gesù-risorto porta a pienezza il senso ultimo della storia e della realtà e, quindi, la può anche motivare.

Gesù, con la risurrezione, diventa allora la cifra in grado di dar senso pieno e definitivo all’intera creazione e all’intera storia; il Risorto è l’unico che può spiegare il significato ultimo del reale perché Lui, nella sua vicenda personale, è la pienezza della realtà.

Nella lettera ai Romani si delinea – in termini di anticipazione, attesa e speranza – quello che sarà il compimento
ultimo del giorno felice della Pasqua, con cui s’inaugurano i cieli nuovi e la terra nuova.

Ritengo infatti – scrive l’Apostolo – che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati…” (Rm 8,18-24).

Questo testo paolino ci aiuta a comprendere come il giorno di Pasqua sia veramente un “giorno felice” e, come dice l’inno, ci rende capaci di vivere nella felicità tutti i giorni della vita, anche quelli più bui e tristi.

A tutti auguro una Pasqua che sia realmente radicata nella fede in Gesù, il risorto! 

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ZENIT Staff

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